Dalle scoperte geografiche e dall'espansione economica del Cinquecento all'età napoleonica: è la periodizzazione di questo volume pensato esplicitamente per la didattica universitaria ma con tutte le possibilità di essere apprezzato anche dal pubblico di libreria. Una trattazione classica della storia moderna arricchita dai risultati più innovativi della ricerca storiografica nel settore della storia sociale e culturale. Renata Ago insegna Storia moderna alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma La Sapienza. Vittorio Vidotto insegna Storia contemporanea alla Facoltà di Lettere e Filosofia all'Università di Roma La Sapienza.
Questo libro ricostruisce la storia della schiavitù atlantica, legata cioè alla tratta che si organizzò tra le coste africane e quelle americane, e copre i circa quattro secoli della sua durata, scavalcando i limiti convenzionali della storia moderna. Muove infatti dall'inizio del Cinquecento, quando la pratica fu avviata e si stabilizzò nelle Americhe, e giunge al secondo Ottocento, epoca in cui se ne decretò la formale abolizione, senza però estirpare un uso che, sotto mutate spoglie, continuò a lungo illegalmente. L'obiettivo è quello di delinearne le origini, il consolidamento e il declino, facendo emergere i tratti specifici della schiavitù moderna rispetto tanto alle forme antiche quanto alle nuove schiavitù contemporanee.
L'opera analizza un aspetto fondamentale della storia italiana ed europea del XVI secolo: la trasformazione della Chiesa di Roma in conseguenza della sfida luterana. Il volume è diviso in tre sezioni: la prima, cronologica, focalizza il processo di trasformazione a partire dal clima religioso e politico del primo Cinquecento; la seconda verte su diversi soggetti istituzionali e centri decisionali (papato, Inquisizione, Concilio di Trento, ordini religiosi) che operarono nella Chiesa della Controriforma; la terza indaga sui rapporti tra Chiesa della Controriforma e società.
Uno dei maggiori studiosi italiani dell’Inquisizione ricostruisce le secolari resistenze di una piccola isola alle imposizioni della Chiesa: a Procida i ripetuti tentativi delle autorità ecclesiastiche di introdurre le severe regole dettate dal Concilio di Trento – dalla lotta alle convivenze alla repressione delle pratiche magiche – dovettero fare i conti con una comunità ricca, vivace, aperta agli scambi e orgogliosamente attaccata ai propri modi di vita. Il quadro complessivo restò a lungo per la Chiesa di Roma fallimentare, e il libro lo documenta ampiamente. Le vicende di Procida sono l’occasione per riflettere sul complessivo esito dei tentativi di disciplinamento religioso nell’Italia moderna. Ovunque, sia in altre piccole isole, sia nelle aree rurali, sia nelle città, le reazioni furono diffuse e invitano a riflettere sulla straordinaria durata del ‘Medioevo’ religioso nel paese del papa.
Dal 14 luglio 1789 fino alla caduta di Robespierre, la Francia vive cinque anni di sconvolgimenti che rifondano lo Stato e la società, fissano nuovi valori di riferimento, suscitano una straordinaria adesione. Se molto è stato scritto su questo evento fondatore, meno si è indagato sugli uomini che ne sono stati gli artefici: i rivoluzionari. Chi erano questi uomini comuni che si impegnarono in un percorso spesso senza ritorno? Quando si manifestò in loro la prima presa di coscienza di rivoluzionari? Quando ruppero i ponti psicologici con il passato e si proiettarono verso un futuro tutto da immaginare? Quali furono le modalità di adesione, i meccanismi di attrazione o di repulsione attivati dalla rivoluzione? E una volta entrati in questa dinamica, fu possibile uscirne? Analizzando gli elementi che contribuiscono a formare la complessa personalità del rivoluzionario, Haim Burstin offre una sequenza delle emozioni e delle aspettative suscitate da una rivoluzione in cammino e mostra come tali tensioni entrino in un particolare sistema di creazione del consenso e di affermazione di un’egemonia politica. Un approccio di tipo antropologico che consente di far nuova luce su una tempesta che ha trasformato il mondo.
