Essere fedeli significa condividere il proprio spazio - lo spazio del corpo, della parola, dei silenzi - e scommettere che l'altro accetterà di condividere il suo senza privare la persona amata del proprio, senza distruggerlo e senza abbandonarlo brutalmente, lasciandolo vuoto. Significa accettare la sfida di lasciar toccare a qualcuno quello che è sepolto da qualche parte nelle profonde pieghe dell'essere, nello spazio intermedio del dentro e del fuori, dell'io e del non-io, del corpo e del linguaggio, e dare all'altro, infine, un legame da afferrare: il ritmo del suo respiro, il brivido di uno sguardo...
Due interventi dell'edizione del Festival Kum 2021 incentrati sull'idea di ripartenza dopo due anni traumatici di covid.
I filosofi spesso hanno preferito meditare sull'anima e le sue passioni, o sull'intelletto umano, piuttosto che affrontare la realtà del corpo e la finitezza della condizione umana. Benché il corpo sia stato considerato come un ostacolo per la conoscenza e la realizzazione della virtù, nessuna filosofia è mai riuscita a fare i conti fino in fondo con la sua enigmatica presenza. E in un corpo e con un corpo che ciascuno di noi nasce, vive, muore; è in e con un corpo che viviamo nel mondo e ci rapportiamo agli altri. Che cos'è dunque un corpo? Qual è il nostro rapporto con il nostro corpo? Che cosa significa avere o essere un corpo ? E a partire da queste domande che può svilupparsi una filosofia del corpo. Il presente volume analizza i paradossi del nostro rapporto al corpo e il modo in cui ogni epoca invita a ripensare il corpo.
"L'uomo ama creare e aprirsi delle strade, su questo non c'è dubbio. Ma allora perché egli ama così appassionatamente anche la distruzione e il caos? " (Dostoevskij). È questo l'inquietante interrogativo al centro del confronto tra un filosofo e un teologo che dà vita ad una coinvolgente discussione attorno all'eterna questione del rapporto del soggetto con il male all'interno della quale ci si imbatte in quella gratuità della "ferocia dell'uomo nei confronti del suo simile [che] supera tutto ciò che possono fare gli animali" e di fronte alla quale "persino gli animali feroci recedono inorriditi" (Lacan).
I contributi raccolti nel presente volume si interrogano, da punti di vista differenti, sul senso da attribuire all'invito batailleano: "È giunto il momento di mettere in pratica un insegnamento dell'irriducibile", e sull'etica impossibile che ne discende. Un'etica che, pur nella presa d'atto dell'inevitabile riduzione dell'umano a 'cosa', non si rassegna né si piega alla venerazione di ciò che c'è; ma che tenacemente, e con disciplina, invita a cercare, fin dentro la cosificazione, ciò che, nelle forme lussuose e idiote del soggetto e del mondo, sfugge e resiste con grazia sovrana all'imperativo della riduzione, silenziosamente ripetendo: non serviam.
Il Testo
E’ il 1965 quando il giovane Philippe Lacoue-Labarthe scrive un testo sul tema dell’angoscia per la morte come angoscia per la scomparsa: scomparsa del mondo, per chi muore, e scomparsa dell’altro e del suo mondo per chi resta.
Vicino alla fine della sua vita, l’autore si ricorda di questo testo della sua giovinezza e si propone di riprenderlo. Ma è troppo tardi, riuscirà a scrivere solo una postfazione assolutamente sconvolgente.
L’Autore
Philippe Lacoue-Labarthe (1940-2007) è stata una tra le più importanti figure del panorama filosofico francese del Novecento. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo: La finzione del politico, il melangolo, 1991; L’imitazione dei moderni, Palomar, 1995; Il ritratto dell’artista, in generale, il melangolo, 2006. Insieme a Jean-Luc Nancy ha scritto: Il titolo della lettera, Astrolabio, 1981; Il mito nazi, il melangolo, 1992.
"Diritto naturale e storia" è l'opera fondamentale di Leo Strauss. La tesi provocatoria secondo cui la filosofia politica degli antichi pensatori greci è di gran lunga superiore alla scienza politica dei moderni, viene sostenuta e esposta nel corso di un'ampia trattazione che ha per oggetto la storia del concetto di diritto naturale. Strauss vuole dimostrare che la teoria classica del giusnaturalismo è l'unica capace di conferire un genuino fondamento filosofico non solo ai diritti inalienabili dell'uomo e del cittadino sanciti nelle costituzioni delle democrazie occidentali, ma anche ai nuovi diritti di cui la società contemporanea avverte l'esigenza.
