In questo straordinario «resoconto» di un viaggio a Lourdes, compiuto per osservare con imparzialità scientifica i fenomeni considerati miracolosi presso il famoso santuario, Carrel narra come venga coinvolto nella vicenda di una ragazza ammalata, gravissima e incurabile, che viene condotta dalla Madonna in una estrema speranza di guarigione prodigiosa. Contrariamente a ogni sua previsione di medico saldamente legato a una visione «positiva» dei fatti biologici, egli assiste al miracolo, che descrive con partecipazione ansiosa, incredula e poi stupefatta. L'autore non depone il suo atteggiamento da scienziato, tuttavia entra «in una indicibile confusione di pensiero», poiché nelle domande che gli si affollano dentro non si tratta «di una semplice adesione ad un teorema di geometria, ma di cose che possono cambiare l'orientamento della vita». Ed ecco la conversione, della mente e del cuore, e lo sbocciare in lui della preghiera. L'autore, pur non diventando un «bigotto» e mantenendo la sua vigile disposizione critica, diventa e rimane un cristiano, come attestano le originali Meditazioni e i Frammenti di diario qui aggiunti.
I problemi legati all'estetica non erano mai stati al centro degli interessi filosofici di Bolzano fino agli anni Quaranta dell'Ottocento, quando vide la luce Sul concetto di bello, l'inizio di una serie di scritti che rimase incompiuta. In questo saggio l'autore definisce l'estetica come una teoria del bello: il suo primo compito è quello di indagare questo concetto, per distinguerlo da tutti quegli oggetti che hanno qualche affinità con esso - ma che con esso non vanno confusi - e per indicare con precisione quali siano le proprietà di un oggetto bello e le sue tipologie che non si limitano al bello artistico. Attraverso un'analisi rigorosa, in continuo confronto con i massimi pensatori antichi e del suo tempo - da Platone e Aristotele a Kant e Hegel -, queste pagine ci presentano un Bolzano inedito, che dà prova di chiarezza concettuale. «La successione di pensieri cui ci abbandoniamo alla vista di un oggetto bello, nella misura in cui vogliamo godere appunto soltanto della sua bellezza, scorre velocemente davanti alla nostra anima con una tale facilità e rapidità che generalmente non siamo in grado di elevarla a chiara coscienza». Bernard Bolzano.
Hegel ritiene che la ragione trovi compimento, diventando operativa e regolatrice del reale, nell'attività della legge, universale e insieme calata nella condizione dello spazio e del tempo. Di qui il conflitto impersonato dal dramma di Antigone, spaccato esemplare della coscienza etica. In queste pagine della Fenomenologia dello spirito proposte in una nuova traduzione - ampiamente commentate da Adriano Tassi che, nella Postfazione, ne chiarisce le premesse filosofiche e il contenuto -, Antigone rappresenta un momento in cui lo spirito, con l'esperienza del negativo e il conflitto tra la legge umana e divina, attinge nella sua concretezza l'universale, dando corpo alla contraddizione della legge umana che dell'assoluto può riflettere solo un aspetto.
Può la filosofia essere utile a comprendere il proprio tempo? Con quale metodo e strumenti concettuali? È questa la sfida che il volume affronta interrogandosi sulla crisi dell'Occidente, in un corpo a corpo con la filosofia di Husserl, a partire dalla Crisi delle scienze europee dove il filosofo si poneva analoghe domande. Nello sviluppo dell'argomentazione, dapprima appare la necessità di assumere consapevolezza delle idee di Assoluto e di storia, identità e esperienza, arché e telos, e solo dopo la possibilità di riflettere, senza pregiudizi, sul futuro dell'Europa, oggi quanto mai enigmatico. L'atteggiamento fenomenologico rappresenta, in tal senso, una guida: la mai disattesa interrogazione dell'"origine", fonte di comprensione degli eventi in senso filosofico e storico, è indicata in queste pagine come il "segreto" stesso dello spirito europeo e di una storia universale multiculturale e multipolare.
Tilliette scrive queste pagine - inedite e per la prima volta tradotte - per un corso in Gregoriana del 1981-1982. Un libro che introduce il pensiero di Levinas ricostruendone per temi i principali snodi concettuali, supportando le argomentazioni con numerose citazioni bibliografiche e l'indicazione di debiti o nessi con altri pensatori. Oggetto e suo interprete si stringono in una particolare affinità, che restituisce il vigore e la finezza della parola di Tilliette. Il testo si chiude sul tema della Morte, a sigillo di un dialogo inesauribile.
Gilson accoglie dalla tradizione l'idea che, parlando di arte, si deve partire dalla distinzione tra materia e forma, ma ritiene che sia impossibile considerare l'arte in generale: esistono soltanto le arti, non l'Arte, perché ognuna di esse inizia da una materia data che condiziona l'opera che l'artista intende creare, suggerendogli quasi le possibilità di darle quella specifica forma. A ciascuna delle arti maggiori - l'architettura, la statuaria, la pittura, la musica, la danza, la poesia e il teatro - è dedicato un capitolo di questo libro, in cui si cerca di definirne l'essenza. Nonostante la specificità di ogni forma di arte, vi è qualcosa che accomuna le arti del bello: il fine che l'attività artistica si propone esclusivamente creare il bello in se stesso. E questo ha poco a che fare con la poetica astratta: Gilson - con ricchezza e acutezza di analisi, sorretta dalla scrittura elegante e autoironica che lo contraddistingue - parla invece di "poietiche", arti del fare, recuperando, si potrebbe dire, l'aspetto artigianale dell'arte. Alla domanda: amate o non amate la pittura di Picasso? La risposta più ragionevole è che "la pittura di Picasso" non esiste. Non esistono di Picasso che le opere individuali» (Étienne Gilson).
