Dal primo avventurarsi su due gambe nelle pianure africane alla produzione di pitture rupestri, piramidi, bastimenti, parlamenti e molto altro: tanto si è scritto sul cammino evolutivo dell'umanità grazie al lavoro di paleontologi, archeologi e genetisti. Ciascuno di loro ha messo un tassello a formare un quadro generale della nostra storia. Ma oggi siamo riusciti a compiere un altro passo: con la capacità che abbiamo acquisito di leggere a fondo il DNA di tante persone, passate e presenti, e di interpretarne le differenze, quei resti non solo ci danno un'idea delle migrazioni, degli scambi, dei processi di adattamento all'ambiente che hanno fatto di noi quello che siamo, ma ci hanno anche permesso la ricostruzione delle sembianze dei nostri antenati. Il lavoro scrupoloso di un gruppo di artisti ci fa finalmente guardare in faccia Homo erectus, che per primo ha imparato a maneggiare il fuoco, e i piccoli ominidi dell'isola di Flores in Indonesia, che qualcuno ha ribattezzato hobbit; i vecchi europei, gli uomini di Neandertal e quelli nuovi come Ötzi, l'uomo dei ghiacci del Museo di Bolzano, e tanti altri. Guardandoli negli occhi possiamo capire meglio quanto abbiamo in comune, quanto ci siano vicini, quanto è vero che, nonostante la grande distanza temporale, noi in qualche modo siamo loro.
Per vent'anni Benedetto Croce fu l'unica voce libera del nostro Paese. L'unico intellettuale a cui il regime fascista, per il suo prestigio e il suo carisma, concedeva una certa libertà di espressione. Da solo, attraverso i suoi libri, la sua rivista e le sue relazioni, riuscì a tenere accesa la fiamma della speranza in tanti giovani. Un racconto che ripropone l'eterna battaglia tra libertà e asservimento della cultura. Benedetto Croce non è stato soltanto uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento ma ha svolto una funzione fondamentale durante il Ventennio fascista, impedendo al regime di ottenere una egemonia assoluta sulla cultura del nostro Paese. Con un taglio originale, questo libro, oltre a seguire l'atteggiamento di Croce dinanzi al fascismo - accolto con simpatia, poi combattuto con tenacia e inventiva -, ricostruisce non soltanto la biografia del filosofo nel ventennio più tormentato del Novecento, ma ricollega lo studioso liberale ai protagonisti della cultura italiana ed europea, da Thomas Mann a Stefan Zweig. Con una ricca documentazione inedita, Franzinelli illustra l'offensiva degli squadristi e la 'macchina del fango' scatenata contro il filosofo dissidente, la sua rete di corrispondenti e le schedature poliziesche di chiunque lo frequentasse o gli scrivesse. Emerge il ruolo di Croce nella formazione di giovani che - da Giorgio Amendola a Vittorio Foa, da Leone Ginzburg a Piero Gobetti - lo presero quale riferimento in momenti decisivi della loro esistenza. Una particolare attenzione è dedicata alla battaglia di Croce contro il razzismo: era nota la sua contrarietà alla persecuzione degli ebrei, ma ora emergono la continuità e la profondità del suo impegno, che non trova pari in nessun altro intellettuale italiano.
Nel 1494, solo due anni dopo la 'scoperta dell'America', a Tordesillas, una piccola località della Castiglia, veniva firmato un trattato tra Spagna e Portogallo che divideva il mondo in due e inventava l'Occidente come spazio, comunità e cultura. Mai nessuno si sarebbe potuto aspettare che una semplice firma avesse conseguenze così gigantesche e durature. Questa è la storia di come, tra medioevo ed età moderna, le società europee (all'inizio spagnoli e portoghesi in testa) spinsero le proprie ambizioni sempre più verso l'oceano e così facendo trasformarono l'idea che esse avevano dell'Ovest: quella che era una direzione divenne poco alla volta uno spazio pensabile. È perciò una storia di grandi navigatori e di dibattiti violenti tra geografi, una storia di sfide e di esplorazioni che solcarono l'ignoto. Ma è anche la storia dei dibattiti culturali che ne seguirono e che inventarono e definirono quell'Occidente che prima mancava dalle mappe. E il punto di arrivo di questa storia siamo noi. In un momento in cui tutto questo appare ormai largamente messo in discussione, forse vale la pena riprendere il discorso da capo e chiedersi come si sia giunti alla nostra idea di Occidente. Come una direzione geografica ha fatto nascere e maturare un'idea di appartenenza. Quel che non possiamo fare è darlo per scontato. Pensare che noi si sia davvero da sempre così, che la nostra storia, la nostra cultura e la nostra civilizzazione corrispondano da sempre a quello spazio indistinto con i piedi in Europa e la testa nell'Atlantico: quell'Occidente che in questo secolo faticoso appare sempre più difficile da stringere nelle nostre idee e nelle nostre mappe
Per molto tempo gli storici si sono interrogati sul consenso al regime fascista e hanno dedicato poca attenzione all'uso della violenza da parte dei fascisti e al ruolo anche simbolico che questo ha avuto. John Foot, nel solco della migliore divulgazione inglese, ne ricostruisce la storia a partire da singole storie individuali, spesso dimenticate. Rivoltelle, bombe a mano, manganelli e olio di ricino: questo era l'armamentario delle 'squadracce' fasciste che cento anni fa imperversavano per l'Italia, lasciando una scia di morte e di devastazione. Una violenza che sconvolse la penisola e ne paralizzò ogni reazione.
