Jcques Derrida trova nell'opera di Hélène Cixous nuove possibilità di lettura che nessun altro aveva saputo ancora individuare. Mette così continuamente in relazione una pratica di scrittura femminile con la propria, in un confronto che si snoda intorno al rapporto con la vita e con la morte e giunge da lì a delineare le diverse relazioni possibili con il lutto e con il segreto di ogni singolarità vivente
Il 1757 è un anno di svolta nella vita di Rousseau, segnato da una passione improvvisa per madame d'Houdetot, passione che pretendeva di superare tutti gli ostacoli. Egli inizia così un percorso di allontanamento dalla società colta del suo tempo, rappresentato parallelamente dal suo spostamento dalla città alla campagna. Gli amici filosofi lo abbandonano e la vicenda del suo innamoramento s'intreccia con una serie di rotture, di rimproveri, di amicizie perdute. L'amore per la contessa risulta impossibile, ed è allora che Rousseau trasforma questa situazione negativa in una possibilità più alta, un amore puro che non si estinguerà mai, proprio per la sua assenza di realizzazione concreta. È così che nascono le "Lettere morali"
In questo breve e denso scritto, nato occasionalmente come conferenza, si trovano riassunte le principali tematiche di un pensiero provocatorio e controcorrente che evidenzia la priorità del "volto dell'altro" e sottolinea la centralità dell'etica. Nell'ampio e articolaro dibattito, che accompagna il testo della conferenza, sono tratteggiati i principali nuclei attorno ai quali ruota la ricerca levinasiana: il confronto tra "sapienza ebraica" e "saggezza greca", il significato dell'elezione e l'importanza del dialogo interconfessionale tra ebraismo e cristianesimo. La filosofia della singolarità ebraica, che Lévinas propone sinteticamente in questo scritto, non solo permette di "dire altrimenti" la trascendenza, ma la rende anche intelligibile a tutti, esplicitandone il suo "significato" etico e religioso. Si tratta di un significato che non si impone nelle forme forti di un sapere intellettualistico, ma si propone come "traccia" in grado di regolare concretamente le relazioni intersoggettive tra uomini.
Con questo volume s’intende mettere a disposizione del lettore italiano una parte poco conosciuta dell’opera di Michel Foucault, quella scritta per giornali e riviste e che Foucault stesso ha definito il suo “giornalismo filosofico”.
I testi qui presentati spaziano dal problema della vita e del vivente, a quello della nascita del biopotere e degli effetti della medicalizzazione della società; dalla questione del crimine e della punizione a quella della società disciplinare e dei dispositivi di controllo e sicurezza; dai temi filosofici della verità e dell’identità al problema della sessualità e della soggettività che si forma o si sfalda nel punto d’intersezione e di conflitto tra desiderio e piacere.
A questi interrogativi si intreccia sempre la domanda che sin dall’inizio ha accompagnato il lavoro di Foucault, a volte esplicitamente, altre volte in segreto: quella sul ruolo e sulla funzione dell’intellettuale.
A cura di Mauro Bertani e Valeria Zini
GLI AUTORI
MICHEL FOUCAULT (Poitiers, 1926 – Parigi, 1984) è stato uno dei grandi pensatori del XX secolo. Tra i suoi testi più importanti ricordiamo: Storia della follia nell'età classica (Milano, 1963); Le parole e le cose (Milano, 1967); L'ordine del discorso (Torino, 1972); e i tre volumi sulla Storia della sessualità: La volontà di sapere (Milano 1978), L'uso dei piaceri (Milano 1984), La cura di sé (Milano 1985).
