Il riconoscimento dei testi agiografici come fonte della storiografia è relativamente recente. Se in passato la santità era studiata dal punto di vista teologico o devozionale, in anni a noi più vicini è stata presa in considerazione anche dagli storici, in quanto espressione della vita sociale. Soprattutto in relazione ai periodi di profondi mutamenti, come quelli della Riforma e della Controriforma, i testi agiografici possono costituire una fonte di studio utile alla conoscenza di avvenimenti, di personaggi e di particolari dinamiche sociali. In questo volume sono presi in esame tre profili biografici, due dei quali provengono dalle carte inedite del gesuita Ottavio Gaetani, che si prefiggono di illustrare la santità di Antonio Faraone, vescovo di Cefalù (1562-1569) e di Catania (1569-1572). Il prelato può essere considerato come un tipo di vescovo, che attua il concilio di Trento secondo un modello analogo a quello di s. Carlo Borromeo. L'analisi dei testi agiografici e della documentazione d'archivio, relativa al governo pastorale del vescovo Faraone, permette di affrontare i temi dei modelli di santità elaborati al tempo della Controriforma, del tipo di vescovo ideato prima e dopo il concilio di Trento, dell'ars moriendi secondo lo schema aggiornato di s. Roberto Bellarmino.
Il volume raccoglie alcuni tra i più significativi lavori di Eugenio Guccione sulla figura e l'opera di Luigi Sturzo e anche sul rapporto con pensatori ed eventi a lui contemporanei. Si tratta di contributi scritti nell'arco di oltre quarant'anni e sparsi, qua e là, in atti di convegni e in riviste scientifiche e divulgative. Essi si inseriscono organicamente, per originalità e innovazione, nella cospicua produzione dell'autore, noto tra i più impegnati e apprezzati studiosi del pensiero politico italiano e francese e del liberalismo e popolarismo di matrice cristiana. Dall'insieme dei contributi, che tornano alla luce in questa edizione, emergono aspetti e caratteristiche dei progetti di società civile e di Stato del fondatore del Partito Popolare Italiano, che, anche nel terzo millennio, continua a sorprendere per capacità creativa, realismo e lungimiranza.
«Non tacerò!», aveva detto don Peppe Diana, e la camorra aveva pensato di ottenerne il silenzio uccidendolo. Dopo 25 anni quel grido «Non tacerò!» risuona su altre bocche e don Peppe parla ancora alla vita della comunità, una testimonianza viva di sacerdote e cittadino tra Chiesa e territorio.
Lia Cerrito, Missionaria del Vangelo, ha incarnato il carisma vocazionale dell'Istituto ed è stata una donna ed una testimone dalla proteiforme attività, piena di idee, di progetti da realizzare e di tanti realizzati, ricca di fantasia, capace di sognare ma al tempo stesso di essere straordinariamente aderente alla vita di ogni giorno, calata del tutto nel mondo, pur non appartenendo al mondo. Le sue giornate erano intense, materialmente e spiritualmente, come stanno a testimoniare i suoi scritti editi ed inediti, le sue agende, i suoi appunti. Lia Cerrito ha espresso in pieno nella Chiesa del XX secolo il "genio femminile": lo aveva come dono, così come aveva come dono la "cultura del progetto", quel guardare sempre avanti con ottimismo, nonostante le tante difficoltà oggettive che ogni progetto si portava dietro, perché continuamente proiettata sul mistero Pasquale. Era al contempo una donna semplice, affascinata dal messaggio di Francesco d'Assisi, conquistata dalla "povertà evangelica" su cui tornerà molto spesso nei suoi scritti come riflessione personale e come riflessione da donare agli altri. Qui si presentano sinteticamente le vicende di una consacrata che ha vissuto nel secolo la sua esperienza vocazionale e che ha fatto della Parola il suo centro assoluto e indiscusso.
Elisa Salerno (Vicenza, 16 giugno 1873 - 15 febbraio 1957) è impegnata, a cavallo tra due secoli, nella emancipazione culturale e religiosa delle donne. Da autodidatta, diventa un'acuta intellettuale che vota la sua esistenza al riconoscimento della dignità femminile. Da cattolica convinta, denuncia l'antifemminismo della Chiesa, considerandolo una forma di deviazione eretica. Il pensiero di Tommaso d'Aquino, con la sua definizione della donna come mas occasionatus, la cui ragione d'esistere è la procreazione, viene detto dalla Salerno, il cuore, da estirpare, dell'antifemminismo cristiano. Una notevole mole di scritti tra le lettere, articoli e volumi ci restituiscono il suo pensiero e la sua azione in difesa della donna nella Chisa. L'opposizione, l'ostracismo e le misure canoniche - come il divieto di accostarsi all'Eucarestia - di cui fu vittima, ne condannarono la figura all'oblio. Questo volume vuole essere un contributo al risarcimento che la sua memoria attende e un'occasione per far conoscere una donna che, come lei stessa ebbe a dire, aveva avuto la sorte di nascere in anticipo sulla storia.