Nell'Ottocento il colonialismo europeo andò di pari passo con il ricorso alla deportazione, basti pensare al caso dell'Australia o quello della Guyana francese. Anche in Italia, all'indomani dell'Unità, si immaginò che la deportazione potesse essere lo strumento ideale per sconfiggere i briganti, tanto da essere al centro dell'attenzione del partito colonialista italiano e di molte iniziative di esploratori e avventurieri italiani che cercavano terre da conquistare in quadranti che vanno dal Marocco al Mar Rosso, dal Borneo alla Polinesia. Molti vedevano nella deportazione l'occasione per dare il via all'espansione coloniale e nei loro scritti attingevano a un immaginario utopico che si nutriva dell'idea che i criminali, deportati in lande selvagge, potessero rigenerarsi lavorando la terra e dominando i selvaggi. Fondato su una ricerca d'archivio originale e solidissima, questo libro riporta alla luce un tema dimenticato della nostra storia, di grande attualità oggi con il ritorno delle 'classi pericolose' e del tema del controllo sociale al centro del dibattito pubblico.
Cominciamo col dire che non erano tre. Le caravelle, ovviamente. Si tratta di un mito durevole, entrato prepotentemente nell'immaginario. Tre come i Magi, come i Moschettieri, per non citare altri e più sublimi paragoni. Volendo essere precisi, due caravelle e una nao: una grossa nave commerciale. Ma poco importa: il mito si costruisce a suon di semplificazioni. L'invito è a salire a bordo e a ripercorrere, passo dopo passo, le tappe del primo viaggio di Cristoforo Colombo, proprio quello che il 12 ottobre del 1492 porterà l'Ammiraglio ad avvistare la terra (le Indie o una sconosciuta?). Come per ogni navigazione, dovremo prepararci imparando a conoscere i tipi nautici, il regime dei venti, strumenti come la bussola, le carte, le tavole di martelogio per il calcolo del punto nave. Ma soprattutto saremo introdotti alla vita di bordo e incontreremo gli uomini che stanno per compiere la traversata. A guidarci sarà il Giornale di bordo, il diario su cui Colombo annotava tutto ciò che viveva in quelle settimane.
Attraverso il conflitto tra partiti e toghe, una delle firme di punta del "Corriere della Sera" racconta gli ultimi trent'anni di storia del nostro Paese. La prima vittoria elettorale di Berlusconi e il processo Andreotti, il braccio di ferro tra il Cavaliere e i magistrati nella stagione delle leggi ad personam, le scalate bancarie dei primi anni Duemila e il tramonto di Di Pietro. E ancora: la piazza del 'vaffa' e l'odio per la casta, il grillismo giudiziario, gli scandali sessuali e la fine del berlusconismo, l'avventura di Matteo Renzi e il crollo del Pd, il processo sulla Trattativa e lo scontro con Napolitano. Infine, la stagione dei populismi, da Salvini a Giorgia Meloni; gli scandali del Csm, da Palamara ad Amara; gli scontri tra vecchi sodali, come Greco e Davigo; la morte di Berlusconi, che non chiude lo scontro.
Il Novecento, il 'secolo breve', viene raccontato tradizionalmente attraverso la politica e l'economia. Come se queste due grandi ruote motrici della storia producessero un cammino necessario e inevitabile. Esiste però un altro Novecento, spesso lasciato ai margini, da cui è necessario ripartire per scoprire le radici del nostro presente. È il Novecento che vede la transizione definitiva dalla società contadina a quella industriale. Quello che vede la nascita e l'evoluzione della società dei consumi di massa e la costruzione, in senso antropologico, di un nuovo modo di vivere e pensare. Quello che vede il crescente e inarrestabile dominio della tecnica, la costruzione di un sistema di produzione e comunicazione su scala globale, la dinamica delle crisi economiche e dei loro effetti. Quello che imprime come 'marchio' indelebile una diversa manifestazione dei sentimenti collettivi e privati. Un libro destinato a soddisfare le domande e le curiosità di quanti si interrogano sulla storia dei mutamenti sociali di massa e di costume.
