Questo studio si propone di illustrare le concezioni dell'educazione come esperienza, elaborate da due personalità della cultura del Novecento, John Dewey e Romano Guardini, che con il loro insegnamento, la loro riflessione e i loro scritti hanno esercitato un influsso enorme su intere generazioni di insegnanti e di educatori. Quali sono le coordinate del fenomeno "esperienza"? Quali fattori, dinamismi e orizzonti lo caratterizzano? Che cosa significa intendere, e praticare, l'educazione come esperienza? L'indagine prende le mosse dalla particolare situazione storica e culturale in cui questi interrogativi sono state percepiti e sviluppati dagli autori, per condurre, attraverso la recensione dei tratti essenziali della loro visione dell'educazione, a una sintetica prospettazione complessiva delle rispettive concezioni pedagogiche.
In questa ricerca Tommaso d’Aquino emerge come interlocutore di rilievo nel dibattito filosofico contemporaneo su temi di indubbio interesse, come la prospettiva gnoseologica sulla conoscenza veritativa, la tensione al bene, la libertà e l’identità umana, ragione e passioni, amore e amicizia, riconoscimento e dignità umana, felicità e fine ultimo. La vitalità della filosofia di Tommaso si riscontra non solo in quei pensatori che, nel nostro tempo, la prendono come punto di riferimento nei propri originali itinerari di ricerca (Edith Stein, Cornelio Fabro), o nelle cui posizioni si può riconoscere un’influenza tommasiana, almeno indiretta (Charles Taylor, Alasdair MacIntyre), ma anche di fronte a problemi e istanze provenienti da chi si considera su posizioni diverse o, addirittura, in radicale discontinuità rispetto all’Aquinate (Kant, Sartre, Habermas, Honneth, Ricoeur). Infatti riguardo a quei problemi è possibile, con il contributo di illustri tomisti contemporanei, rinvenire nella prospettiva tommasiana risposte non evasive.
Leggendo Il Signore degli Anelli colpisce molto la somiglianza tra le verdi distese di Rohan e le Grandi Praterie americane, i giardini di Gondor e quelli italiani, le lande desolate di Mordor e alcuni deserti asiatici. Possiamo toccare l’erba, sentire l’odore, apprezzare i colori di questi paesaggi e riconoscerli perché, nel mondo immaginario creato da J.R.R. Tolkien, gli ambienti naturali sono “reali”. Questo libro guida il lettore tra gli habitat della Terra di Mezzo, facendogli incontrare le creature fantastiche che li popolano: Baccador la figlia del fiume, Shelob il ragno gigante delle caverne, Barbalbero il pastore di alberi. Si affrontano i grandi temi che questi luoghi richiamano alla memoria, come gli effetti della guerra nelle Paludi Morte e negli acquitrini delle Fiandre. È stato approfondito anche l’aspetto iconografico dell’opera di Tolkien. Il libro è corredato da illustrazioni in bianco e nero, da un’esauriente bibliografia sull’autore e da percorsi di lettura tematici.
Questo lavoro è un contributo di ricerca nell'ambito della creazione artistica. L'approccio metodologico "azzardato" è quello fenomenologico, che trae ispirazione dal pensiero di Edmund Husserl e incontra Max Scheler, Edith Stein e la Scuola Milanese di Fenomenologia. L'analisi fenomenologica dell'arte apre, in questo contesto, alla questione relativa all'essenza della natura umana e alla sua genesi, alla genesi del soggetto corporeo-spirituale che attraverso il fare dell'arte vuole appropriarsi creativamente della realtà circostante, della natura e della sua storicità.