Un testo unico che nasce dall'esperienza di un parroco della Toscana. L'Autore spiega in modo molto chiaro ed esaustivo il fenomeno preoccupante di cartomanti, veggenti, sensitivi che, sfruttando la credulità popolare, guadagnano cifre incredibili. Dati statistici indicano che circa 7-8 milioni di italiani alimentano un mercato che ha un fatturato di 5 mila miliardi all'anno. Padre Bamonte propone quindi rimedi per uscire dalle truffe.
Il volume è rivolto alle persone che hanno avuto contatto con maghi, a coloro che hanno sentito parlare del fenomeno, ma soprattutto agli operatori pastorali che desiderano aiutare i malcapitati, sempre più numerosi, ad uscire dagli imbrogli di cui sono rimasti vittime.
Quando la vita di un bambino, vissuta come un bel gioco, è improvvisamente interrotta da una grave malattia, è sofferenza indicibile. A volte, dopo cure adeguate, il gioco riprende con rinnovata gioia su questa terra. Altre volte il gioco può continuare solo in cielo.
Questo libro raccoglie le lettere che l'autrice - da anni volontaria accanto a bambini malati - ha indirizzato a coloro che sono andati a giocare in Paradiso, "perché possano continuare a vivere nel cuore di coloro che li hanno conosciuti, e di quanti leggeranno questo libro, di cui essi sono i principali autori" (dalla Premessa).
Con stile elegante e arguto il volume racconta particolari curiosi, e perlopiù sconosciuti, della vita all'interno della Città del Vaticano. Vi si possono trovare anche episodi storici e notizie "riservate" raccolte da Nino Lo Bello nella sua pluriennale attività di corrispondente dal Vaticano.
In sintesi: Tutto quello che avete sempre voluto sapere sul Vaticano ma… non sapevate a chi chiederlo.
Qual è il soprannome di Giovanni Paolo II? A quanto ammonta lo stipendio di un Papa? Dove tiene il Vaticano i suoi "elefanti bianchi"? Quale fu la causa che spinse il Vaticano ad entrare in guerra con un altro stato? Questi e altri 500 aneddoti, facezie curiosità sul Vaticano, sui Papi, su duemila anni di storia cristiana sono contenuti in questo originale volume.
Alla scuola di santa Caterina, figure significative come il cardinale di Milano, il Vescovo emerito di Ivrea e la responsabile dell'Ufficio Scuola - Pastorale scolastica di Arezzo, Cortona e Sansepolcro affrontano il delicato tema della relazione del prete con la comunità cristiana.
Il prete infatti vive nella Chiesa, ne fa parte e «riceve» da essa; contemporaneamente, la serve, presiedendo la celebrazione eucaristica.
Questo volume mettendo a tema questa relazione, le difficoltà e le opportunità che incontra in questa stagione della Chiesa, le evoluzioni positive e le involuzioni che essa può registrare si rivela un aiuto prezioso per ogni prete, in particolare per chi vive i suoi primi anni di ministero.
Prefazione di Luigi Negri
Una rilettura critica delle biografie di Pio IX (1792-1878) e Giovanni XXIII (1881-1963), due papi tanto uguali quanto diversi, singolarmente uniti da una comune beatificazione che si svolgerà a Roma il 3 settembre di quest'anno. Gli Autori hanno rivisitato le storie dei due papi in modo parallelo, utilizzando un linguaggio brillante e accessibile. Andando al di là dei luoghi comuni, ne sono emerse due figure significative ed emblematiche.
È il primo e unico volume che presenta la storia dei coniugi Maritain attraverso un personaggio che è vissuto accanto a loro per tutta la vita: Vera, sorella di Raissa. Una figura sconosciuta ai più, ma fondamentale, al punto da far ammettere a Jacques: «la nostra opera non sarebbe stata possibile senza di lei». E questa verità viene rivelata attraverso documenti assolutamente inediti che l'Autrice dopo dieci anni di lavoro paziente e attento ha rinvenuto nel centro studi Maritain a Kolbsheim: si tratta di lettere, appunti, carteggi che Vera ha lasciato a testimonianza di tutto questo e che sono riprodotti all'interno del volume.