Sono passati cinquant'anni dalla morte di Thomas Merton. Il '68 gli fu fatale e le cause della sua morte per "un incidente" non sono mai state completamente chiarite. La sua esistenza terrena ebbe termine sul limitare di quell'anno che ha denominato un'epoca ed è ancora sinonimo se non di mutazione culturale, almeno di desiderio di svolta positiva nel cammino dell'umanità.
Thomas Merton è stato senz'altro uno tra i più importanti scrittori e pensatori cristiani del secolo scorso. Letterato, poeta, teologo, monaco trappista, giustifica la sua scelta monastica come ribellione a una prospettiva decadente e distruttiva: la cultura dell'Occidente. Arriva alla conclusione che il monaco è un outsider, un rivoluzionario, ma che a differenza dei rivoluzionari non si impegna nella trasformazione delle strutture bensì della coscienza umana.
L'impegno monastico risiede nell'amore per l'umanità irretita nella menzogna culturale. Aiutarla a liberarsi è la più bella e impegnativa dimostrazione di amore per Dio. In questo risiede il suo umanesimo cristiano, da contemplativo concreto quale è stato. Scrittore di parole alla ricerca di silenzio, ascetico e conservatore, radicale e ribelle, indipendente e obbediente, Thomas Merton narra in questo "romanzo" la sua continua e progressiva conversione, fino alla fine della sua vita, che si conclude in modo misterioso e surreale. La sua originale personalità incarna e mette in luce il carisma profetico che pare dissolversi nello strisciante conformismo che ci circonda. Nonostante la sua parabola terrena riguardi un'epoca ormai passata, Merton, con i suoi scritti, con la sua dinamica eredità umana e spirituale, rimane ancora oggi un profeta del nostro tempo. Un profeta scomodo.
Nella storiografia italiana il nome di Baldassarre Labanca è stato quasi cancellato in una sorta di congiura del silenzio di cui furono protagonisti clericali e anticlericali nel clima delle feroci contrapposizioni della “questione romana”. Questo libro ripercorre il sofferto itinerario formativo e accademico di Labanca che dalla natia città di Agnone nell’Alto Molise e passando per Licei (Chieti, Bari, Milano, Napoli) e Università (Padova e Pisa) divenne primo professore di storia del cristianesimo all’Università di Roma, promotore della disciplina e precursore degli studi storico-religiosi in Italia tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. L’Autrice, grazie ad un meticoloso studio di carte inedite di archivio e di un esteso epistolario, ricostruisce una pagina decisiva della cultura nazionale e degli studi di cristianistica di cui Labanca fu solitario protagonista, rimanendo tra i rarissimi che mantennero relazioni internazionali con gli specialisti della materia e rivendicando – in una quantità di scritti – per la Storia del cristianesimo autonomia di ricerca e dignità scientifica.
Stereotipi e pregiudizi storiografici hanno delineato un modello di cattolicesimo napoletano permeato di cultura antirisorgimentale, imbevuto di legittimismo borbonico e intransigenza filopapale. La vicenda biografica di Ludovico da Casoria (primo santo napoletano del pontificato di Papa Francesco) e della rivista da lui tenacemente voluta, La Carità, è emblematica di una questione cattolica napoletana molto più complessa e articolata. In un contesto ancora esacerbato dalle polemiche tra Stato e Chiesa negli anni immediatamente postunitari e dalla perdita di Napoli del ruolo di capitale, il periodico diventa ben presto l’espressione più qualificata di una cultura cattolica sempre più influenzata dagli stimoli dell’incontro tra liberalismo non anticlericale e cattolicesimo non antinazionale (la rivista ospita articoli di A. Capecelatro, P. Campello della Spina, C. Cantù, E. Cenni, A. Conti, F. Dupanloup, F. Persico) e sempre più attenta e sensibile quindi ai cenacoli e alla stampa italiana che privilegiano la coraggiosa scelta di una progressiva conciliazione tra liberali e cattolici, favorendo la maturazione di un movimento cattolico che anche a Napoli si avvia speditamente nel percorso dell’impegno sociale e politico. L’avvento del pontificato di Leone XIII e la sconfitta irreversibile della corrente intransigente con l’enciclica Immortale Dei, valorizzano ancor più le sensibilità culturali del periodico che ormai è diventato la voce più autorevole a Napoli di un cattolicesimo autenticamente nazionale, il quale con l’enciclica Aeterni Patris si impegna attivamente nella lotta anti-hegeliana ed anti-positivista, per la costruzione di una filosofia compiutamente cristiana attraverso l’evoluzione di un tomismo non più reazionario e chiuso agli influssi e al confronto con la modernità.
