Un classico della letteratura patristica sulla vita monastica. La biografia di S. Antonio - monaco nativo di Alessandria d'Egitto, vissuto tra il III e il IV secolo - è il best-seller della letteratura cristiana; è infatti una lunga lettera scritta (IV sec.) in greco dal vescovo Atanasio ai monaci d'Occidente al fine di indicare loro nella figura di Antonio Abate l'ideale monastico puro. La Vita, qui presentata nella prima vera traduzione italiana, è interessante per l'attualità del messaggio, mentre l'introduzione evidenzia l'importanza della trasmissione e della diffusione di idee anche in ambiti apparentemente molto lontani fra loro (ascetismo cristiano e yoga). Note di commento, ricche e puntuali, sotto vari aspetti - filologico, storico, esegetico e storico-religioso - accrescono il valore di questo volume.
Antonio Abate, cristiano, nativo di Alessandria d’Egitto, vissuto a cavallo tra il III e il IV secolo e morto nel 356, è considerato il padre della vita monastica cristiana. Avendo ascoltato il passo del Vangelo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che possiedi, dallo ai poveri e vieni, seguimi, e avrai un tesoro nei cieli» (Mt 19,21), Antonio distribuì alla gente del suo villaggio i campi che aveva ereditato dai genitori, e riservò una somma per sua sorella. Ascoltò poi la frase «Non preoccupatevi del domani» (Mt 6,34) e allora donò il denaro che gli restava ai poveri e iniziò a praticare la vita ascetica nel deserto egiziano. Divenne un punto di riferimento per molti altri eremiti che vivevano nella regione, ma anche per i cristiani di Alessandria e del Basso Egitto che andavano a chiedergli consigli. Raccolse intorno a sé molti discepoli. Ma soprattutto la biografia che scrisse Atanasio divenne un manifesto per la vita monastica, un vero best-seller: ogni monastero ne aveva almeno una copia, e venne tradotta velocemente in molte lingue.
È molto venerato come santo, da tutte le confessioni cristiane.
La presente edizione è la prima, in assoluto, edizione italiana con testo critico greco e traduzione a fronte.
Atanasio di Alessandria (295 ca. – 373) è padre e dottore della Chiesa, ed è venerato come santo sia dalla Chiesa cattolica che dalla Chiesa ortodossa.
Dotato di ottima formazione letteraria e teologica, nel 318 entra nel clero di Alessandria d’Egitto. Con il suo vescovo Alessandro partecipa al Concilio ecumenico di Nicea nel 325. Nel 328 diventa vescovo di Alessandria d’Egitto: è l’inizio del suo lungo episcopato contrassegnato da aspre lotte sulla purezza della fede. Subì l’esilio tre volte. Durante i suoi soggiorni forzati a Treviri e a Roma diffuse l’ideale della vita monastica. Ritornato nella sua sede di Alessandria promosse l’evangelizzazione di molte regioni dell’Egitto e dell’Etiopia.
La "Rhetorica ad Alexandrum" è l'unico testo conservato integralmente all'interno di una vasta produzione di 'technai rhetorikai', cui fanno più volte accenno sia Platone sia Aristotele, e il primo di una serie di trattati sistematici, di manuali pratici, in Grecia e a Roma. La sua lettura apre uno spiraglio di osservazione sulla vita sociale e politica, sul diritto greco, sulla retorica e sull'eloquenza nello stadio intermedio fra i primi retori e Aristotele. Nel trattato si dà rilievo alle potenzialità dell'argomentazione, volta ad assicurare la vittoria all'oratore: oltre che come mezzo di persuasione, la retorica si configura essenzialmente come teoria della comunicazione linguistica nello spazio costituito e controllato della polis, in cui si assegna istituzionalmente un ruolo preminente alla parola 'pubblica', che traduce in dibattito i possibili conflitti, sia privati sia pubblici. L'opera fa parte del "Corpus Aristotelicum" ed è collocabile nel IV secolo a.C, escluse alcune sezioni. La paternità aristotelica è stata messa in dubbio in epoca moderna: alcuni commentatori ed editori hanno attribuito il trattato ad Anassimene di Lampsaco, storico e retore del TV secolo a.C. Alla sua conoscenza e alla sua diffusione, a partire dal Quattrocento, ha contribuito la traduzione latina di Francesco Filelfo.
