DESCRIZIONE: Vi sono categorie che, per la loro suggestione, sono diventate presto dei luoghi comuni. È il caso di «politeismo dei valori», subito associato al nome di Max Weber. Ma attorno a questa categoria si condensano, come mostra persuasivamente questa antologia ragionata, le altre categorie chiave del pensiero weberiano: la scienza tra «constatare» e «comprendere», l’agire tra intesa e conflitto, la scelta tra Dio e il diavolo, il contrapporsi e implicarsi di etica della convinzione ed etica della responsabilità. Come se nel politeismo dei valori si mostrasse, nella sua purezza, il disincanto tragico di Weber: l’uomo non può non scegliere, ma il risultato che ne consegue non è in suo possesso, proprio perché la storia oscilla tra il caos insensato e un possibile ordine – esso stesso dilaniato tra i valori a cui si votano gli uomini.
COMMENTO: La prima raccolta degli scritti di Max Weber sul tema del pluralismo dei valori. Un libro per capire i dilemmi e i conflitti politici e culturali dell'oggi.
MAX WEBER è stato uno dei maggiori sociologi del ’900. Tra le sue opere presso le Edizioni Comunità: Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali; La scienza come professione. La politica come professione; Economia e società; Sociologia della religione.
FRANCESCO GHIA svolge attività di ricerca presso l’Università di Trento. Sul pensiero di Weber ha pubblicato due monografie (L’arte come professione. L’estetica di Max Weber, Dell’Orso 2004; Max Weber und die Kunst. Versuch einer Rekonstruktion der Weberschen Ästhetik, Dr. Kova 2004) e numerosi saggi. Ha inoltre curato l’edizione di scritti di E. Troeltsch (L’autonomia della religione, Loffredo 1996; Scritti scelti, Utet 2005) e di W. von Humboldt (Scritti sulla Bhagavadgîtâ, Morcelliana 2008), nonché tradotto testi di E.-W. Böckenförde e H. Küng.
De Maistre ci mostra l’altra faccia della luna, quella che non vediamo con i nostri ragionamenti corretti. I Cinque paradossi – dedicati al duello, alle donne, al gioco, al bello, ai libri – furono scritti nel 1795, in un anno che lo trova intento a comporre altri pamphlets: Jean-Claude Têtu, Bienfaits de la révolution française; subito dopo l’incompiuto Studio sulla sovranità (che è del 1794), prima delle anonime Considerazioni sulla Francia (escono nel 1796). Ma i Cinque paradossi, al di là della fascinosa scrittura e dell’ironia che li permea, sono una presentazione accattivante delle idee di de Maistre: infatti, il paradosso - andando contro l'opinione comune - è il suo strumento di conoscenza. Anche se ci sentiamo distanti e riteniamo che talune sue osservazioni abbiano soltanto sostegni nel passato, merita di essere riletto. L’attualità è nella sua intelligenza, ancora viva, sorprendente; la sua prosa ci insegna a sbugiardare, a demolire, a ridere ma anche – e soprattutto – a non perdere mai di vista i riferimenti fondamentali. De Maistre è l’inattuale più raffinato della filosofia moderna e nella sua ricerca dei principi è un contemporaneo. Le domande che si pone sulla società ci interessano, o cominciano a interessarci.
Dal maggio all’agosto del 1829 Hegel tenne sedici Lezioni sulle prove dell’esistenza di Dio. Una decisione che lasciò sconcertati non pochi contemporanei, ad esempio Goethe, ma che portava a compimento la vocazione profonda del pensiero hegeliano. Infatti, fin dagli anni giovanili lo sforzo di Hegel era stato di coniugare la scoperta del mondo moderno, la soggettività nel porsi come fondamento della libertà, e i contenuti propri della religione cristiana. Un problema che in quegli anni aveva avuto soluzioni diverse – in Jacobi, Schelling e Schleiermacher – e che in Hegel diviene l’occasione per mostrare come il movimento di Dio, in quanto estrinsecarsi dello Spirito nella storia, fosse lo stesso del movimento logico del concetto. Di qui il soffermarsi sulla prova ontologica di Anselmo, come se in essa si fosse mostrato nella sua purezza l’essenza del cristianesimo. È religione della libertà perché è manifestazione nel pensiero della potenza di Dio. Dio è pensiero in quanto è l’essere: un’identità che ancor oggi dà a pensare, fosse anche solo per cercare di smentire questa affermazione. Non solo: in queste lezioni il lettore scopre il fascino del filosofare hegeliano – della sua dialettica – nell’unire scientificità e ricchezza dell’argomentazione.
DESCRIZIONE: Il saggio Amore e conoscenza (1915) è una intensa e originale chiarificazione del rapporto tra atti conoscitivi e atti d’amore nello spirito umano. I diversi temi in esso affrontati convergono nell’affermare il ruolo dell’amore, inteso come atto emotivo di natura intenzionale, in vista della conoscenza del reale nelle sue molteplici dimensioni. L’amore, per Scheler, si caratterizza come originaria via d’accesso alla realtà: è quell’atto che in certo modo la rende visibile, facendola riaffiorare dal mare del non visto e dello sconosciuto.
