Le due raccolte di Dialoghi, riunite in questo volume, sono molto antiche. La loro prima stesura risale al mio trentesimo anno, quando approdai all'Ordine dei frati di Francesco d'Assisi e tentai di riassumere in forma dialogica il percorso da me seguito per dare un senso alla mia esistenza. La loro composizione e la marcata differenza delle loro tematiche rappresentano con chiarezza e rigore la mia formazione, avvenuta nel solco della tradizione occidentale. Questa, nei Dialoghi, è stata rielaborata poeticamente e, soprattutto, concentrata in poche figure di filosofi e saggi, scelte tra quelle che in modo più profondo di altre avevano determinato il mio modo di sentire e pensare, di volere e di agire. Nella prima raccolta predominano i personaggi della tradizione antica - greca, latino-cristiana e umanistica -, in cui prevale la ricerca di un senso del destino dell'uomo in Dio, mentre nella seconda predomina su tutto Francesco di Assisi, quale rappresentante più genuino della via di Dio secondo il Vangelo. E tuttavia, oggi, devo riconoscere con franchezza che la via da me percorsa e descritta è solo una delle molteplici vie di salvezza che un uomo può percorrere durante la sua breve vita sulla terra. Altre infatti sono a lui offerte da altre tradizioni filosofiche e religiose, che in forme diverse perseguono lo stesso fine: educare l'uomo a vivere con saggezza e secondo giustizia.
Dal 1992 ad oggi alcuni concetti sono diventati luoghi comuni indiscutibili della pubblicistica e del discorso politico, giornalistico e culturale italiano. Tra questi la "società civile" occupa un posto di regina indiscussa. Tutto ciò che proviene dal suo magico mondo è stato ammantato da virtù redentrici. La politica si è così trasformata inseguendo modelli e miti riferiti alla società civile, fino a raggiungere il traguardo per cui tutto quanto possa anche solo apparire professionalità e autonomia della politica viene visto con sdegno o con sospetto. Berlusconi, Grillo e Renzi sono, in forme e misure diverse, aspetti di questo fenomeno. Michele Prospero, intellettuale italiano tra i pochi a preferire da sempre il nuotare contro la corrente, con la sua prosa ironica e sferzante, va dunque all'attacco della regina. In questo libro Prospero ricostruisce i nefasti esiti dei diversi "nuovismi" ispirati al mito della società civile. Ne esce un ritratto allarmante della politica italiana, ridotta a spettacolo, indifferente ai contenuti e irrilevante rispetto alle vere decisioni, sempre più delegate a tecnici e "poteri forti". Con il risultato, a tratti paradossale, che gran parte della vera "società civile" finisce per scomparire dalla scena, mentre la politica, allegramente, si occupa d'altro.
Per la prima volta escono in lingua italiana "Tutti i racconti" di Irene Némirovsky, di cui questo primo volume contiene le prose di esordio e dei primi anni della maturità (1921-1934). Si tratta di testi che nella loro intelaiatura rivelano la ricchezza e la complessità della scrittura di un'artista che non ha esitato a ricorrere a originali contaminazioni di codici tra il genere letterario propriamente detto, il diario, il cinema, il teatro ecc. Sotto l'apparente leggerezza dello stile narrativo prendono corpo le vicende di uomini e donne che si succedono nelle generazioni, incastonando, ciascuno a modo proprio, uno squarcio di verità, ora tenera e ironica, ora drammatica, così com'è la vita. La delicatezza del tratto e la minuzia dell'osservazione con cui pagina dopo pagina si snodano le storie dei vari protagonisti non devono farci dimenticare la lucidità di osservazione e la singolare forza espressiva di una possente scrittrice che viene meritatamente oggi annoverata fra i grandi interpreti del Novecento. La crudezza e il nichilismo che abitano i suoi anti-eroi diventano icona della disfatta e della morte che investono gli anni fra le due guerre. Eppure Némirovsky riesce a insinuare in questo male di vivere il soffio della vita. Come scrive Roberto Deidier nell'Introduzione, "sotto il velo della Storia la vita continua a battere. E pulsa proprio di quel mistero, di quell'élan per cui è ancora capace di trasformare la sofferenza in amore".