600.000 italiani rifiutarono di aderire alla Repubblica sociale di Mussolini dopo l'8 settembre. Furono trasformati in lavoratori coatti da Hitler e oltre 50.000 persero la vita. Protagonisti del primo 'referendum antifascista', questi italiani hanno sempre fatto fatica a trovare un riconoscimento nella memoria della guerra e della Resistenza e in questi ultimi anni sono diventati un oggetto di contesa politica. Di recente hanno preso a essere più considerati - dalle istituzioni, dalla retorica celebrativa, da un certo associazionismo - ma solo come prigionieri maltrattati: il loro no al fascismo di Salò ne risulta quindi depotenziato di ogni valore morale e politico. Sono tornati a essere dei prigionieri e non dei 'resistenti senz'armi'. Il libro ricostruisce questo cambiamento: dal silenzio al riconoscimento, alla retorica celebrativa e al depotenziamento morale e valoriale. Documenta come l'Italia della seconda repubblica sia anche un tempo di contese memoriali, un tempo nel quale la Resistenza rischia di finire accantonata.
Negli anni della Rivoluzione francese i giacobini in Francia furono all'avanguardia nel reclamare la libertà e l'uguaglianza, la giustizia sociale e la sovranità popolare. Un programma fatto proprio da moltissimi italiani, confluiti in un movimento unitario che entrò in scena nel Triennio repubblicano (1796-1799), animando la nascita dell'associazionismo e del giornalismo politici. Il principale obiettivo del movimento era l'unificazione dell'Italia in un unico Stato repubblicano, democratico e costituzionale. Era la prima generazione del Risorgimento che avviava la sua lunga lotta, nel crogiolo politico e ideologico che vide forgiarsi le correnti protagoniste dei due secoli seguenti: il liberalismo, la democrazia, il repubblicanesimo, il socialismo, il comunismo, l'anticolonialismo, il femminismo. Quel primo movimento politico italiano nascondeva al suo interno una società segreta, le Colonne della Democrazia, da cui sorse la misteriosa Società dei Raggi, la prima società segreta del Risorgimento sul cui tronco ne fiorirono altre, tra cui la più nota è la Carboneria. Il libro racconta la nascita del movimento che diede avvio al Risorgimento, perseguendo un programma politico avanzatissimo attuato solo in parte con l'Unità d'Italia e più compiutamente - ma non appieno - realizzato dopo la Resistenza al nazi-fascismo e la Costituente.
La Grecia che abbiamo imparato a conoscere e ad amare dall'epica, dalla tragedia, dalla storia è ricchissima di straordinarie figure di giovani uomini e giovani donne. Achille è l'eroe che a una vita lunga e incolore preferì la brevità di un'esistenza spezzata ma piena di gloria. Gli fa da contraltare il mite Telemaco: il figlio obbediente che vive nell'ombra di un padre mai conosciuto. E c'è Antigone, la vergine che, in un fragoroso assolo, osa levare la sua voce di dissenso. E Oreste, il figlio che uccide la madre per dare giustizia al padre. Fin qui il mito. Poi c'è la storia, che ci ha lasciato memoria dell'ambizioso Alcibiade, interprete perfetto di un tempo di cambiamenti nella cornice della guerra più atroce di Grecia. E come non ricordare Alessandro? Colui che osò sognare l'impossibile e che l'impossibile riuscì a realizzarlo, riunendo il mondo sotto di sé. Ma ci sono anche le figure femminili tratteggiate dai versi di Saffo, che ancora ci emozionano per la potenza dei sentimenti che esprimono. In queste pagine avvincenti le gesta, i desideri, le passioni di ragazzi e ragazze della Grecia antica cui dobbiamo essere tutti debitori per aver messo in discussione la tradizione e osato il nuovo.
Fondata a Londra nel 1717, la Massoneria mostrò immediatamente la propria influenza pervasiva, tanto da diffondersi in tutto il mondo in solo due decenni. Così, se con George Washington divenne il credo della nuova nazione americana, furono le reti massoniche a tenere insieme l'Impero britannico. Se con Napoleone divenne uno strumento dell'autoritarismo, con la Restaurazione funzionò da copertura per le cospirazioni rivoluzionarie del Risorgimento. Ai rituali e alle formule di affiliazione della Massoneria si ispirarono, fino a copiarli, tanto i mormoni quanto la mafia siciliana. La Chiesa cattolica ne ha temuto l'influenza al punto di scomunicare gli aderenti già dal 1738 e la temettero anche Hitler, Franco e Mussolini che considerarono le logge uno strumento di diffusione del pacifismo e del giudaismo internazionale. In questo libro, John Dickie ricostruisce con una prosa avvincente il lato oscuro della modernità.