Sono passati duemila anni da quando Seneca scriveva un libro dal titolo De brevitate vitae {La brevità della vita) rivolto criticamente a coloro che consideravano la vita troppo breve; egli saggiamente argomentava che la vita non si misura dal numero degli anni, ma da come viene vissuta. Se questo giudizio rimane sempre valido, esso però oggi si trova a confrontarsi con una realtà che è all'opposto: la vita degli anziani sta diventando lunga, secondo alcuni troppo lunga. Il problema degli anziani non può essere visto come qualcosa che riguarda solo loro; l'intera società è messa in gioco per trovare un nuovo equilibrio sociale soddisfacente, sia nei rapporti che nella distribuzione di attività, mezzi, opportunità. I ruoli dovranno essere più fluidi; i confini tra lavoro e pensioni, tra lavoro e attività, tra generazioni, tenderanno a saltare. E un'opera imponente, rielaborativa e ricostruttiva, quella che ci aspetta e che ha come condizione prima una cultura aperta e disponibile, una forma di riconversione culturale. Un grande compito spetta in proposito al sindacato, perché in Italia è il sindacato a organizzare cinque milioni di pensionati: tuttavia molte esigenze di oggi non riguardano specificatamente il pensionato, ma più ampiamente l'anziano. Se vorrà mantenere il proprio ascendente, il sindacato dovrà dunque rispondere a queste nuove esigenze e farsi carico di più ampie prospettive.
L'ultimo studio sulla detenzione femminile nelle carceri italiane risale agli anni '90. Dopo oltre un anno di inchiesta, Cristina Scanu ci svela un mondo di confine: dai grandi problemi di una normativa mancante alla mala-prigione. Il 90% delle detenute è madre di uno o più figli. Molte li hanno lasciati fuori dal carcere; altre hanno scelto di tenerli con sé, dal momento che la legge lo consente. Nella sua drammaticità un libro appassionante, un dialogo serrato con le detenute e con chi nelle prigioni lavora (educatori, volontari, direttori, assistenti sociali e agenti di polizia penitenziaria). I racconti delle detenute e di chi vive e lavora a contatto con loro dipingono un quadro sconvolgente delle carceri italiane. Dove bambini crescono accanto a madri frustrate che aggiungono alla sofferenza della pena il dolore di una maternità mutilata. Bimbi costretti a vivere in celle umide e buie, a essere svegliati dal rumore delle chiavi che aprono i cancelli dei blindati, a giocare in un cortile di cemento. Il carcere non è un posto per bambini, vittime di errori che non hanno commesso. Eppure, ogni giorno, molti di loro aprono gli occhi dentro una cella. Sono loro il filo conduttore di questo lavoro.
Il volume descrive l’opera della Casa do Menor São Miguel Arcanjo in Brasile. Siamo nel pieno del disastro prodotto dalla miseria e dal narcotraffico.
Il fenomeno delle bande armate di minorenni, per non dire di bambini, è certo una delle aberrazioni più vistose provocate dagli squilibri economico-sociali a livello internazionale, i quali fanno cadere intere regioni, paesi e parti di popolazioni in una situazione che, per riprendere le parole di Majid Rahnema, non ha più nulla a che fare con la povertà, ma riguarda un livello radicale di miseria materiale e spirituale. Il fenomeno delle gangs e di gangsters-bambini ha ancora in Brasile dimensioni impressionanti. Qui si inserisce l’esperienza di Renato Chiera e della Casa do Menor.
La vasta esperienza con bambini e adolescenti vittime della droga, del narcotraffico, della prostituzione e della violenza nella Baixada Fluminense e in molte altre zone del Brasile lo ha portato alla conclusione che questo dramma sia dovuto a una serie di «assenze» dello Stato, della società, della famiglia, di opportunità, di futuro, sintetizzate in una assenza di presenza di amore. Padre Chiera propone, quindi, una «Pedagogia Presenza»: essere presenza accanto ai bambini e ai ragazzi esclusi, per restituire loro la capacità di sentirsi amati, di amarsi, di amare gli altri e, in questo modo, di raggiungere la maturità completa.