COMMENTO: Una straordinaria riflessione sull'amore come origine e guida della conoscenza personale e intellettuale. Un libro che completa le riflessioni contenute nel volume Ordo Amoris.
MAX SCHELER (1874-1928) – filosofo e docente nelle Università di Jena, Monaco, Colonia e Francoforte – è stato tra i maggiori esponenti della fenomenologia. Tra le sue opere tradotte: Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico (San Paolo Edizioni 1996); La posizione dell’uomo nel cosmo (Franco Angeli 2004); L’eterno nell’uomo (Bompiani 2009). Presso la Morcelliana: Ordo amoris (2008).
DESCRIZIONE: Il tema della nuova definizione della morte su base neurologica, e in connessione a ciò quello del trapianto di organi da soggetti in stato di morte cerebrale dichiarati cadaveri, è tornato negli ultimi tempi all’attenzione anche in Italia. Quantunque – a quarant’anni dall’introduzione, con il Rapporto di Harvard, di quella nuova definizione – le voci di dissenso stiano crescendo anche in ambito medico, vogliamo qui riproporre la prima grande critica fatta a quella definizione da un classico del pensiero filosofico del Novecento, nonché uno dei protagonisti dell’attuale dibattito bioetico: Hans Jonas. Quella critica, infatti, contiene in nuce tutti i problemi che sono ancora in discussione e li affronta con un linguaggio rigoroso, ma accessibile anche al pubblico di non specialisti, ed è significativo che essa stia al centro dell’attenzione nel recente documento del Council on Bioethics americano che riapre ufficialmente il dibattito sulla morte cerebrale.
COMMENTO: Il celebre saggio di Hans Jonas che contesta la definizione di morte cerebrale decisa dal Protocollo di Harvard del 1968. Un saggio toccante, profondo, di un maestro dell'etica contemporanea.
HANS JONAS (1903-1993), allievo di Heidegger e Bultmann all’Università di Marburgo, è stato tra i maggiori filosofi della seconda metà del Novecento. Tra le sue opere in italiano: Lo gnosticismo; Dalla fede antica all’uomo tecnologico; Il principio responsabilità; Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Presso la Morcelliana: Scienza come esperienza personale. Autobiografia intellettuale (1992); Agostino e il problema paolino della libertà. Studio filosofico sulla disputa pelagiana (2007).
DESCRIZIONE: Mai come oggi gli uomini si sono trovati a vivere tanto «prossimi» gli uni agli altri, in tempo reale, nel bene e nel male, tutti insieme. Il prossimo si è fatto a noi tanto prossimo da non consentire più di sentirci liberi di scansarlo o di accostarlo quando lo si incontra, come allora, sulla strada da Gerusalemme a Gerico. Per riacquistare la giusta distanza e la doverosa lungimiranza può giovare l’aiuto di un grande pensatore e di un grande credente: Søren Kierkegaard. Negli Atti dell’amore, l’opera che pubblicò nel 1847, al culmine della sua produzione letteraria, egli tratta del problema del «prossimo» a partire dalla capacità e dal dovere di ogni uomo di compiere atti vittoriosi su ogni egoismo. Il suo percorso è originale: egli non considera l’uomo come naturalmente egoista, nemmeno nel senso di egoismo come «amore di sé», che pensatori sia antichi sia moderni pongono come presupposto più che legittimo per indicare poi le vie virtuose idonee a fare evolvere in senso altruistico tale connaturato egoismo. Kierkegaard parte dall’alto, da ciò che è «supremo» in ciascun uomo, dagli atti dell’amore, e proprio in questi riscopre la presenza dell’umano-in-tutti: un tesoro nascosto, tutt’altro dall’incorreggibile «legno storto» di kantiana memoria.
Queste «riflessioni» sono filosofiche, ma possono avere come oggetto gli atti dell’amore solo in quanto esse sono cristiane. Kierkegaard è convinto, e lo dimostra qui a più riprese confrontandosi con «i pagani», ossia con la filosofia greca, che solo il cristianesimo ha scoperto che esistono atti d’amore, e soprattutto che questi possono e debbono essere compiuti da ogni uomo, dunque anche dai non credenti, in ogni tempo.
COMMENTO: Una nuova traduzione, curata da uno dei maggiori esperti italiani di studi kierkegaardiani, di questo testo ormai classico in cui il filosofo danese espone la teoria dell'amore cristiano, inserita nella NUOVA COLLANA DI FILOSOFIA.
UMBERTO REGINA insegna filosofia morale presso l’Università di Verona. Tra le sue opere pubblicate da Morcelliana ricordiamo: La vita di Gesù e la filosofia moderna (1979); L’uomo complementare. Potenza e valore nella filosofia di Nietzsche (1988); Servire l’essere con Heidegger (1995); Kierkegaard. L’arte dell’esistere (2005) e ha curato con Ettore Rocca, Kierkegaard contemporaneo. Ripresa, pentimento, perdono (2007).