Nell’attuale dibattito sull’evoluzionismo e sul darwinismo, questo libro di Zubiri offre un interessante contributo da una prospettiva rigorosamente filosofica. Si delinea, infatti, una teoria del divenire, anzi, una metafisica della realtà che diviene e delle sue strutture dinamiche. Nel trattare il tema dell’evoluzione Zubiri si pone da un punto di vista formalmente filosofico: il suo approccio non si confonde né si risolve nelle indagini scientifiche delle strutture che compongono l’universo. Non si tratta pertanto di indagare in modo concreto su quanto le diverse scienze ci dicono, ad esempio, sul divenire dell’universo fisico o degli organismi, sulla loro evoluzione nel corso del tempo. Occorre invece far emergere tutti questi temi da un punto di vista rigorosamente e formalmente filosofico. Si tratta di un’evoluzione concepita in senso metafisico perché concerne nientemeno che la realtà: pur tenendo in grande considerazione l’apporto delle scienze, siamo dinanzi all’ontologia del divenire, ad una metafisica strutturale del divenire. Il dinamismo, che abbraccia tutte le strutture cosmiche, dalla più elementare alla più differenziata e formalizzata, è l’elemento costitutivodella realtà. Le essenze sono fondate le une sulle altre attraverso un processo genetico-strutturale. Ecco un’interpretazione strutturale dell’evoluzione e una lettura evolutiva delle strutture. Il significato metafisico del dinamismo è che diviene la realtà in quanto tale.
A cura di Armando Savignano
GLI AUTORI
XAVIER ZUBIRI (1898-1983) ha dedicato la sua vita alla ricerca in solitudine avendo rinunciato giovanissimo alla cattedra per motivi politici in connessione alla tragica vicenda franchista. Ha elaborato in dialogo con Ortega, Husserl ed Heidegger, un vero e proprio sistema filosofico riproponendo un ritorno alla metafisica sulla base di un’originale teoria dell’intelligenza senziente espressa in una celebre trilogia. Dello stesso autore Marietti ha pubblicato L’uomo e Dio (2003).
Nel 1971 il «New York Times» pubblicò alcuni stralci dei Pentagon Papers, documenti segreti del Dipartimento della difesa relativi all’impegno americano nel sud-est asiatico dal dopoguerra alla fine degli anni sessanta. Lo scandalo al cuore di quella pubblicazione – che precedette di poco la celebre infrazione al Watergate Building, e che inaugurò la grave crisi di legittimità che caratterizzò la presidenza di Richard Nixon – riguardava l’ammissione, da parte degli esperti del Pentagono, dell’assoluta inutilità strategica dell’impegno americano in Vietnam. Che questa ammissione, nota ormai da anni ai più, venisse addirittura riconosciuta – e tenuta segreta – dai governanti statunitensi fu motivo di profonda indignazione nella pubblica opinione. A partire da queste premesse, Hannah Arendt, nel saggio qui proposto in nuova traduzione, riflette sul rapporto fra politica e menzogna. Il saggio, uscito nel 1972 sulla «New York Review of Books», prende in esame le affinità e le differenze fra la menzogna tradizionale – il mentire per ragion di Stato – e la deliberata falsificazione dei fatti per ragioni di "immagine" o di "reputazione". Ben oltre una mera ricognizione sui metodi pubblicitari, manipolatori del consenso e della pubblica opinione, all'opera nelle moderne democrazie di massa, il saggio di Arendt offre una profonda e originale riflessione sulla natura della politica e il suo rapporto con la verità. Testo originale a fronte
