In seguito alla morte del marito, Maria Leonor, madre di due figli, è sopraffatta dalla difficile gestione della fattoria di famiglia in Alentejo e dallo stretto controllo del suo ambiente. Dopo mesi di profonda depressione decide di affrontare i suoi doveri di proprietaria terriera, ma il suo cuore continua a essere tormentato da un desiderio inestinguibile. Tra riflessioni sull'essenza dell'amore, sullo scorrere del tempo e sulle stupefacenti mutazioni della natura, la giovane vedova trascorre le notti insonne, spiando gli amori delle cameriere e soffrendo di solitudine fino a quando due uomini molto diversi irrompono nella sua vita e il suo destino inaspettatamente sembra prendere una nuova piega. Uscito nel 1947, La vedova è il primo romanzo di Saramago, pubblicato in Portogallo con il titolo Terra del peccato. Oggi, in occasione del centenario della sua nascita, quest'opera, scritta ad appena ventiquattro anni, viene pubblicata per la prima volta in italiano con il titolo originale. Ne "La vedova" ritroviamo il suo peculiare modo di guardare il mondo, la sua straordinaria forza narrativa e un personaggio femminile indimenticabile: c'è già tutto il grande scrittore che conosciamo. La follia, il peccato e l'ossessione della giovane vedova Maria Leonor, dilaniata tra passioni indomabili e obblighi sociali.
Aldo Moro durante la prigionia parla, ricorda, risponde, interroga, confessa, accusa, si congeda. Scrive lettere e compone un lungo Memoriale, che è discorso politico, storico, personale. In questo testo, originariamente destinato al teatro, Fabrizio Gifuni riannoda quelle pagine. Il lettore vi troverà una parte importante della storia del nostro Paese e, al tempo stesso, la storia di un grande tradimento shakespeariano di cui Moro fu vittima. Pagine private di insostenibile bellezza alternate, nelle stesse ore, a rivelazioni sconcertanti, su cui le BR per prime fecero calare il silenzio, e veri e propri anatemi. Righe intrise (anche materialmente) di lacrime e tenerezza alternate a previsioni funeste. A distanza di oltre quarant'anni il destino di queste carte non è cambiato. Poche persone le hanno davvero lette, molti hanno scelto di dimenticarle. Per questo il corpo di Moro è lo spettro che ancora occupa il palcoscenico della nostra storia di ombre. Il Memoriale e le lettere di Aldo Moro riannodati in un testo struggente e feroce, in cui risuona uno dei più grandi tradimenti della storia italiana.
A Ernie Cunningham le riunioni di famiglia non sono mai piaciute. Di sicuro c'entra il fatto che tre anni prima ha visto suo fratello Michael sparare a un uomo e lo ha denunciato, un oltraggio che non gli è ancora stato perdonato. Perché i Cunningham non sono una famiglia come le altre. C'è solo una cosa che li unisce: hanno tutti ucciso qualcuno. Ora hanno deciso di ritrovarsi per un'occasione speciale: trascorreranno un fine settimana in un resort di montagna per festeggiare l'uscita di prigione di Michael. Ma i Cunningham non sono tipi da stare in pantofole davanti al caminetto. Il giorno dell'arrivo di Michael, viene trovato il cadavere di un uomo. Ha le vie respiratorie ostruite dalla cenere, come se fosse morto in un incendio, ma non ha ustioni sul corpo. Mentre una bufera si abbatte sul resort isolandolo e la polizia brancola nel buio, spetterà a Ern capire se il colpevole è uno dei suoi familiari, prima che vengano uccisi tutti.
Sulla volta del Teatro Goldoni domina Marx. Sopra il suo ritratto, lo striscione: "Proletari di tutti i Paesi unitevi!". Il diciassettesimo Congresso del Partito socialista italiano si apre a Livorno il 15 gennaio 1921 e, dopo una settimana drammatica, si chiuderà con la scissione e la nascita del Partito comunista d'Italia. Siamo al punto di non ritorno: è vietato qualsiasi compromesso tra rivoluzionari e riformisti. Sembra passato molto tempo dalla presa del Palazzo d'Inverno, mentre sono trascorsi solo tre anni e poco più. Ma questa è un'epoca nuova: il secolo breve è cominciato e avanza molto velocemente. Mancano meno di settecento giorni alla Marcia su Roma. In una cronaca politica animata dalle voci di protagonisti epici - da Terracini a Turati, da Serrati a Bordiga, a Gramsci defilato e silenzioso - Ezio Mauro ricostruisce un capitolo fondamentale della nostra storia, che raccoglie in sé ideali altissimi di liberazione e riscatto, ma in cui sembrano tutti condannati dentro il perimetro delle loro divisioni, mentre il Paese sta per essere inghiottito dalla reazione che si fa dittatura. Da quella scissione usciranno due partiti che cambieranno per sempre la storia d'Italia, ma quanto accadde a Livorno dev'essere compreso: come un peccato originale, una tentazione ricorrente. Perché "altre dannazioni seguiranno, come sappiamo, nei cent'anni. Ma le occasioni perdute pesano, anche quando svaniscono gli errori e scompaiono i loro protagonisti".
