Tra i molti temi che infiammano l'arena pubblica del nostro Paese ne manca uno, pesante come un macigno e gravido di conseguenze evidenti sulla nostra vita qui e ora. Quando in Italia si parla dell'eredità coloniale dell'Europa si punta spesso il dito sull'imperialismo della Gran Bretagna o su quello della Francia, ma si dimentica volentieri di citare il nostro, benché il colonialismo italiano sia stato probabilmente il fenomeno più di lunga durata della nostra storia nazionale. Ma è una storia che non amiamo ricordare. Iniziata nel 1882, con l'acquisto della baia di Assab, la presenza italiana d'oltremare è infatti formalmente terminata solo il primo luglio del 1960 con l'ultimo ammaina-bandiera a Mogadiscio. Si è trattato dunque di un fenomeno che ha interessato il nostro Paese per ottant'anni, coinvolgendo il regno d'Italia di epoca liberale, il ventennio fascista e un buon tratto della Repubblica nel dopoguerra, con chiare ricadute successive, fino a oggi. Eppure l'elaborazione collettiva del nostro passato coloniale stenta a decollare; quando il tema fa timidamente capolino nel discorso pubblico viene regolarmente edulcorato e ricompare subito l'eterno mito autoassolutorio degli italiani «brava gente», i colonizzatori «buoni», persino alieni al razzismo. Siamo quelli che in Africa hanno solo «costruito le strade». Se la ricerca storiografica ha bene indagato il fenomeno coloniale italiano, a livello di consapevolezza collettiva, invece, ben poco sappiamo delle nazioni che abbiamo conquistato con la forza e ancora meno delle atroci violenze che abbiamo usato nei loro confronti nell'arco di decenni. In questo libro Francesco Filippi ripercorre la nostra storia coloniale, concentrandosi anche sulle conseguenze che ha avuto nella coscienza civile della nazione attraverso la propaganda, la letteratura e la cultura popolare. L'intento è sempre quello dichiarato nei suoi libri precedenti: fare i conti col nostro passato per comprendere meglio il nostro presente e costruire meglio il futuro.
L'allegoria non gode in genere di una buona reputazione fra scrittori, critici e teorici della letteratura, tanto da essere stata definita da Borges addirittura un «errore estetico». Malgrado le importanti rivalutazioni novecentesche (come quelle, decisive, di Curtius e Auerbach per la letteratura medievale e di Benjamin per quella barocca), forse sussiste ancora una certa confusione riguardo alla sua precisa natura, nel suo duplice aspetto di metodo ermeneutico (la cosiddetta "allegoresi") e di forma espressiva, e mancano anche panoramiche esaurienti dei suoi sviluppi nel corso dei secoli e nelle diverse letterature. Lo scopo del libro è quello di ricostruire, in un'agile sintesi, la storia dell'allegoria nella fase più creativa, dalle sue origini nella letteratura greca e latina fino alla nascita dell'esegesi biblica in ambito ebraico e poi cristiano e alla fioritura, nella tarda antichità e nel Medioevo, di una vera e propria produzione allegorica, che avrà uno splendido coronamento nel Duecento e nel Trecento con capolavori come il Roman de la Rose e la Commedia di Dante, vero culmine di questa tradizione.
Una leggenda ebbe grande diffusione in tutta Europa tra la metà del Seicento e i primi del Novecento. Nascosta tra le righe di un trattato di diritto marittimo pubblicato a Bordeaux nel 1647, questa mitologia attribuiva agli ebrei l'invenzione delle lettere di cambio - strumento in apparenza simile al moderno assegno, che consentiva il movimento di grandi somme di denaro senza alcuno spostamento di monete o lingotti e che, in mano a banchieri esperti, agevolava forme di speculazione del tutto avulse dallo scambio delle merci. Storicamente infondata, questa leggenda ebbe tuttavia un successo enorme. Se ne trova menzione in una miriade di testi oggi poco noti, nonché in grandi autori come Montesquieu, Marx e Sombart. Perché? Come le lettere di cambio attraversavano mari e monti senza lasciare traccia, così gli ebrei apparivano indistinguibili dai mercanti cristiani. In questa 'invisibilità' non era facile riconoscere il mercante onesto dall'ebreo usuraio. Ben prima della mano invisibile di Adam Smith, l'invisibilità degli ebrei fu dunque una tra le metafore predilette dei pensatori europei e diede voce a timori profondi legati ai lati più oscuri e ingovernabili del nascente capitalismo finanziario.