INDICE
I. In terra russa in terra ebrea
II. Parigi
III. L'incontro con i Bloy
IV. Heidelberg
V. Nuove tappe nuovi incontri
VI. I miracoli dell'amicizia
VII. Versailles
VIII Meudon
IX. Fra artisti e poeti
X. Nuovi amici
XI Amiche di Vera
XII. Lotte e incomprensioni
XIII New York
XIV. Roma
XV. Ritorno in America
XVI. Verso il tramonto
XVII. Profilo spirituale di Vera
XVIII. Spiritualità di Vera
Congedo - Indice dei nomi
Prefazione di Silvano Fausti e Carlo Casalone
«Leggendo questo libro, scritto in tedesco da un gesuita ungherese, professore di teologia in Argentina, si comprende come abbia potuto avere una così grande fortuna in Germania. Si rivela al lettore come un'opera originale e unitaria che offre una valida sintesi tra le varie tradizioni culturali. «L'intento del libro, facile e fruibile, è quello di proporre una serie di "esercizi" spirituali da fare per percorrere un cammino a dieci tappe, e diventare un "contemplativo nella vita quotidiana"» (Silvano Fausti).
Dalla Prefazione di Giulio Andreotti
Le procedure con cui la Chiesa istruisce le cause di beatificazione non possono forse esser diverse dallo schematismo con cui si articolano, prima nelle diocesi e poi a Roma. Ne risulta un modello suddiviso in tanti rivoli per constatare se le singole virtù dell'esaminato siano state vissute in grado "eroico". Si rischia così di perdere la sintesi della relativa personalità, appesantendo l'itinerario verso il riconoscimento con tutta una serie di frazionamenti accertativi. So bene che, ferma restando questa impressione di burocraticismo, non è facile individuare un mezzo di analisi differente. E mi scuso per il rilievo. Nel presente libro si sintetizzano le deposizioni dei testi affrontando direttamente anche qualche punto che, peraltro, è scomodo in un'ottica politica e non sotto il profilo della santità. Mi riferisco in particolare a una certa indulgenza giovanile di don Carlo verso il fascismo, in cui non è assolutamente necessario cercare e dare giustificazioni. Nel desiderio di apostolato tra i giovani impegnarsi nel campo delle organizzazioni dell'epoca era piuttosto naturale. E, con il suo carattere incline a vedere più il bene che il male non stupisce che nello stesso massimario mussoliniano le cose positive lo attraessero, senza per questo divenire un fanatico sostenitore del regime, né un indulgente simpatizzante generale. Così pure nella sua esperienza di cappellano degli alpini, non si troverà mai traccia di militarismo e tanto meno di odio verso il nemico. Il fascino di don Carlo nel non facile mondo delle penne nere fu tale che quando partecipava - berretto fieramente portato - ai raduni annuali era sempre al centro delle attenzioni affettuose dei reduci. Spostandosi in un altro campo della vita di don Gnocchi, l'autore "rivisita", alcuni momenti caratteristici della sua vita, tra i quali la vicenda dell'Angelo dei bimbi. Il volo di propaganda oltreoceano per la causa dei mutilatini non aveva come scopo prevalente la raccolta dei fondi. È quindi mal posta la critica per il conto addirittura passivo dell'impresa. Associando al suo sforzo Bonzi e Lualdi riuscì invece a entrare in un mondo fino a quel momento insensibile verso la pedagogia cristiana del dolore innocente. L'incarico pubblico affidatogli da De Gasperi urtò contro l'inguaribile anticlericalismo di alcuni circoli. Sotto un altro profilo dava fastidio ai "professionalisti" dell'assistenza il volontarismo e il disinteresse totale di don Gnocchi e dei suoi immediati collaboratori. Che il servizio di guerra gli avesse lasciato tracce non lievi era risaputo. Ma eravamo talmente abituati al suo dinamismo che sembrarono non invincibili i primi sintomi di stanchezza: parola sconosciuta nel suo vocabolario. Se ne andò rapidamente e forse molti capirono in quel momento chi fosse don Carlo. Ricordo la strabocchevole e commossa folla che lo accompagnò in Duomo; le lacrime di grandi e di bambini. A rendere struggente il lutto contribuì anche la notizia che aveva donato i suoi occhi a due fanciulli. Fu in quel pomeriggio milanese che don Carlo venne di fatto elevato agli altari; così come tanti secoli prima il popolo ambrosiano aveva eletto il suo vescovo Ambrogio. I fascicoli rituali sono necessari e ben vengano. Ma alla fine non saranno che la ricognizione di una inconfondibile espressione della vox populi.