"Cominciò così la grande battaglia attorno alle mura di Vienna. Era il 12, nel giorno di domenica benaugurante per i cristiani. Alle quattro del mattino, re Giovanni insieme con il figlio Jakub servì personalmente e con devozione la messa celebrata da frate Marco nella cappella camaldolese. Lo scontro si protrasse fino a sera per concludersi trionfalmente in Vienna liberata. All'alba del giorno dopo, sotto il ricco padiglione del gran visir conquistato dalle sue truppe che stavano saccheggiando il campo ottomano, Giovanni III poteva scrivere una trionfante lettera alla sua regale consorte. Terminava così, dopo due lunghi mesi, l'incubo dell'assedio alla prima città del Sacro Romano Impero e capitale della compagine territoriale ereditaria asburgica. Con esso, l'ultima Grande Paura provocata da un assalto ottomano a una Cristianità peraltro tutto meno che unita." La Francia del Re Sole è restata in disparte, ostile. La Russia di Pietro il Grande ha assistito guardinga. L'Inghilterra, il mondo baltico, la stessa cattolicissima Spagna si sono mantenuti lontani dal teatro di guerra che ha visto la croce lottare contro la mezzaluna. Solo un monarca musulmano, lo shah di Persia, sembra esultare senza riserve per la sconfitta del collega ottomano. È stata davvero una grande giornata, quel 12 settembre 1683, fondamentale per la storia dell'Europa moderna.
Nell'età dei Lumi fece la sua comparsa sulla scena europea un nuovo attore: il "philosophe", che rivendicava apertamente, tra le altre, la libertà di esprimersi a livello pubblico attraverso la parola scritta. Concentrandosi in particolare su Francia e Italia, Patrizia Delpiano esplora il processo che tra la fine del Seicento e la fine del Settecento condusse alla teorizzazione e alla messa in pratica della libertà di stampa. È una storia segnata da ostacoli istituzionali come la censura ecclesiastica e statale e da altri, non meno coercitivi, posti dalla coscienza degli autori stessi. Tra l'etica del silenzio e la libertà di scrivere si apriva infatti il vasto campo dell'autocensura: un universo del non scritto sinora largamente inesplorato, che segnò a lungo la vicenda degli intellettuali europei.
"Qui stretti in famiglia giuriamo guerra eterna di sterminio a quelle belve vestite di umana forma, ai crudeli che questa terra dilaniano che, non sazi dei nostri tesori, il sangue stesso ci succhiano. Vendetta! Vendetta! Lo giuriamo!". È una pagina di un mèlo del 1848, dove una giovinetta di forte tempra morale giura di combattere il nemico austriaco che opprime, sevizia, perseguita la patria succube da secoli dello straniero. Una straordinaria esaltazione percorre in Italia le battaglie risorgimentali, mentre il lessico delle emozioni e dei sentimenti invade la politica. Persino i più moderati tra i patrioti utilizzano linguaggi, narrazioni, gestualità che risuonano di enfasi e di estremismo etico e si richiamano a quella immaginazione melodrammatica che, dalla fine del Settecento, attraversa in tutta Europa il teatro e la letteratura di finzione. E dunque sulle scene di Parigi, di Londra e di Milano che inizia il percorso di questo volume, perché è lì che per la prima volta si propongono testi insieme lacrimevoli e spettacolari, adatti a un pubblico largo e non acculturato. Ma è nell'Italia del 1848 che il melodramma della nazione esprime al meglio le sue potenzialità, permeando di sé i discorsi e la comunicazione politica, come le pratiche e i corpi dei patrioti, in un crescendo di pathos e teatralità.
