All'interno della monumentale Kirchliche Dogmatik, interamente fondata sull'evento della rivelazione di Dio in Gesù Cristo, Karl Barth discute il problema del tempo. Ritrattando quanto affermato nel commentario alla lettera ai Romani di san Paolo del 1922, il teologo vi afferma che Dio si rivela nella temporalità. La rivelazione non è un evento puntuale, come in precedenza suggeriva la metafora della retta tangente il cerchio, ma un vero e proprio tempo, dotato di un passato (il tempo dell'attesa) e di un futuro (il tempo del ricordo). La rivelazione è l'eterno presente di Cristo, già presente nella sua sospensione veterotestamentaria e ancor presente nel suo ricordo apostolico. Di più, il tempo della rivelazione è il tempo che Dio dona all'uomo; il tempo compiuto, che assume in sé e rigenera il tempo decaduto dell'uomo. Ne segue che il nostro tempo malato, corrotto ed esposto al nulla è stato guarito e superato dal tempo che Dio ci ha donato in Cristo. Ciò spiega anche lo scandalo della rivelazione per gli uomini, che non vogliono rinunciare al proprio tempo.
Ricostruisce la storia della civiltà a partire dall'homo sapiens, passando attraverso le grandi religioni dell'antichità per poi analizzare lo sviluppo della costellazione moderna. In questo percorso la sua chiave di lettura privilegia il rapporto tra fede e sapere, ponendo al centro il ruolo della religione e della razionalità filosofica nella genesi del moderno e del pensiero post-metafisico. I saggi riprendono un seminario organizzato a Cortona nell'ottobre 2019 dalla Società italiana di teoria critica alla presenza dello stesso Habermas. Ai sei contributi segue la risposta di Habermas sotto forma di postfazione. La seconda parte del volume è dedicata alla storia della ricezione del pensiero habermasiano a livello nazionale e mondiale.
Questo volume si presenta come una summa del pensiero di Alasdair MacIntyre. Il punto di partenza della riflessione etica è la situazione pratica del soggetto agente, nella quale si rivela la direzionalità verso un fine ultimo, un telos che si incarna parzialmente nell'esercizio delle virtù morali e razionali ed è comprensibile solo narrativamente. A un'analisi fenomenologica più approfondita l'esercizio delle virtù appare come attuazione della legge naturale. Tale esercizio tuttavia si rivela impossibile senza il possesso di un bene comune fondamentale, quello dell'amicizia, la quale fornisce all'agente quella distanza dai propri desideri necessaria per ordinare i beni nelle situazioni particolari. Il desiderio, in altri termini, non è un dato positivo immodificabile ma, in quanto proprium del soggetto, ne rivela l'intima natura appetitiva (e quindi teleologica) e razionale. Un proprium paradossale in quanto necessita dell'altro per potersi determinare in modo non reificante.
Questo saggio è il manifesto di un gigantesco progetto transdisciplinare di filosofia e antropologia della complessità. Edgar Morin sostiene che bisogna porre fine alla riduzione dell'uomo a homo faber e homo sapiens. Homo, che apporta al mondo magia, mito, delirio, è dotato nello stesso tempo di ragione e sragione: è sapiens-demens. Rifiutando una concezione ristretta e chiusa della vita (biologismo), una concezione insulare e sopra-naturale dell'uomo (antropologismo), una concezione che ignora la vita e l'individuo (sociologismo), Edgar Morin delinea una concezione complessa dell'uomo come a un tempo specie, società e individuo. È una visione radicalmente ecologica della nostra condizione terrestre, che raccoglie la sfida di inventare una nuova immagine dell'umano, nell'avventura spaesante dell'era planetaria.
In questo scritto, la "questione della tecnica", che potremmo definire il grande argomento che dalla seconda metà del Novecento ha agitato il pensiero filosofico, è posta come interrogazione del senso - significato e direzione - delle trasformazioni che le nuove tecnologie informatiche imprimono ad alcune nostre personali, individuali, esperienze umane. Viviamo in un'epoca di addomesticamento tecnologico. Le macchine ci sono diventate familiari, ci seguono ovunque, le portiamo con noi, ne dipendiamo sempre di più per il nostro lavoro, i nostri svaghi e i nostri affetti. Al di là di utopie e distopie, questo saggio assume, perciò, come prospettiva, quella del fruitore dei nuovi artefatti tecnologici e tenta di indagarne alcune esperienze. La categoria dell'essere altrove definisce uno degli aspetti più rilevanti e, forse, meno indagati della nostra esperienza segnata dai rapporti con e attraverso le macchine. L'ambiente digitale rende presente ciò che è assente, permette di trascendere tempi e luoghi, trasforma le dimensioni del potere e delle relazioni, ci fornisce un'esperienza disincarnata sempre più esposta alle dimensioni simulative ed emulative dell'intelligenza artificiale.
Il libro approfondisce i temi del benessere e della felicità attraverso il contributo delle scienze sociali inserite in una più ampia cornice antropologico-filosofica. Tramite la riflessione sulla "vita buona" come fine ultimo dell'esistenza umana, il saggio prova a rispondere all'urgenza pratica di ripensare orizzonti di senso possibili e percorribili di fronte alla complessità del tempo presente. Attingendo all'eredità dei classici, in particolare Aristotele e Tommaso, alla sociologia relazionale e al magistero sociale della Chiesa, il volume intesse un dialogo con l'etica antica per riscoprirne i fondamenti e offrire una "terza via", alternativa all'emotivismo relativista e alla deriva dogmatica, esplorando il legame esistente tra virtù e desiderio e riabilitando, infine, la narrazione e la parola poetica nella costruzione dell'agency soggettiva.