Le Lettere festali di Atanasio derivano dall'usanza dei vescovi di scrivere alle proprie diocesi per annunciare la data della Pasqua e, non di rado, diventavano strumento di catechesi, di esortazione e di notizie sulla situazione religiosa della diocesi stessa, fonte quindi di informazioni sulla vita delle prime comunità cristiane. Le Lettere di Atanasio sono un documento prezioso per ricostruire il suo pensiero teologico, tenendo conto del difficile tempo che la Chiesa egiziana del quarto secolo attraversava. Sono anche un'autorevole fonte di informazioni che aiutano a delineare il ritratto psicologico della personalità di Atanasio, figura di spicco nelle controversie teologiche del suo tempo. Questo volume raccoglie anche l'Indice delle Lettere festali redatto da un anonimo chierico che documenta l'attività della cancelleria episcopale alessandrina e offre ulteriori elementi d'informazione. Le Lettere sono 45; sono giunte a noi in due antiche versioni: siriaca e copta, poiché l'originale greco è andato perduto. Come per tutti i volumi di questa collana, il testo è arricchito da un'introduzione e bibliografia molto documentate e ogni lettera è preceduta da una scheda che ne registra il contesto storico, lo stato di conservazione e soprattutto i temi fondamentali affrontati.
Lo Pseudo-Macario, al quale vengono attribuiti gli scritti qui raccolti, fu con ogni probabilità, un monaco vivente in una comunità monastica cenobitica dell'Asia Minore, nel IV secolo, al confine con l'area siriaca, in un ambiente pervaso da fermenti di radicalismo evangelico. Il Corpus dei suoi scritti si compone di discorsi, omelie, domande e risposte, lettere. Attraverso di essi l'Autore si propone di aiutare i suoi lettori nella conquista della salvezza dell'anima alla ricerca della verità - abbandonando desideri, passioni, opinioni false su Dio - attraverso la continua ricerca della volontà di Dio.
Due testi poco noti del primo cristianesimo,diversi tra loro per collocazione geografica,datazione,identità degli avversari,cultura degli autori e tuttavia accomunati dal tema principale,la salvezza della carne.Essi ci descrivono una polemica; ci parlano di posizioni dottrinali che convergono pienamente nella negazione della “risurrezione della carne”, che i due autori dimostrano invece essere verità di fede. La Terza lettera ai Corinzi, è composta da due brevi testi in forma di scambio epistolare. La prima lettera si presenta come inviata dai cristiani di Corinto a Paolo,per chiedergli di confutare alcune dottrine da loro giudicate molto perniciose.La seconda costituisce la risposta che Paolo avrebbe inviato ai Corinzi, per esaudire la loro richiesta.La corrispondenza fu sul punto di entrare stabilmente nel corpus degli scritti paolini. La risurrezione, dello Pseudo-Giustino è un discorso apologetico, finalizzato a difendere la fede nella risurrezione della carne; ci offre una preziosa testimonianza sull’inizio della riflessione del cristianesimo colto occidentale circa le aspettative escatologiche individuali, e sul contesto storico e ideologico nel quale essa si sviluppò. Terza lettera ai Corinzi: «Dio,l’Onnipotente,è giusto e non vuole vanificare la propria opera plasmata». La risurrezione: Ma se la carne non risorge, perché viene custodita e non le consentiamo piuttosto di abbandonarsi ai desideri? Se invece il nostro medico,Gesù il Cristo,che ci ha strappato dai nostri desideri,mette a regime la nostra carne con la sua regola di temperanza e continenza, è chiaro che la custodisce dai peccati, poiché essa ha una speranza di salvezza.
AUTORISi tratta di opere pseudepigrafe, cioè attribuite la prima a Paolo,la seconda a un famoso apologista,Giustino,appunto.