"Fratelli e sorelle, buona sera!": il saluto del nuovo pontefice Jorge Mario Bergoglio, il 13 marzo 2013, irrompe su piazza San Pietro e travolge i fedeli che attendevano la fumata bianca. Ma cosa significa la sua elezione per il mondo intero? Quali le storie, le scelte, le sfide che il nuovo papa porta con sé? E quale la portata rivoluzionaria delle sue parole? La volontà di chiamarsi Francesco, il coraggio di abbracciare per primo il nome e la missione compiuta dal santo da sempre più amato e più vicino al messaggio evangelico, è simbolo di un fortissimo cambiamento. Le sue omelie sono per gli ultimi, i poveri, gli immigrati, gli abitanti delle periferie non solo geografiche ma soprattutto esistenziali della Terra; chi meglio di lui, vissuto in uno dei paesi che più soffre l'ingiusta distribuzione dei beni, l'Argentina, sarebbe in grado di toccare le ferite aperte della società di oggi, dalle disuguaglianze sociali alla condizione femminile, dallo stato delle carceri alla frustrazione dei giovani? Attraverso lo sguardo di Fabio Zavattero, testimone in prima linea di un'elezione papale memorabile, questo libro tratteggia la vita, le opere e le prime scelte di papa Francesco, ci aiuta a comprenderne le problematicità e a delineare quello che forse sarà d'ora in avanti il cammino di una Chiesa più impegnata nel "corpo a corpo" con la realtà.
"Il titolo in inglese di questo libro 'News front Nowhere' ha un significato esplicito, 'Notizie da nessun dove', ed uno nascosto che emerge spezzando la parola nowhere in now here, che significa 'ora qui'. Due tipi di realtà si confrontano e si mescolano: un domani utopico e un oggi che contiene tutte le potenzialità e i conflitti necessari per trasformarsi in un domani migliore [...] Il gioco di parole potrebbe quindi voler dire che quell'ambiente pacificato che egli descrive (il sottotitolo è 'An epoch of rest', 'un'epoca di riposo') è a nostra disposizione solo che lo si voglia conquistare, che si voglia iniziare quel ciclo di eventi difficile e doloroso che ha fatto nascere una nuova società senza concorrenza, senza strutture gerarchiche, senza classi contrapposte [...] La descrizione di Morris calza perfettamente al mondo in cui viviamo e ce ne illustra le capacità autodistruttive, è un ritratto fedele e profetico della società del consumismo e della crescita illimitata in cui l'economia è diventata la disciplina dominante che sopprime ogni fine o confonde i fini con i mezzi e propone una assurda omogeneizzazione del mondo." (dall'introduzione di Paolo Portoghesi)
Il ritratto di un mondo al tracollo e dell'intimo fallimento di un'intera generazione. Il mondo descritto ne "La preda" è la Francia degli anni '30, stretta nella morsa della Grande Depressione, e il compito di rappresentare una generazione di giovani spogliati di ogni ideale, di ogni sogno, di ogni aspirazione è affidato a Jean-Luc Daguerne che decide di sfuggire alla minaccia di un destino segnato. La sua famiglia è in rovina, la disoccupazione è alle stelle, la società scricchiola e fosche nubi si addensano all'orizzonte storico. L'unica salvezza è il potere, che resiste a ogni crisi. E Jean-Luc farà di tutto pur di ottener-lo. Sacrificherà gli affetti, soffocherà gli scrupoli, accetterà compromessi e tradimenti, manovrerà la vita propria e altrui come uno stratega seduto dietro una scacchiera. E perderà tutto nel breve spazio di un incontro. Tra le braccia di Marie le sue ombre si dissipano, rischiarate da una luce ardente, sconosciuta sino ad allora: la sorda ambizione cede il passo a un profondo senso di abbandono e sotto la scorza del cinismo riemergono passione e tenerezza. E a questo punto che, con un rovescio di prospettiva, vincitori e vinti, vittime e carnefici, prede e predatori invertono i loro ruoli, il male cambia volto e gli opposti destini si predispongono a un medesimo epilogo. Il talento lucido, affilato, vigoroso di Irene Némirovsky sa restituire le dolenti contraddizioni che abitano l'animo umano.
Dalla rivoluzione liberista di Reagan e della Tatcher il Welfare State è sotto assedio in base al principio che ogni persona è responsabile del proprio destino, per quanto triste esso sia, e che lo Stato non è tenuto a tutelarlo. Sono concetti che negli Stati Uniti la destra sostiene, portando ad esempio il crollo dell'Impero romano, schiacciato, secondo la loro opinione, dal peso del welfare, e non dalla corruzione, dalle spese militari e dalle invasioni barbariche. La deduzione è scontata: "La seconda Roma non deve imitarlo. Ma è davvero così"? Con rinnovata curiosità Ennio Caretto indaga il "welfare" al tempo degli antichi romani, nell'epoca degli Antonini, il periodo della Pax e della humanitas, per scoprire che scuola e sanità pubbliche, sindacati, verdi, progressisti, populisti, diatribe sulla pena di morte, erano cose che esistevano già e che, forse, in duemila anni non sono cambiate poi così tanto. Un viaggio inatteso e interessante che, attraverso i secoli, ci porta a riflettere su due superpotenze, la Roma caput mundi e gli Stati Uniti, separate nel tempo ma non prive di similitudini.