Con la sua dottrina e la sua grande umanità, Papa Francesco ci guida, in un dialogo con Fabio Marchese Ragona, oltre la pandemia, oltre le tenebre che ci hanno avvolto come una tempesta inaspettata e furiosa, per ritrovare la quiete dopo il buio della malattia. Dove trovare adesso la forza e la fiducia per ripartire? A quali valori far fede? Se da una crisi si esce trasformati, bisogna impegnarsi perché sia in positivo, nella versione migliore possibile di noi stessi, riseminando nel nostro cuore i grandi valori, quelli di sempre ma espressi in termini di oggi. La sfida consiste nell'avvicinarsi, alle persone, ai problemi, alle situazioni, e scacciare la "cultura dell'indifferenza" che non porta altro che distruzione. Pensare al noi e mettere da parte l'io, prendendo ad esempio, sul modello del Papa, la decisione etica di vaccinarsi, per proteggere la nostra vita e quella degli altri, perché "nessuno si salva da solo". Nella seconda parte, David Sassoli, Filippo Grandi, Giuseppe Tornatore, Edith Bruck, Andrea Riccardi e Noa (Achinoam Nini) contribuiscono a portare avanti il discorso sul nostro domani in un dialogo ideale con il Papa, voluto e stimolato da Francesco stesso nei recenti, difficili mesi.
Nic è un quindicenne irrequieto, come tanti: stretto nell'assedio della pandemia, sopporta a stento la convivenza con i familiari e subisce come una condanna le lezioni a distanza. Unici sfoghi alla noia delle giornate sono il sacco da boxe e la musica rock, di cui è un appassionato. Durante una delle rare uscite concesse dal lockdown, conosce uno strano professore di lettere. Spinto dal desiderio di far colpo su Chiara, la compagna di classe carina e studiosa di cui è segretamente innamorato, Nic decide di prendere da lui ripetizioni sull'Eneide. È l'inizio di una serie di imprevisti e sorprese, fallimenti e vittorie attraverso i quali tutto è destinato a cambiare. Un libro sulla fatica e la bellezza di diventare grandi. Età di lettura: da 11 anni.
Piccola catechesi sul Padre Nostro, rivolta i fedeli, per meditare passo passo la preghiera che ci ha insegnato il Signore Gesù. Il libretto, riccamente illustrato, offre una piccola ma significativa catechesi, scrutando le parole e parafrasando i versi del Padre Nostro. Per ciascun verso una meditazione e una preghiera. Per ciascuna pagina un'occasione di crescita utile al cammino verso la Pasqua.
In questo volume si cerca di collegare le Scritture bibliche dell'Antico e del Nuovo Testamento con la ricerca filosofica che ha mosso l'intera civiltà occidentale nel corso del Novecento, ponendosi domande relative ai tragici avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale e dell'Olocausto. Figura centrale in questa riflessione è André Neher (1914-1988), autore del capolavoro filosofico L'esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz, intellettuale ebreo per nascita e per scelta, dal profilo culturale ricchissimo: studioso di eccezionali competenze bibliche e giudaistiche e allo stesso tempo uomo di grande sensibilità, attento alle questioni filosofiche più urgenti e brucianti che la nostra contemporaneità ha posto e pone sotto i nostri occhi.
La lettura di Emigranti (pubblicato per la prima volta nel 1928 da Mondadori) è una pura immersione nella grande letteratura. Ci troviamo dinanzi a un affresco grandioso del mondo contadino e pastorale dell’Aspromonte; e, in quanto «mondo», non solo degli uomini, delle donne e delle loro quotidiane tribolazioni, ma anche della natura e dei paesaggi che li circondano. Vi è in Emigranti una straordinaria conoscenza dei luoghi e un profondo amore per l’Aspromonte. Vi è una finissima introspezione psicologica dei personaggi. Vi è un incalzante ritmo narrativo. Ma vi sono anche momenti di pura contemplazione estetica del mondo della natura. Anche in Emigranti, come in tutte le altre storie della letteratura del Novecento calabrese, un senso di morte aleggia sulla vicenda narrata. Tuttavia, non c’è spazio per la disperazione perché non c’è morte senza rinascita.