1992. È il cadavere di Lorena Haller, ventiquattro anni, ventiquattro coltellate - la prostituta che clienti, spacciatori e colleghe chiamavano "la bambina" -, a gridare: il vostro Paradiso è solo una bugia. È così che chiamano Bolzano, la città che ha preso Lorena, l'ha illusa, poi l'ha usata e gettata via, come immondizia. Paradiso. Isola felice. Nonostante la prostituzione, l'alcol, i suicidi, la violenza, l'eroina a fiumi e gli omicidi irrisolti a prendere polvere nei fascicoli della questura. Lì, in una cella che non dovrebbe esistere, viene plasmata l'immagine di una terra dove ogni crimine diventa colpa del benessere. Ma Lorena è stata uccisa da un uomo brutale e determinato che soltanto Luther Krupp, il commissario troppo giovane, troppo inesperto e troppo ligio alle regole, ha il coraggio di chiamare, da subito: serial killer. E in quegli anni, senza manuali da studiare o unità specializzate a cui scaricare l'indagine, arrestare un mostro che uccide per il piacere di uccidere è come andare a caccia di un unicorno. Inoltre: il Paradiso non si deve sporcare. Questo lo sa persino Alex Milla, lo "spalatore di ghiaia", come lo chiamano alla redazione della "Voce delle Alpi". Anche lui troppo giovane, troppo inesperto e con il cuore troppo tenero per essere un vero reporter. E per uscire indenne da ciò che si è appena scatenato. Perché in Paradiso, se vai a caccia di unicorni, rischi di trovare le iene. Partendo dal clamoroso caso criminale del "Mostro di Bolzano", Luca D'Andrea si spinge fino ai confini della morale: dove inizia la cronaca e dove il gusto del sangue? Con ritmo implacabile, nelle sue mani il crime si trasforma in una narrazione epica capace di far riesplodere nella contemporaneità conflitti e interrogativi eterni: che cosa diventa la giustizia quando, seguendo la via del Male minore, si tramuta in ossessione?
"I fascisti spuntarono pochi minuti prima delle due, protetti dal botto dei petardi nelle vie e nei cortili, mentre i balli erano ripresi dopo il brindisi. Da dentro giungevano le note morbide e i versi innocenti di Abat-jour, ma un colpo di pistola nella strada fermò la musica. 'Aprite, o sarà peggio.' Con centocinquantun bossoli per terra finiva la prima notte di gennaio e cominciava il 1922 italiano, l'anno del fascismo." Nei mesi bui che conducono alla dissoluzione dello Stato liberale Mussolini, con la sua concezione tragica e spettacolare della vita, incrocia lo spirito del tempo: la politica viene ridotta alla sua dimensione fisica, la ritualità soppianta la cultura. Attorno, un cielo vuoto di stelle spente, in un mondo politico in disfacimento incapace di leggere la società in trasformazione, frastornato dall'eco mondiale della rivoluzione bolscevica e dalla suggestione contagiosa che il mito della Russia irradiava da San Pietroburgo. Lo Stato liberale italiano sembrava esausto e non lo sapeva, incapace di fronteggiare i nuovi fenomeni sociali e politici, come se non rientrassero più dentro le sue categorie antiche. Il re è solo. Tocca a lui riempire la scena istituzionale, Capo per grazia di Dio e volontà della nazione di uno Stato che si frantuma venendo meno ai suoi impegni costituzionali, e giorno dopo giorno si arrende alla furia fascista che lo incalza per soppiantarlo. Ezio Mauro racconta l'anno decisivo della frattura tra due epoche: dopo la guerra, davanti al potere declinante delle dinastie, c'è in Italia l'impeto crescente, violento, del nuovo movimento fascista. È già un potere?