Giovanna Loccatelli mostra uno spaccato inedito delle rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia. Attraverso la produzione dei tweet dei manifestanti siamo catapultati dentro i cortei e nella loro organizzazione, vivendo le emozioni, l'orrore e soprattutto il coraggio dei tanti giovani scesi in piazza per rivendicare i propri diritti. Le manifestazioni al tempo del web 2.0, come non era mai stato possibile viverle prima dell'avvento dei social network. Un'arma a doppio taglio, però, usata anche dai regimi per reprimere la contestazione. Con un documento esclusivo in appendice: il manifesto organizzativo dei giovani egiziani. Prefazione di Antonio Padellaro.
Attraverso le biografie dei suoi principali protagonisti - da Jelly Roll Morton a Billie Holiday, passando per Louis Armstrong, Bix Beiderbecke, Fletcher Henderson, Duke Ellington, Coleman Hawkins, Cab Calloway, Count Basie, Benny Goodman e Lionel Hampton - il libro ripercorre l'affascinante epopea della nascita e dell'affermazione del jazz, dai suoi albori nella New Orleans di inizi Ottocento fino allo swing degli anni Quaranta del secolo successivo. La leggenda del jazz, i ritratti dei suoi "imperatori", "duchi" e "re", si accompagna al racconto della fondazione dell'industria editoriale della musica americana, alla nascita delle prime etichette discografiche e dei primi spartiti. Da questo viaggio appassionante e avventuroso emerge con chiarezza l'enorme importanza che l'idioma del jazz ha avuto nei procedimenti compositivi del XX secolo, sia per la musica euro-colta che nell'ambito della musica popolare o leggera. Stefano Cataldi ci restituisce così la vicenda di una musica che nasce tra gli schiavi dell'Africa e diviene il canto di un popolo che emigra, che abbandona la sua terra per farsi schiavo in un altro continente, ma che, proprio attraverso quella musica, riesce a vincere il proprio destino, conquistando la cultura americana e lasciando un segno indelebile nella nostra identità.
Scrive Alessandro Portelli nell'Introduzione a questi ventisei racconti inediti di Mark Twain: "Si dice spesso che Mark Twain è uno di quegli scrittori che possono essere citati sia pro sia contro su qualunque argomento". Vero è che si trova pressoché di tutto, in questa multiforme e affascinante raccolta di storie, articoli e aneddoti, pubblicati nel 2009 per festeggiare il centenario della morte di uno dei più grandi scrittori della letteratura statunitense. Questioni universali più che mai attuali e ricordi personali si fondono e si intersecano, sempre affrontati con sottile ironia e acume brillante. L'autore cerca e ottiene la complicità del lettore, che insieme a lui ride (spesso amaramente), riflette, s'indigna e reagisce di fronte alle assurdità del nostro mondo. Lo stile tagliente non risparmia sferzate polemiche al sistema politico e sociale americano, a volte con attacchi diretti - come nel racconto autobiografico "Sulle spese di spedizione di un manoscritto d'autore", in cui il Congresso degli Stati Uniti è definito "Manicomio Nazionale" - a volte con fini e non troppo velate metafore - come nella favola esopica "La giungla discute dell'uomo", o nell'immaginaria discussione tra monete raccontata ne "La lite nel forziere". Eppure, in Twain, le satire e le parodie del suo presente (così spesso simile al nostro!) non eliminano l'orgoglio di sentirsi parte attiva di un paese libero. Un contrasto solo apparente - o forse, una contraddizione insolubile.
Nichi Vendola. L'estremista. Il professionista di partito. Il comunicatore senza sostanza. Chi è il vero Vendola? Cristina Cosentino e Giuliano Rosciarelli, profondi conoscitori dell'universo vendoliano, hanno scavato per mesi nel passato, nel presente e nel possibile futuro del candidato alla Presidenza del Consiglio più inedito della storia italiana. Partendo dalle origini, dalla giovinezza fino alla battaglia contro l'establishment politico ed economico pugliese e contro i vertici nazionali del centrosinistra, per arrivare alla candidatura alle primarie e al movimento delle Fabbriche di Nichi, interrogando centinaia di persone che hanno conosciuto Vendola e decine di osservatori indipendenti della cultura, dell'economia e dell'informazione, oltre allo stesso Vendola. Ne è emerso un uomo, prima ancora che un politico, plurale, complesso, ricco di sorprese. Un uomo che potrebbe riservarne, di sorprese, a tutta l'Italia, dopo aver sovvertito gli equilibri della Puglia. In molti si domandano se Vendola possa essere l'Obama italiano. Un omosessuale dichiarato, un cattolico sofferto e appassionato, un uomo del Sud che vuole un altro Sud, un comunista che crede nelle riforme e nella non violenza, un oratore in grado di citare Pasolini parlando dei problemi della vita di ogni giorno. In realtà Vendola appare come il prodotto di culture e di storie profondamente italiane, di quell'Italia che l'era berlusconiana aveva fatto dimenticare.