"Non sappiamo che cosa ci sta accadendo, ed è precisamente questo che ci sta accadendo." La celebre frase di José Ortega y Gasset, posta da Edgar Morin a epigrafe di questo pamphlet, vale a maggior ragione per il nostro tempo. La nostra miopia nella comprensione del presente dipende da una crisi del pensiero? O da una sorta di sonnambulismo generalizzato? In questo nuovo saggio, il grande filosofo francese sottolinea la necessità di trovare una bussola per orientarsi nell'oceano dell'incertezza in cui siamo dispersi. Una bussola che ci aiuti a comprendere la storia che stiamo vivendo, dalla marea di estrema destra dilagante in Europa alla crisi economica, fino al degrado ambientale del nostro pianeta. Grazie alle riflessioni del filosofo planetario, incalzati dalle sue domande possiamo tentare di comprendere come il mondo si sta trasformando e accogliere la sfida senza precedenti che siamo chiamati ad affrontare. Dunque... svegliamoci!
Il debito che Gilles Deleuze ha maturato nei confronti di Kant è probabilmente ben più significativo di quanto lo stesso Deleuze non ammetta, tanto che è forse possibile reinterpretare la filosofia dell'autore di Differenza e ripetizione come una peculiare riedizione del kantismo. In particolare, le quattro lezioni del pensatore francese qui presentate sono incentrate sul concetto di tempo, in un serrato confronto tra il Kant della Critica della ragion pura e quello della Critica del giudizio, ma anche con la dottrina di Cartesio, con le concezioni filosofiche di Hölderlin e di altre grandi figure della tradizione filosofico-letteraria. Prefazione di Rocco Ronchi, postfazione di Damiano Cantone.
Nel 1909, presso l'Accademia teologica di Mosca, Pavel A. Florenskij presentava ai suoi studenti un ciclo di lezioni intitolato Primi passi della filosofia. Con lo stesso titolo fu poi pubblicato, nel 1917, un prezioso volumetto, organica elaborazione delle prime lezioni del corso. La presente edizione restituisce l'insieme dei testi cui è possibile riferirsi, nell'evidente continuità storica e genetica, con il titolo comune Primi passi della filosofia. Oltre agli scritti pubblicati nel volumetto del 1917, viene qui tradotto il manoscritto delle undici lezioni presentate agli studenti nel 1909. L'opera indaga il profondo legame tra Naturphilosophie e religione antica nella prima apparizione del pensiero ionico. La filosofia di Talete, in particolare, ne riaffiora come potente e complessa costruzione speculativa, nutrita della feconda tensione tra l'antichissima radice religiosa e la possibilità, interna alla stessa «visione poseidonica» che l'informa, di trascenderne l'implicito destino.
Nei manoscritti pubblicati nel volume XLII della raccolta Husserliana e qui tradotti, Edmund Husserl sviluppa una fenomenologia delle esperienze "limite" della coscienza: nascita, morte, sonno, inconscio. Lo Husserl maturo ci propone di ripensare i concetti di limite e confine scandagliando l'oscurità della coscienza e, al tempo stesso, il carattere generativo e originario delle dinamiche costitutive del soggetto, svelando un potenziale inedito della fenomenologia. L'inconscio è messo in relazione non più soltanto con l'associazione e la fantasia, ma anche con la temporalità della coscienza, facendoci guadagnare un nuovo senso dell'immortalità dell'Io trascendentale: quest'ultima diventa il passaggio continuo dal sonno alla veglia, in cui la coscienza costituisce, sempre di nuovo, se stessa.
Le note del primo corso che Merleau-Ponty tenne al Collège de France nel 1953 costituiscono un documento eccezionale per cogliere il pensiero del filosofo nel suo divenire. In questo corso, che si colloca nel cuore del suo percorso filosofico, Merleau-Ponty avanza una prima autocritica delle sue ricerche precedenti, discutendo in maniera radicale la nozione di coscienza e ponendo le basi per il suo ripensamento a partire dal concetto di espressione. Negli appunti, volti a rivelare la dimensione espressiva della vita percettiva, prende forma in maniera germinale quell'ontologia della reversibilità che il filosofo svilupperà negli ultimi anni. C'è un legame sotterraneo tra questo corso e la riflessione dell'ultimo Merleau-Ponty, in particolare il celebre saggio L'occhio e lo spirito, ma anche i corsi su La Natura e l'inedito de Il visibile e l'invisibile. Nel dialogo interdisciplinare con la neurologia, la psicologia della forma, la psicoanalisi e le arti visive, assistiamo all'elaborazione di alcuni dei temi che occuperanno Merleau-Ponty negli anni a venire: lo schema corporeo, l'analisi della visione e della profondità, il concetto di empiétement e di enveloppement, ma anche un consistente riferimento al cinema.
Filosofo, logico, matematico e attivista, Bertrand Russell non è stato soltanto una figura centrale per il suo contributo alla logica e alla disciplina matematica nel XX secolo, ma anche un uomo di grande spessore etico, tormentato dalle profonde inquietudini della sua epoca e desideroso di lasciare un segno, intellettuale e civile, nel mondo. In questa straordinaria autobiografia, Russell torna sulla sua difficile infanzia trascorsa in un ambiente vittoriano intriso di ipocrisia e tabù, ricorda l’esaltante scoperta della filosofia e della matematica e rievoca la sua inesauribile battaglia pacifi sta, che a più riprese lo portò a scontrarsi contro il potere, al punto da finire in carcere.
Bertrand Russell (Trellech 1872 – Penrhyndeudraeth 1970) è stato una delle figure più importanti del XX secolo in virtù della sua straordinaria capacità di accostare la riflessione filosofica alle discipline scientifiche, in particolare alla logica e alla matematica. Nel 1950 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Di Russell, Mimesis ha pubblicato Sintesi filosofica (2018).