"Che uomini erano quelli. Riuscirono a salvare l'Europa con la sola forza della fede. Con l'efficacia di una formula semplicissima, ora et labora. Lo fecero nel momento peggiore, negli anni di violenza e anarchia che seguirono la caduta dell'Impero romano, quando le invasioni erano una cosa seria, non una migrazione di diseredati. Ondate violente, spietate, pagane. Unni, Vandali, Visigoti, Longobardi, Slavi e i ferocissimi Ungari. Li cristianizzarono e li resero europei con la sola forza dell'esempio. Salvarono una cultura millenaria, rimisero in ordine un territorio devastato e in preda all'abbandono. Costruirono, con i monasteri, dei formidabili presidi di resistenza alla dissoluzione. Sono i discepoli di Benedetto da Norcia, il santo protettore d'Europa. Li ho cercati nelle loro abbazie, dall'Atlantico fino alle sponde del Danubio. Luoghi più forti delle invasioni e delle guerre. Gli uomini che le abitano vivono secondo una 'regola' più che mai valida oggi, in un momento in cui i seminatori di zizzania cercano di fare a pezzi l'utopia dei loro padri: quelle nere tonache monacali ci dicono che l'Europa è, prima di tutto, uno spazio millenario di migrazioni. Una terra 'lavorata', dove - a differenza dell'Asia o dell'Africa - è quasi impossibile distinguere fra l'opera della natura e quella dell'uomo. Un paradiso che è insensato blindare con reticolati. Da dove se non dall'Appennino, un mondo duro, abituato da millenni a risorgere dopo ogni terremoto, poteva venire questa formidabile spinta alla ricostruzione dell'Europa? Quanto è conscia l'Italia di questa sua centralità se, per la prima volta dopo secoli, lascia in macerie le terre pastorali da dove venne il segno della rinascita di un intero continente? Quanto c'è ancora di autenticamente cristiano in un Occidente travolto dal materialismo? Sapremo risollevarci senza bisogno di altre guerre e catastrofi?" All'urgenza di questi interrogativi Paolo Rumiz cerca una risposta nei fortini dove resistono i valori perduti, in un viaggio che è prima di tutto una navigazione interiore. I guardiani dell'arca costituisce, insieme al canto epico Evropa (che uscirà per Feltrinelli nel 2020 in Italia, e simultaneamente in molti altri paesi europei), un dittico dedicato all'Europa, alle sue origini, al suo futuro.
Felicità è una parola di cristallo, la più soggettiva del vocabolario. Cambia a seconda dei valori, delle condizioni di salute, delle idee, della fede, dell'età, del rapporto con il tempo e con la morte. Muta svariate volte nel corso della vita poiché a cambiare siamo prima di tutto noi con il nostro orizzonte di desiderio. Definirla, quindi, non è impresa da poco, ma può rivelarsi un'avventura avvincente. Il suo significato, infatti, apre mille strade e mille orizzonti. Per me è uno stato di estasi, per te un momento di inconsapevolezza. Il luogo dove si trasforma di più è proprio la lingua, con i suoi labirinti etimologici perché le parole contengono immagini originarie, miniere di storie e di misteri, che nei sotterranei della nostra mente agiscono e danno forma ai pensieri e alle emozioni di ogni giorno. Marco Balzano varca la soglia della felicità con le chiavi della lingua, o meglio di quattro. Sono quelle in cui la civiltà occidentale affonda le sue radici: il greco e il latino della tradizione classica, l'ebraico di quella giudaico-cristiana e infine l'inglese, lingua universale del nostro tempo. In ognuno di questi idiomi la parola felicità dischiude immagini e significati molto differenti che illuminano valori etici e morali, questioni politiche, atteggiamenti psicologici e, più genericamente, maniere di guardare alla vita e alla morte, al futuro e alla memoria, agli altri e a noi stessi. L'etimologia restituisce alle parole la loro complessità e, così facendo, ci mette in condizione di prenderci cura della lingua: per praticarla liberamente, evitarle il deterioramento a cui la sottopongono i social, la pubblicità o la propaganda, e proiettarla nel tempo. Capire da dove vengono e come sono arrivate a noi le parole ci mostra quanto influiscano sulla nostra vita e come ci plasmino. Al punto da poterci indicare nuovi modi di essere felici.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
Quando allo scoccare della mezzanotte Saverio compie diciott'anni, come in un racconto di Dickens, viene visitato da un'apparizione che gli conferisce il diritto di voto. "Da un grande potere derivano grandi responsabilità": ma da subito lui si dichiara inadeguato, riluttante e scettico nei confronti di questo superpotere. Tuttavia Saverio cresce e vota, ed ecco che vediamo scorrere gli ultimi vent'anni di politica italiana attraverso gli occhi di un elettore distratto, sempre più (auto)critico verso sé stesso, l'elettorato e il suffragio universale. Fino all'ascesa del populismo, fino alle ultime elezioni politiche e alla conseguente crisi definitiva, quando si chiede: come posso io, semplice elettore, sabotare dall'interno questo sistema votato al disastro? È così che Saverio avanza la proposta di una riforma elettorale rivoluzionaria: democraticizziamo l'elettorato, votandolo. Perché se la democrazia è governo del popolo, non è vera democrazia se non puoi scegliere da quale popolo farti governare! Ma, mentre tenta goffamente di portare avanti la sua proposta, Saverio scopre alcune scottanti verità sulle nuove caste e sui poteri occulti... Con la sua satira sferzante e paradossale, Saverio Raimondo sovverte luoghi comuni e verità acquisite per riflettere in modo anticonvenzionale, dissacrante e divertente sui diritti e i doveri del popolo sovrano, e sul senso profondo della democrazia.