Tanto più la realtà, la società, il mondo si allargano, si espandono, si complicano - causando per questo, nell'uomo, un senso di smarrimento e di paura - tanto più è necessario che egli ritrovi se stesso in un cammino interiore profondo e vero. Alla «globalizzazione» si può far fronte con l'«interiorizzazione»; al «distanziamento sociale» con l'intimità. Conoscere se stessi, diventare consapevoli della propria vita interiore e della propria storia, è il primo passo per un'esistenza forte, libera e riconciliata. Questo libro non è un manuale né una considerazione astratta sui tempi moderni: è una raccolta di esercizi per la vita quotidiana, da fare nel rispetto del mistero della propria persona. Nel «conoscere» te stesso c'è in ballo la tua storia, la tua vita, assolutamente personale e unica, di cui devi avere rispetto e timore assoluto, come se non ti appartenesse del tutto, come se non fosse tua. Non è solo tua.
Chi è Mariella Enoc, la donna che papa Francesco ha di recente confermato alla presidenza dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù? Lo stesso Bergoglio l'ha definita "una leonessa", e anche la stampa - nazionale e internazionale - ne parla spesso come di una "lady di ferro", una "donna tenace". Queste formule, però, ci restituiscono solo una parte della caratura umana e professionale di una delle più importanti manager italiane in campo sanitario. Il dialogo con il padre gesuita Francesco Occhetta ci permette invece di ripercorrere non solo la sua parabola lavorativa, ma di scoprire i nodi più significativi di un'esistenza indubbiamente ricca. Le gioie e le ferite; le speranze e le paure; le convinzioni incrollabili e i dubbi irrisolti; le battaglie vinte e quelle perse, ma comunque combattute sempre fino in fondo. Come nel tragico caso dei tentativi per non far rimuovere la ventilazione assistita al piccolo Alfie Evans. Ecco dunque che al racconto degli anni alla presidenza della Fondazione Cariplo, della Confindustria piemontese o dell'ospedale pediatrico della Santa Sede, si affiancano le esperienze del laicato, quelle nell'Azione Cattolica e nella formazione dei catechisti, gli incontri con grandi personalità della Chiesa e le riflessioni sui temi dell'etica medica o del rapporto tra azione personale, cambiamenti sociali e impegno per ricostruire la politica italiana. A emergere, tra aneddoti e immagini memorabili, è il profilo di una manager che è stata capace di non conformarsi alla cultura dominante - promossa da università e aziende - che vede nel dirigente una persona chiamata solo a far quadrare i conti, a discapito di tutto il resto. Il risultato è un volume denso, che riesce a offrire il bozzetto di una vita attraverso le scelte che l'hanno strutturata e le principali riflessioni che l'hanno ispirata. Per offrire al lettore la possibilità di sostare per interrogarsi su temi che toccano l'esperienza umana e la vita sociale.
L'idea essenziale che si intende sviluppare nel testo è l'importanza fondamentale di riscoprire l'attuazione pratica dei principi di libertà e partecipazione come sono presentati e vissuti personalmente da don Luigi Sturzo, in piena sintonia con la Dottrina Sociale della Chiesa. Si vuole mettere in luce come tali principi, se incarnati e vissuti anche a costo di pagare prezzi alti in termini di coerenza e credibilità, possano realmente scuotere le coscienze sia dei credenti sia degli uomini di buona volontà, in vista di un impegno più fattivo in ambito socio-politico. Tali principi, infatti, costituiscono la base imprescindibile di ogni autentico ideale democratico. Si mostra anche come essi abbiano attuali applicazioni nella politica, nella scuola, nell'amministrazione della città come si possa contribuire a risolvere problemi pratici e quotidiani - non per questo banali - favorendo, sulla scia di don Sturzo, la libertà e la partecipazione a livello individuale e associato.
Un coacervo di idee alle quali il nostro autore ha fattivamente partecipato, organizzando le prime marce per la pace, creando collegamenti tra disparate personalità, dando vita a centri di volontariato e via dicendo; con l'intento precipuo di superare gli egoismi, di mettere le proprie energie al servizio di tutto quel che potesse aiutare a superare gli egoismi, contro i privilegi di classe, ma anche degli interessi delle gerarchie clericali. Un discorso del quale vengono qui riprese le fila con lucidità teorica, ma anche con accensione poetica: dei "semplici appunti" ordinati con liturgico richiamo alle evangeliche letture della messa domenicale e che però si appoggiano, con inusitata precisione, alla prassi politica e fanno ricorso costante alla preghiera. Mostrando una strada "stretta e difficile", ma che potrebbe essere decisiva per correre ai ripari in questi "tempi duri".