Presenza, da un lato, ci restituisce uno spaccato drammatico della realtà brasiliana, ma, dall’altro, ci pone in un’esperienza di speranza. Il libro propone una riflessione su tale esperienza, con lo scopo di contribuire a un progetto di educazione non solo dei meninos de rua brasiliani, ma anche nel cuore della vecchia Europa, e di stimolare la revisione del ruolo dello Stato, della società e delle associazioni in questo ambito tanto delicato. Un libro dedicato agli operatori sociali, agli educatori e alle famiglie, in qualsiasi parte del mondo.
Tedeschi che si recano in Repubblica Ceca per turismo sessuale con bambini rom, immigrati mongoli e vietnamiti che finiscono nei laboratori di produzione di hashish e metanfetamine, operai romeni pagati con cosce di pollo e latte in polvere, prostitute bulgare torturate e vendute a bordelli italiani o francesi, migliaia di ettari di terra svenduti a imprenditori occidentali spregiudicati e lasciati incolti. È al confine che l’«impero» europeo perde i pezzi. Una cortina di Paesi è lo specchio di una frontiera in rovina: l’ingresso in Europa di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria non ha portato maggiori diritti, ma paradossi inaccettabili e vantaggi solo per governi e aziende occidentali.
Giuseppe Ciulla ha compiuto un viaggio lungo la frontiera dell’Unione Europea. Percorrendo oltre 5.000 chilometri con mezzi pubblici, è andato a vedere che cosa succede lì dove un altro impero, quello sovietico, si è ripiegato su se stesso, lasciando praterie ai capitalisti italiani, tedeschi e francesi. Il libro bianco che ha scritto è una fotografia impietosa di frontiere dove le imprese del Vecchio Continente esportano i metodi del peggiore capitalismo occidentale, mantenendo i sistemi più cinici già in uso nei Paesi a socialismo reale. I bambini romeni abbandonati in strada sono aumentati con l’ingresso di Bucarest nell’Unione Europea, la tratta di minorenni bulgare destinate alla prostituzione si è intensificata con la fine dei controlli alle frontiere, i diritti dei lavoratori dell’Est sono peggiorati con l’arrivo degli imprenditori occidentali.
Ai confini dell’impero è un racconto di viaggio che raccoglie storie di eroici sindacalisti braccati dai servizi segreti, di imprenditori senza scrupoli, di funzionari corrotti, di faccendieri impuniti al servizio di criminali italiani che riciclano il frutto di capitali mafiosi lungo le rotte della Mitteleuropa e dei Balcani. E mentre il Danubio muore avvelenato dai residui tossici della più grande acciaieria dell’Unione, l’ombra lunga di Bruxelles benedice i crimini che avvengono lungo i propri confini.
I diritti devono essere, come gli alimenti, fondamentali, naturali, inalienabili e universali. Il diritto al cibo è un diritto civile e politico, economico e sociale atto a promuovere l’uguaglianza, la libertà e la dignità di tutti gli uomini e le donne. Ancorare il cibo ai diritti è necessario per sottrarlo al ruolo di merce su cui esercitare il gioco d’azzardo della speculazione finanziaria o la distrazione come agrocarburante. È invece necessario garantire alle donne e agli uomini, ovunque nel mondo, accesso e controllo sulle risorse naturali ed economiche con cui produrre, curare e far circolare gli alimenti.
La tratta degli Africani è un evento del passato, una barbarie dell'inizio del mondo moderno. Una barbarie che ha costituito il maggior traffico di schiavi unitamente a forme di sterminio. Oggi siamo di fronte a un evento analogo, anche se alcuni schematismi economici ci direbbero che la tratta dall'Africa era per "produrre" e che l'attuale tratta planetaria di donne e bambini è per "consumare". Il volume curato da Richard Poulin, professore di sociologia all'Università di Ottawa, affronta i flussi mondiali della nuova tratta e fa un quadro di quanto avviene in Italia, con autori esperti e impegnati a livello internazionale. Le vittime, le persone in schiavitù, vanno liberate. Il dibattito politico su questo tema non può che partire da una constatazione: il termine prostituzione non è adeguato, siamo di fronte a una mondiale tratta di schiavi. Ogni decisione deve partire da questo e non mascherarsi dietro una edulcorata letteratura sul libero commercio dell'amore o ancor peggio su problemi di sicurezza e buon costume che portano solo alla costituzione di ghetti, dove relegare e legalizzare la tratta. A tema non resta che la schiavitù e la tratta, e gli schiavi vanno liberati perché gli unici non colpevoli, anzi vittime da risarcire, se mai risarcimento esista per un crimine così efferato.