Consapevole fin dall'adolescenza della propria responsabilità morale e storica, Alberto si formò culturalmente e religiosamente nella Firenze di La Pira, ricca di fermenti, e nel clima ecumenico di due collegi svizzeri. Allontanatosi dalla Chiesa cattolica nel 1961, s'impegnò con passione in un progetto politico che fosse all'altezza del "crinale apocalittico" degli anni Sessanta, rispondendo all'esigenza di portare a compimento la giovane e incerta democrazia italiana. Dalla fondazione di "Nuova Resistenza", all'azione svolta come dirigente della Federazione giovanile socialista (1964-66), dalla poliedrica attività pubblicistica su Astrolabio, Rinascita, l'Unità e sul quotidiano palermitano L'Ora, no alla sua adesione al PCI (1968) e all'intenso lavoro svolto a Botteghe Oscure, si articola un percorso in cui l'attenzione per il mondo cattolico e l'interesse per la ricerca teologica non vennero mai meno. L'audace progetto politico del "compromesso storico" berlingueriano cui diede il suo creativo contributo e l'inquieta e onesta ricerca interiore, testimoniano quella "volontà di futuro" che farà approdare la sua breve ma intensa esistenza a una lucida resa all'amabile azione della Grazia.
Lo studio proposto, frutto del percorso conclusivo di dottorato in S. Teologia, nasce dal tentativo di rilettura sintetica del pensiero del Servo di Dio Mario Sturzo, vescovo della diocesi di Piazza Armerina dal 1903 al 1941 e fratello del più ben noto Luigi, intorno al tema della "relazione". Dopo aver presentato gli elementi di base del suo pensiero filosofico, in dialogo con il neoidealismo italiano capeggiato da Benedetto Croce e Giovanni Gentile, se ne evidenziano i risvolti antropologici a partire dallo studio dell'uomo come essere unitario di anima e corpo, per arrivare all'"impegno sociale" visto come necessità di testimonianza; pensiero che influenzerà l'impostazione sociale del cristianesimo del fratello minore Luigi. La perfetta consequenzialità e coerenza della sua ansia pastorale che diventa pensiero filosofico capace di "capire e lasciarsi raggiungere dall'altro", emerge anche dall'analisi di una delle sue ultime raccolte poetiche, tentativo sintetico di tutta la sua tormentata e affascinante vicenda umana.
"Da sempre, da quando l'uomo ha preso coscienza della sua esistenza, si è chiesto: "Qual è il valore ed il senso della mia esistenza? La mia vita ha un senso? Cioè: lo ha da prima, glielo do io, lo danno gli altri? Qual è il senso, eventualmente, di questa vita?". In fondo la maniera migliore per dimenticare le nostre preoccupazioni consiste nel darsi agli altri. La forma più sicura per ottenere la gioia e la pace, è quella di fare qualcosa per gli altri. E questo può deciderlo solo il singolo. L'uomo è libero di costruirsi il proprio futuro. Sta a lui arricchirlo o deformarlo. La gioia proviene dal dare e condividere, non già dall'accumulare e sfruttare. Non è in fondo l'avere, il possedere, il successo, che dà felicità all'uomo, senso e pienezza di vita all'uomo. È invece l'essere... Tutto quello che, invece, quando noi lo diamo agli altri, diminuisce per noi, allora non merita che noi lo facciamo diventare oggetto principale delle nostre preoccupazioni: il denaro, le ricchezze, il successo, se noi li diamo agli altri diminuiscono per noi. Mentre l'amore, la fede, tutte quelle cose che invece appartengono all'ordine spirituale, quanto più ne diamo agli altri, tanto più amiamo gli altri, tanto più cresciamo noi nell'amore, cresce l'amore dentro di noi" .
Tommaso Moro è stato, nel XVI secolo, uno degli uomini più potenti dell’Inghilterra. Apparentemente lontano dalla 'perfezione evangelica' che veniva identificata comunemente con la condizione del monaco celibe, povero e obbediente ai superiori: era infatti sposato, padre di figli, proprietario di terre e secondo in autorità soltanto al re. Eppure... Eppure, quando Enrico VIII gli chiede di rinunziare ai dettami della coscienza per la ragion di Stato, Tommaso non ci sta: accetta di perdere il potere, le proprietà, la famiglia e persino la vita pur di non tradire ciò che riteneva essere il progetto divino sull’umanità. Con ciò diventa non solo un santo canonizzato dalla Chiesa cattolica, ma un esempio universale di 'libertà nel mondo'. La vicenda – e le sue implicazioni teologiche – sono magistralmente evocate in questo aureo libretto di Hans Küng, certamente uno dei massimi teologi 'ecumenici' contemporanei: le condanne da parte del Vaticano non hanno impedito che i suoi numerosi libri (tra cui la trilogia Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo) siano stati tradotti in decine di lingue.