Il volume raccoglie alcuni dei più importanti saggi estetici di Luigi Pareyson (1918-1991) scritti nel periodo compreso fra il 1950 e il 1971 e significativi per far luce sulla stretta relazione da lui indicata fra Estetica e metafisica. Scelti accuratamente, raccolti, e commentati da uno dei suoi allievi, sono qui editi in prima edizione, per meglio coglierne l'originaria forma di elaborazione e lo sviluppo all'interno dell'evoluzione del pensiero pareysoniano. Un'antologia rappresentativa di un paradigma filosofico capace di coniugare arte e filosofia, conoscenza e verità, interpretazione e trascendenza, e che avvicina alla proposta metafisica che Pareyson avanza rispetto ai dilemmi dell'uomo contemporaneo.
Pubblicato nel 1950, Il volontario e l'involontario si presenta come il volume inaugurale di un'antropologia filosofica posta sotto il titolo di Filosofia della volontà, che avrà il suo proseguimento con Finitudine e colpa (1960). Con sguardo fenomenologico e "partecipativo", che fa proprie le lezioni di Husserl e Marcel, Ricoeur affronta il tema cartesiano del rapporto tra libertà e natura attraverso la relazione tra il volontario e l'involontario, declinata in tre momenti: l'agire, il decidere e il consentire, che sono le forme costitutive dell'umano. La descrizione della reciprocità tra il volontario e l'involontario, andando oltre il dualismo di tanta parte del pensiero filosofico e scientifico, mette in luce i molti significati del "cogito incarnato", con disamine insuperate sulla decisione, il corpo e la sua esperienza, l'azione, l'abitudine, il carattere, la nascita, la vita, la morte. La dialettica tra il volontario e l'involontario mette capo al riconoscimento di una "libertà soltanto umana". Pagine che fanno di quest'opera un classico della filosofia contemporanea.
Il Dio vivente è a un tempo fonte di ispirazione e anelito della ricerca filosofica di Schelling e di Pareyson, due dei maggiori esponenti dell'idealismo tedesco e dell'ermeneutica contemporanea. L'autore indaga le loro riflessioni sulla libertà e il male, sull'Inizio e la Trinità, in un confronto continuo della filosofia con i propri limiti e con i significati della religione. L'esperienza dello stupore della ragione è il punto di contatto attraverso il quale una conoscenza rigorosamente razionale, consapevole della propria finitezza ma anche delle proprie potenzialità, diviene capace di ascoltare il pulsare di una realtà ancora più grande. In forma simbolica, secondo una rappresentazione tragica della libertà, i problemi del bene e del male, del pluralismo e dell'interpretazione, del dialogo e della verità, della morte e dell'escatologia possono essere affrontati con illuminante passione.
Il Presidente degli Stati Uniti che firmò l'ordine di usare la bomba atomica si macchiò le mani di sangue o soltanto d'inchiostro? Vi sono casi in cui una guerra è giusta? In tali casi, ogni azione bellica è giustificabile? Porre fine alla vita di un malato terminale è cosa diversa dall'omicidio? Abbiamo bisogno del consenso sulla definizione dell'embrione come "persona" per decidere se qualche azione su di esso è vietata? È giustificata la proibizione della contraccezione anche se è del tutto legittimo programmare le nascite? Anscombe, riprendendo Wittgenstein, Aristotele e Tommaso d'Aquino, elabora una teoria dell'azione che pone al centro l'"intenzione", alternativa alla concezione dell'azione dominante da Cartesio in poi. Su questa base conduce una requisitoria contro la superficialità della filosofia morale moderna, accomunando i filosofi di Oxford, l'utilitarismo e l'etica kantiana. E infine mette al lavoro la sua etica delle virtù sui problemi di etica applicata: nel campo dell'etica pubblica la guerra giusta, nel campo della bioetica le questioni di fine vita e inizio vita. Questo libro, curato da Sergio Cremaschi, raccoglie i contributi di Anscombe su temi di etica, permettendo per la prima volta uno sguardo complessivo su questa figura decisiva della filosofia del Novecento.
Le immagini vengono perlopiù ricondotte alla immediatezza del visibile. In genere, il risultato di tale appaiamento è la coincidenza tra visione e ocularità. Fedele alla prospettiva fenomenologica, il percorso qui proposto cerca di approfondire un aspetto meno evidente qual è il nesso tra visibile e invisibile alla luce del quale emerge l'"eccedenza" delle immagini, non semplicemente riducibili a ciò che si mostra ai nostri occhi. È così possibile recuperare una dimensione fondamentale dell'umano che oggi rischia di essere rimossa, nelle varie forme del riduzionismo, e delineare un'"etica delle immagini" che interroga l'esperienza dello spettatore, il legame tra immagini e valori e il ruolo dell'oggettività di ciò che vediamo.
Il dialogo fra Arnoldo Mosca Mondadori - poeta e credente - e Salvatore Veca - agnostico -, poco prima della scomparsa di quest'ultimo, prende forma di testamento spirituale, in cui la visione filosofica del mondo incontra i pensieri più personali su temi che riguardano il senso della vita - la speranza, l'amore, la fede. Emerge un ritratto intimo e inedito di uno dei più importanti filosofi italiani, dove non si incontrano certezze assolute, ma domande sempre aperte capaci di scrutare e allo stesso tempo illuminare la realtà in cui viviamo. Una luce che molto ha a che fare con la pagina evangelica delle Beatitudini, letta laicamente come una mappa per orientare all'umano e far fiorire possibili isole di rispetto, generosità ed empatia nel mondo. Prefazione Arnoldo Mosca Mondadori.