Alberto D’Anna insegna Letteratura delle origini cristiane all’Università “Roma Tre”,. Studia la storia e la letteratura del cristianesimo dei primi secoli, l’eresiologia, le tradizioni letterarie su Pietro e Paolo. Ha pubblicato l’edizione critica del discorso su La risurrezione dello Pseudo-Giustino (Brescia, 2001). Recentemente ha curato la sezione monografica Tradizioni apocrife e tradizioni agiografiche. Fonti e ricerche a confronto in Sanctorum 4(2007) e,insieme con C.Zamagni, il volume collettivo Cristianesimi nell'antichità: fonti,istituzioni,ideologie a confronto,Hildesheim 2007.
La lettura dell'Athenaion politeia può spingere a riflessioni sullo statuto difficile e complesso della democrazia, che ne costituisce anche il fascino e ne segna il destino. La democrazia vive nella perpetua tensione tra un sistema di norme procedurali e il metodo della partecipazione e della ricerca del consenso da una parte e un contenuto ideale che, per la sua straordinaria e inesauribile profondità, confina con l'utopia dell'altra...
Le poesie qui raccolte, datate a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, sono l'opera di una contemplativa, una beghina fiamminga anonima. Gli studiosi l'hanno voluta chiamare Pseudo-Hadewijch o Hadewijch II a motivo della parentela con i testi della grande beghina, poetessa e mistica Hadewijch.
Di un alto valore poetico e di una grande bellezza e purezza, queste poesie presentano i temi della mistica dell'Essenza nei modi in cui si diffusero nel movimento medievale femminile delle beghine.
Testo brabantino a fronte
Tradotte da Alessia Vallarsa
con la collaborazione di Joris Reynaert
Presentazione di Luisa Muraro
Scritta nel IV secolo da Atanasio, la Vita di Antonio è un best seller della letteratura cristiana, presente in centinaia di codici nelle biblioteche di tutto il mondo. Di Antonio, "il padre dei monaci", conosciamo l'infanzia e la giovinezza, le notti trascorse vegliando e pregando, la predicazione, la fuga verso il deserto, i miracoli compiuti in nome di Dio, le battaglie contro i filosofi e gli eretici? In pochi racconti della letteratura universale troviamo tanta semplicità, tanta tensione drammatica, tanta ingenuità, unite a una sottile sapienza intellettuale, che continuano ad affascinare, oggi come sedici secoli fa, il grande pubblico. Completano la nostra conoscenza di questo padre del deserto i trentotto Detti e le sette Lettere sicuramente autentiche.
Il volume propone la prima traduzione in lingua italiana, con ampia introduzione e ricco commento, di uno scritto cristiano in passato attribuito a san Cipriano, vescovo di Cartagine, ma oggi ritenuto opera di un ignoto vescovo operante verosimilmente a cavallo tra III e IV secolo. In questa catechesi rivolta ai fedeli, l’autore mette in evidenza la connotazione idolatrica e le gravi implicazioni morali connesse al gioco dei dadi.
Per argomento lingua e stile, lo scritto costituisce qualcosa di unico nella letteratura cristiana dei primi secoli, e dunque rappresenta una testimonianza di straordinario interesse per conoscere sia il gioco d’azzardo nel mondo tardoantico sia la posizione della Chiesa in merito ad esso. Tale pratica doveva all’epoca essere piuttosto diffusa, se il concilio di Elvira, all’inizio del IV secolo, prendeva provvedimenti contro i cristiani che giocavano ai dadi per denaro, allontanandoli dalla comunione finché non si fosse completamente estirpato il loro vizio.
Sommario
Introduzione. Il gioco dei dadi: testo critico e traduzione. Commento. Bibliografia. Indici.
Note sulla curatrice
Chiara Nucci, laureata in lettere classiche presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Perugia, è docente di latino e greco al Liceo classico. Il lavoro sul De aleatoribus costituisce uno sviluppo della sua tesi di laurea, discussa in filologia patristica.