DALLA PRESENTAZIONE DI GIANFRANCO RAVASI
Il famoso teologo Hans Urs von Balthasar scriveva: "Gli angeli circondano l'intera vita di Cristo: appaiono nel presepe come splendore della discesa di Dio in mezzo a noi; riappaiono nell'ascensione come splendore della nostra ascesa in Dio". Tra questi due estremi, l'angelo del Natale e l'angelo della Pasqua, sulla vita di Gesù, come sull'intera trama della Bibbia, si distende un volo angelico. Giovanni Santambrogio da questo immenso coro celeste ha fatto uscire le figure forse più popolari, quelle che vegliano sulle origini terrene del Figlio di Dio: nei racconti evangelici dell'infanzia di Gesù l'angelo fa capolino quattro volte nel testo di Matteo e ben quattordici volte in Luca. Il mistero che "entra nell'esistenza senza clamori" - come scrive Santambrogio - ha epifania attraverso Lorenzo Lotto con la sua Annunciazione della Pinacoteca Civica di Recanati. È nella quotidianità trasfigurata dell'abitazione di Maria, col letto massiccio, l'inginocchiatoio, i libri, il candelabro, il calamaio e persino un gatto spaventato (forse l'inquietante presenza del male demoniaco, costretto alla fuga), che si presenta l'angelo quasi timido e "umano", latore di un messaggio dirompente che viene da quel Dio, il quale è fasciato dalla veste rossa dell'amore. Lotto, dunque, "ama stupire servendosi della semplicità", riproponendo in tal modo l'anima genuina del mistero di un Logos eterno e perfetto che si fa sarx, carne fragile e limitata nella quotidianità dell'esistenza. La notte gelida, un brivido di luce, pastori attorno a un ciocco che arde, un manto di neve, una grotta con alcune presenze povere ma solenni, e in alto gli angeli, tanti angeli a intonare il corale quasi cosmico del Gloria in excelsis: è pensata sempre così la "Natività di Cristo" in mille tele, tavole o affreschi o sculture, in opere celebri e in oleografie modeste, in mille e mille presepi e in altrettante canzoni natalizie. Tutto, però, era cominciato prima, a Nazaret, con l'angelo dell'Annunciazione, il cui nome, Gabriele, già si affacciava nel libro profetico di Daniele. Ed è proprio all'angelo Gabriele che si riferisce Santambrogio, dandogli il volto che per lui aveva immaginato il Beato Angelico nel dipinto del Prado di Madrid. Già la designazione onomastica di questo pittore è un emblema: John Ruskin, critico d'arte e artista in proprio, sosteneva che la vita stessa di questo pittore di fede e di luce "era quasi interamente dedicata allo sforzo di immaginare esseri appartenenti a un altro mondo". Sotto quel portico dalle volte azzurre e popolate di stelle, ove s'intravedono la colomba e la rondine e ove irrompe la luce della mano di Dio, si celebra il grande mistero cristiano dell'incarnazione, affidato proprio alle parole dell'angelo a Maria: "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo" (Lc 1, 31-32). A margine della scena lucana dell'Annunciazione a Maria, vogliamo ricordare che Matteo conosce, invece, un'Annunciazione a Giuseppe, anch'essa segnata da "un angelo del Signore" che in una visione notturna invita questo "figlio di Davide" a non "temere di prendere Maria" (Mt 1, 20) come sua sposa. E la tradizione apocrifa identificherà quell'angelo nello stesso Gabriele che aveva parlato a Maria. Giuseppe sarà sempre accompagnato dagli angeli nei primi tempi, già tormentati, della vita del neonato Gesù: "Un angelo del Signore gli apparve in sogno e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto" (Mt 2, 13). E dopo il soggiorno egiziano, "morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese d'Israele" (Mt 2, 19). Entrato in Palestina, "avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret" (Mt 2, 22-23). C'è, però, un'altra Annunciazione, quella che squarcia il cielo notturno di Betlemme e che ha per destinatari i pastori (Lc 2, 8-20). Santambrogio sceglie un pittore senese del Quattrocento, Sano di Pietro, per far balenare davanti ai nostri occhi quell'angelo in abito rosso fuoco, più intenso della fiamma che riscalda il gelo notturno di due pastori, del loro gregge e del loro cane. Su quei visi stanchi si fanno