Le prediche in volgare di Bernardino da Siena riflettono spesso satiricamente – per smantellarlo – il vasto corpo di credenze e timori profondamente radicato nella società italiana quattrocentesca, colta in relazione all’irrequietezza di un’epoca di transizione. L’asciutto buon senso induce Bernardino ad entrare in contatto con il popolo per aiutarlo ad emanciparsi dalle superstizioni più grossolane, anche attraverso l’antica arte del racconto. Le novelle, gli aneddoti e i discorsi di questa edizione a cura di Giona Tuccini, pronunciati nelle maggiori piazze del Paese tra il 1423 e il 1427, costituiscono una preziosa testimonianza del linguaggio appassionato e della saggezza popolare del più grande predicatore italiano del Rinascimento e ancor oggi mantengono intatta la loro freschezza e vivacità.
In questi ultimi anni si è avuta una generale rinascita di interesse per Schelling. In particolare, gli studiosi hanno riscoperto la filosofia del cosiddetto "ultimo" Schelling, caratterizzata da una nuova e suggestiva sensibilità verso il mito greco e la religione. In questa linea si inserisce il saggio qui presentato, tradotto in Italia integralmente, nel quale il filosofo tedesco interpreta la mitologia come il linguaggio che descrive la condizione esistenziale dell'uomo e come il preludio alla rivelazione di Dio come persona. In questo senso la filosofia deve essere disposta a confrontarsi con la dimensione del divino e a riconoscere l'insufficienza dei mezzi puramente logici della ragione umana.
Il volume raccoglie le relazioni tenute in occasione del convegno "Martin Heidegger treni'anni dopo", svoltosi a Bologna nei giorni 13-15 dicembre 2006 e organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell'Università di Bologna e dal Centro Italo-Tedesco di Villa Vigoni, con il patrocinio dell'AISE (Associazione Italiana degli Studiosi di Estetica). L'occasione del trentennale della morte di Heidegger (26 maggio 1976) ha fornito lo spunto per una riflessione che si è tuttavia tenuta lontana dalla tentazione di un bilancio, articolandosi piuttosto secondo le molteplici prospettive aperte dal pensiero heideggeriano: dal versante fenomenologico-ontologico al piano della riflessione etica, della filosofia del linguaggio e dell'estetica, fino all'analisi dei rapporti di Heidegger con i pensatori della tradizione europea.
Non esiste società priva dei concetti di bene e di male. Nessuna società è senza peccato. Ogni cultura ha i suoi, con il suo catalogo privilegiato. L'elenco dei sette peccati capitali, stabilito dalla Chiesa nella tarda antichità, è senz'altro uno dei più famosi. L'accidia, l'ira, la superbia, la gola, l'avarizia, l'invidia e la lussuria non sono atti proibiti, ma passioni che ci rendono schiavi. Con un umorismo graffiante Aviad Kleinberg esplora gli aspetti più profondi dell'animo umano. Che c'è di male ad essere un po' pigri? Che ne sarebbe della grande cucina se nessuno fosse goloso? E dell'economia di mercato senza l'avarizia? Il libro fa sfilare profeti e filosofi, poeti e teologi, tutti pronti a lanciare la prima pietra: uno sguardo singolare e divertente sulla fragilità umana.
Non farsi del male e magari farsi anche un po' di bene senza decidere che cosa deve essere il bene degli altri. Ecco la tolleranza. Accettare di scendere a compromessi con qualche aspetto della nostra concezione di ciò che è giusto. Ammettere che non tutti i corollari dei nostri principi fondamentali sono essenziali e irrinunciabili e assoluti. Fare la fatica di graduare l'importanza, l'essenzialità di diritti e doveri. Non solo per ciò che riguarda il privato, ma anche in ciò che è eminentemente pubblico. Non è sempre divertente. Del resto, in un mondo che fosse tutto armonia e felicità e giustizia, cosa diavolo ci sarebbe da tollerare?