L'assedio di Vienna: l'ultimo grande assalto musulmano all'Occidente. Ad attendere l'esercito turco, dentro le mura della città, c'è un popolo spaventato e un esercito sgomento. La scelta di resistere o di arrendersi al più grande esercito mai messo insieme dai Turchi crea lo scenario di un'opzione drammatica: "tutto o niente". Tutti sono consapevoli che ogni sopravvissuto sarebbe finito o schiavo o massacrato senza pietà. Da secoli nella memoria collettiva europea l'esercito turco è associato al terrore. Il nemico è una minaccia mortale, è pericoloso, sterminato, versatile e implacabile. Gli si attribuiscono violenze di ogni tipo, torture, uccisioni, impalamenti, distruzioni. In realtà non è così e la paura dei turchi è uno stereotipo costruito con una eccessiva semplificazione: gli asburgici non sono da meno nella crudeltà e, durante la lotta di 400 anni per il dominio, l'Occidente ha preso l'iniziativa dell'offensiva altrettante volte che l'Oriente. I sovrani che guidano le truppe hanno un identico scopo, entrambi rivendicano di essere gli eredi dell'impero romano. Gli Asburgo credevano che fosse loro dovere restaurare "Roma" nell'est, poiché uno dei titoli che essi portavano con orgoglio era anche quello di Re di Gerusalemme; gli Ottomani credevano che fosse loro destino reclamare l'impero romano da Costantinopoli in direzione ovest. Ma la storia riserva delle sorprese.
I primi anni Cinquanta del Cinquecento vedono uno scontro durissimo tra il Sant'Ufficio e papa Giulio III, sempre più in conflitto con gli inquisitori che di fatto non riconoscono la sua autorità, ma troppo debole e screditato per proporre una linea alternativa. La battaglia si apre con il lungo e drammatico conclave del 1549-50, quando Gian Pietro Carafa (il futuro Paolo IV) non esita a formulare esplicite accuse di eresia contro alcuni dei più autorevoli esponenti del sacro collegio. Forte del suo ruolo istituzionale di supremo difensore della fede, il Sant'Ufficio riesce a imporre il primato dell'ortodossia teologica su ogni altra considerazione di natura politica e pastorale, ergendosi cosi al rango di supremo tutore e garante della Chiesa e del suo magistero. A dispetto degli ordini del pontefice, l'Inquisizione continua ad accumulare prove e documenti processuali per eliminare i propri avversari anche avvalendosi delle denunce di persone screditate o di documenti falsi. Massimo Firpo tratteggia un quadro inatteso delle origini della Controriforma, colte negli aspri conflitti ai vertici della Chiesa di Roma, con esiti destinati a lasciare un segno profondo e duraturo sulla sua identità storica, teologica e pastorale.
Prima di diventare la bestia nera della civiltà moderna, la censura è stata un'istituzione di Antico Regime destinata a disciplinare l'accesso degli scrittori alla stampa. Meccanismo di regolazione della trasmissione delle idee e della cultura, la censura è stata prerogativa della sovranità e, come tale, è stata un potere conteso. Tracciarne le vicende significa dunque descrivere la storia politica d'Italia sotto il profilo del rapporto tra sovranità e uso della parola. Vittorio Frajese traccia la toria della censura del nostro Paese dall'introduzione della stampa all'età liberale (1469-1898): la costruzione dell'Indice dei libri proibiti, il passaggio dalla censura di inquisizione a quella settecentesca di civile polizia fino alla censura di polizia politica ottocentesca e ai problemi posti dalla libertà di stampa alla Chiesa e al nuovo Stato liberale.
Italia figlia benedetta della Provvidenza, o piuttosto Italia incorreggibile pecora nera del Vecchio Continente? Da quando è nata tra alti clamori sconvolgendo l'equilibrio geopolitico europeo - la più giovane delle grandi nazioni occidentali è una fucina di ambizioni e frustrazioni, slanci e sconfitte. "Fin dal principio, la nazione italiana è stata difficile da definire e ancora più difficile da costruire; e malgrado gli sforzi di poeti, scrittori, artisti, pubblicisti, rivoluzionari, soldati e politici di vario colore, la fede nell'ideale dell'Italia non ha avuto lo sviluppo auspicato da tanti patrioti. È d'altronde possibile che l'insistenza con cui il progetto di "fare gli italiani" è stato perseguito fino alla seconda guerra mondiale abbia finito col risultare controproducente, contribuendo a erodere la credenza nei valori nazionali collettivi. Al principio del nuovo millennio, l'Italia continua ad apparire un'idea troppo malcerta e contestata per poter fornire il nucleo emotivo di una nazione, o almeno di una nazione in pace con se stessa e capace di guardare con fiducia al futuro." Christopher Duggan ricostruisce oltre due secoli di storia italiana, dalla deludente invasione napoleonica di fine Settecento ai nostri giorni.