Populismo, polarizzazione, post-verità. Tendenze, tecnologie e comportamenti vecchi come il tempo. Ma i tiranni di oggi li combinano in un modo nuovo. Minacciano la vita democratica con strategie finora impensabili e lo fanno, in gran parte, in modo occulto. Il potere non è cambiato. Ma gli strumenti con cui viene conquistato ed esercitato sì. Questo libro racconta gli autocrati delle tre "P", raccoglie personaggi terribili e affascinanti, storie travolgenti di presa e di perdita del potere, esempi vividi delle tattiche e dei trucchi usati da certi leader per contrastare le forze che minacciano la loro autorità. Moisés Naím rintraccia i nessi meno ovvi tra gli eventi globali e le strategie politiche che, se presi insieme, mostrano una profonda e spesso furtiva trasformazione del potere e della politica in tutto il mondo. C'è una nuova guerra ideologica, in cui il potere politico tende a diventare assoluto fino a rendersi invisibile e quindi incontestabile. Dunque è vero che la politica, per continuare a esistere, ha bisogno di essere sempre meno democratica e sempre più autocratica? Perché il potere si sta concentrando in alcuni luoghi mentre in altri si sta frammentando e degradando? E, infine, la grande domanda: la libertà ha un futuro? Naím rivela come, guardando bene, le strategie per consolidare il potere siano le stesse anche in luoghi con circostanze politiche, economiche e sociali molto diverse, e offre idee e intuizioni su cosa possiamo fare per difendere la libertà e la democrazia. Una storia di manipolazione e di conquista che ha per protagonisti Putin, Trump, Orbán, Duterte, Erdo?an, Berlusconi e molti altri. La fine della storia e la vittoria del liberalismo occidentale sono acqua passata. Questo è il tempo della rinascita dei tiranni.
In principio ci sono le storie. Campi magnetici. Singole tessere del reale escono dal rumore bianco del mondo e si mettono a vibrare con un'intensità particolare, anomala. La genesi di una storia può durare un attimo o incubare per anni. Le forme dei campi magnetici che chiamiamo storie sono illimitate. Don Giovanni e Dracula sono buchi neri attorno ai quali un intero mondo prende vita. Nell'Amleto e nei Vangeli un frammento, apparentemente impazzito, diserta e mette in pericolo tutta la sequenza del reale. Poi ci sono le trame. Abitano le storie, le attraversano, e le rendono leggibili. Sono geroglifici che le significano, mappe che le raffigurano. Ma il gesto del narrare non è ancora compiuto. Manca una componente chimica, la più misteriosa, l'unica che abbia a che vedere con la magia. Lo stile. Non si può insegnare, lo si possiede. È un suono unico. Sgorga da un'intimità altissima e inaccessibile. Tiene insieme cielo e terra. Il cielo delle storie, la terra del reale. Leggendo questo libro si entra in un universo alchemico. "Sono le cose principali," scrive Alessandro Baricco, "che mi è accaduto di capire da quando mi occupo di narrazione." A volte è difficile distinguere tra magia e illusione ottica, tra evento mistico e processo chimico. Lungo questo confine enigmatico si compie il gesto del narrare, fatto di elementi che, se ben intrecciati, danno un suono a certe misteriose vibrazioni del mondo. Questo gesto si può imparare? Chi può insegnarlo? Una via della narrazione esiste e "il suo compito possibile è portare brevi esistenze individuali a compimento, saldando quanto è certo nella loro coscienza a quanto ancora è pagina in bianco e carta coperta".