Non si può stabilire in che senso discipline quali la storia, la sociologia, l’etnologia, la linguistica siano veramente delle scienze se si pongono solo questioni di ordine metodologico. Occorre invero chiarire il concetto di spirito sviluppando una filosofia dello spirito o del mentale. A tal fine occorre superare due difficoltà. Da un lato, il concetto di spirito reclama di essere individuato. Da un altro lato, il concetto di spirito rifiuta di essere trattato interamente come il concetto di un attributo personale. Le persone manifestano nella loro condotta uno spirito, ma il "contenuto" di ciò che manifestano è, in buona parte, impersonale. Tale ambito è formato dalle istituzioni in quanto esse offrono un senso di cui i soggetti individuali possono, a loro volta, appropriarsi. Queste osservazioni permettono già di indicare perché questo libro sullo spirito porta un titolo che parla di istituzioni. La tesi di questo libro sarà proprio che lo "spirito oggettivo" delle istituzioni, per usare dei termini che questa ricerca si propone di chiarire, precede e rende possibile lo "spirito soggettivo" degli individui. Questa prospettiva è quella dell’"olismo antropologico". Introduzione di Giuseppe Padovani
In questo volume l'autore riesce a promuovere un confronto decisivo tra i più importanti temi della filosofia e quelli della biologia proprio attraverso il recupero della nozione aristotelica di finalismo. Il finalismo, pur avendo una storia che lo ha legato fortemente alla riflessione teologica, originariamente è stato elaborato da Aristotele per affrontare gli interrogativi che il mistero della vita pone a coloro che la possiedono. Questi interrogativi fanno convergere sia la scienza che la filosofia verso la nozione di finalità che non è semplicemente una "soluzione" alle domande scientifiche e filosofiche, ma è una vera e propria "apertura" che il desiderio di sapere scava per potere andare al di là di ciò che si osserva.
GLI AUTORI
Étienne Gilson (Parigi 1884 - Cravant 1978), formatosi alla Sorbona, subì l'influsso di H. Bergson e di L. Lévy-Bruhl. Insegnò presso le università di Lilla (1913) e di Strasburgo (1919); fu poi professore di filosofia medievale alla Sorbona nel 1921, e nel 1923 insegnò al Collège de France. Dal 1929 fu direttore del Pontificio Istituto di Studi Medievali a Toronto.Accademico di Francia, è da considerarsi come uno dei maggiori storici del pensiero filosofico medievale. Di Gilson Marietti ha pubblicato: “Introduzione allo studio di Sant'Agostino” (1983).
La collana “I Kaladri” si inserisce nella “collana di filosofia” della nostra casa editrice con due volumi di enorme importanza: Gilson e Fabro. I due saggi saranno usati presso le facoltà di filosofia dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
La questione del male come assurdità e come scandalo si intreccia in questo breve saggio con altri temi, come la menzogna, la morte, il perdono, le virtù, la volontà di volere. La riflessione sul male, nozione negativa per definizione, diviene il prototipo di un pensiero che esplora ciò che non è direttamente afferrabile, ma i cui echi possono essere percepiti situandosi in prossimità del sottile confine tra l'essere e la sua privazione.
GLI AUTORI
Jankélévitch è uno degli esponenti più originali del pensiero francese contemporaneo. Nelle edizioni Marietti sono già usciti Il non so che e il quasi niente e L'avventura, la gioia,la serietà. E' docente di filosofia morale alla Sorbona, è notevolmente apprezzato per la sua scrittura ironica e capace di alleggerire le problematiche che affiorano nell'affrontare discipline arcigne quale la filosofia morale. Nel 2000 è uscito in traduzione italiana La menzogna è malintesa che ha avuto un buon successo di vendita e in quell'occasione il Corriere della Sera dedicò un'anticipazione che occupò l'intera pagina di apertura di "Cultura e Spettacoli".
"L'istante" è il titolo che Kierkegaard ha dato a un quindicinale di cui fu il fondatore e l'unico redattore. Ne uscirono nove numeri tra il 24 maggio e il 24 settembre 1855, con un discreto successo di pubblico. Un decimo numero era già pronto, ma il 2 ottobre 1855 Kierkegaard fu ricoverato in ospedale, dove morì l'11 novembre. Con questa pubblicazione destinata all'"uomo comune", in cui per la prima volta si firma con il suo vero nome anziché con lo pseudonimo Anti-Climacus, Kierkegaard prosegue la sua critica alla chiesa ufficiale e al mondo cristiano che sostenevano una concezione del cristianesimo incompatibile con il Nuovo Testamento.