strada lo stupore e la serenità, mentre essi seguono l'indice dell'angelo che li indirizza a una città sul monte a Betlemme. Questa irruzione nel torpore di un'esistenza misera e marginale è decisiva anche per l'altro pittore che è convocato a illustrare quella rivelazione, Jacopo Bassano. Ora è un solo pastore a notare quell'angelo, mentre i suoi colleghi proseguono quelle azioni che colmano una vita senza grandi sussulti e speranze. Un fascio di luce isola il pastore dagli occhi più intensi, mentre sugli altri si stende la coltre dell'oscurità. Anche in questa scena l'indice dell'angelo, che appare su una nube a forma di cocchio, è significativo. Anzi, entrambi gli indici delle mani sono coinvolti: l'uno rivolto verso l'alto, a Dio che parla, l'altro puntato verso il pastore scelto perché annunzi agli altri la parola divina dell'incarnazione. Ed è ormai a Betlemme, nello spazio spoglio e povero del Natale, che dobbiamo dirigerci con quel pastore per l'ultimo incontro angelico. Dopo l'annunzio, ecco la presenza. Santambrogio sceglie anche in questo caso due soggetti pittorici. C'è innanzitutto la Natività mistica, l'unica tela datata e firmata da Botticelli (1500), un piccolo dipinto di un metro per settantacinque centimetri. Sulla scia della predicazione savonaroliana, ad alimentare l'iconografia non sono solo i Vangeli, ma anche l'Apocalisse con la celebre figura della madre del capitolo 12. Il pittore "proietta, così, il fatto storico nell'epifania di tutti i tempi". La grotta, che evoca il grembo di Maria, è sormontata da una capanna che può diventare metafora della "casa" del corpo di Cristo. E sopra il tetto, ecco gli angeli della fede, della speranza e della carità che cantano la gloria divina ma che, col libro aperto, offrono il messaggio della salvezza all'umanità, mentre lassù nel cielo danzano altri dodici angeli, riflesso del numero sacro caro alla Gerusalemme nuova dell'Apocalisse (capitolo 21). Tocca al Caravaggio concludere la sequenza angelica natalizia che scorre in queste pagine. Con gli angeli della Natività di Palermo si ha la rappresentazione della "visibilità di Dio che parla" all'umanità. Il pittore intreccia tra loro alcune figure: Maria, Gesù, i pastori, san Lorenzo e san Francesco, e l'angelo "che spiomba dall'alto come un giglio scavezzato dal proprio peso" (R. Longhi). Commenta Santambrogio: "Lui, l'angelo, dà senso a tutta la scena. Eppure non vediamo i suoi occhi, il viso è seminascosto, non leggiamo alcuna espressione sulle labbra. Tutto è affidato al gesto delle braccia distese: la destra protesa verso il cielo con l'indice puntato e la sinistra rivolta verso il bambino adagiato sopra un bianco lenzuolo". Il trittico angelico natalizio sta ora davanti a noi nelle sue tre tavole dell'annuncio a Maria, ai pastori e al mondo intero con la nascita di Cristo. Ancora una volta gli artisti sono stati capaci di compiere una "esegesi" del testo evangelico svelandone il mistero profondo, trasfigurandone le parole in epifania di luce, attualizzandone il messaggio per noi che celebriamo ogni anno il Natale di Cristo nella fede e nell'amore. Giustamente un pittore a noi cronologicamente più vicino, Chagall, diceva che gli artisti hanno intinto per secoli il loro pennello nell'alfabeto colorato delle Sacre Scritture. E lo hanno fatto anche per il "nostro Natale", come scrive Santambrogio nel suo ultimo capitolo, ove a chiamarci alla grotta di Betlemme sono, però, gli scrittori, alcuni attesi come Claudel o Rilke, altri apparentemente fuori luogo, eppure anch'essi giunti davanti al Bambino, come Nietzsche e Sartre. Ed è proprio con uno scrittore lontano dalla fede cristiana che vogliamo suggellare l'originale meditazione natalizia presente nelle pagine che seguiranno. È Bertolt Brecht, famoso drammaturgo tedesco, che in una poesia ci ricorda quanto il Natale sia necessario, soprattutto per gli ultimi della terra:
Oggi siamo seduti, alla vigilia
di Natale, noi, gente misera,
in una gelida stanzetta,
il vento corre di fuori,
il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi,
volgi lo sguardo:
perché Tu ci sei davvero necessario.