È possibile per Kierkegaard “innamorarsi umanamente”? Le lettere qui raccolte di Søren Kierkegaard a Regina Olsen, composte in un periodo di circa un anno – dal 10 settembre 1840 al 11 ottobre 1841 –, sono lettere d’amore: «L’amore è più veloce di tutto, più veloce di se stesso», scrive il filosofo. Un amore terreno intriso di “malinconia”, in cui già si consuma la fine: come se il sentimento di sproporzione fra l’anima e il corpo fosse il segno di una impossibilità. Una tonalità che nei Diari – annota Gianni Garrera, curatore di questa prima edizione italiana – assume forma più esplicita di “insoddisfazione” portando alla rottura definitiva con Regina: Kierkegaard appartiene innanzitutto a Dio.
Queste lettere, conducendo nello “stadio estetico” dell’innamoramento ed “etico” della scelta “seria” del fidanzamento, ci introducono al salto kierkegaardiano nello “stadio religioso”.
L'ordo amoris è per Scheler il nucleo fondamentale dei valori (distinti dai beni empirici), degli atti d'amore e odio dell'individuo e la fonte originaria di ogni sua autentica esperienza etica. Un ordine soggettivo, il centro dinamico della persona, cui corrisponde un ordo amoris assoluto e universale, capace di strutturare l'intera realtà "dal granello di sabbia fino ad arrivare a Dio". Mutuando il tema da Agostino, e alla luce della riflessione pascaliana su un ordre du coeur distinto dall'intelletto, il filosofo tedesco si domanda: è possibile un concetto quale "ordine dell'amore" senza cadere in contraddizione? Una riflessione che, condensata in queste pagine inedite pubblicate postume (da un manoscritto del 1916, con inserto del 1914-1915), illumina con sguardo fenomenologico il vissuto etico dell'uomo e il tentativo di elaborarne una dottrina.
DESCRIZIONE: Tra pluralità irriducibile delle lingue e possibilità di una reciproca comprensione: è questo lo spazio in cui si pone il problema filosofico, teologico ed etico della traduzione.
Nell'atto del tradurre, per Ricoeur, non solo si evidenziano le ragioni dell'ermeneutica e del dialogo interreligioso - in quanto ascolto e interpretazione della lingua di un altro testo, di un'altra fede - ma anche il senso stesso della relazione etica. I paradossi etici non sono tutt'uno con i paradossi della traduzione? Come accostarsi all'altro, lo straniero, senza ridurlo a sé? Nella mia identità non riconosco i segni di altre identità, trasmesse dalle differenti lingue? Una sfida che si compendia nella categoria di ospitalità linguistica: «ospitalità linguistica... ove al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la parola dello straniero».
I saggi qui raccolti, e scritti tra il 1975 e il 2000, possono definirsi un compendio della riflessione morale di Ricoeur: dalla distinzione tra etica, come desiderio di una vita compiuta, e morale, in quanto universalità della norma che media tra volontà diverse, alla determinazione dei concetti di stima di sé, sollecitudine, giustizia, libertà, intenzione etica, legge, valore, istituzione, "legge di natura". Una costellazione di categorie con la quale Ricoeur traccia, quasi didatticamente, i lineamenti di una filosofia morale. Una filosofia che coniugando prospettiva teologica e prospettiva deontologica - Aristotele e Kant, ma memore anche della lezione di Max Weber - riconosce l'ineliminabilità del conflitto dei doveri, di un lato tragico inerente all'azione morale. Conflitto al quale far fronte, di volta in volta, con la saggezza pratica. Senza dimenticare la paradossalità dell'etica evangelica, con i suoi comandamenti - "ama il prossimo tuo", "porgo l'altra guancia" - che "orientano disorientando": scompigliando l'esistenza, "rigenerano la libertà".
DESCRIZIONE: Questo libro, un commento ad Altrimenti che essere o al di là dell'essenza, appare come la ricapitolazione del dialogo di Ricoeur con Levinas iniziato negli anni Ottanta, continuato nelle pagine di Sé come un altro e focalizzatosi attorno ad alcune domande: è possibile la relazione con l'altro se, come sembra pensare Levinas, a essere intrinsecamente peccaminosa è l'idea di «io posso»? Nell'identificazione dell'altro (Autrui) con un'epifania assoluta - che scompiglia ogni attesa del soggetto e lo pone nella condizione di «ostaggio» - non v'è il rischio di una concezione riduttiva dell'altro, quando invece, ed è quanto obbietta Ricoeur, la categoria dell'altro si declina in più modi? Domande che sottendono un ultimo interrogativo: è legittima un'etica, come sostiene Levinas, senza uno sfondo ontologico? Con finezza, Ricoeur mostra la trama profonda del pensiero dell'amico, evidenziandone la ricchezza ma anche le aporie - ad esempio, quella rappresentata dall'irruzione del tema del «terzo», della «giustizia tra gli incomparabili», che sconvolge l'asimmetria postulata da Levinas tra il sé e l'Altro. V'è qui non solo un confronto teoretico, ma una prova di ciò che per Ricoeur è l'ermeneutica: nella riflessione dell'altro scoprire i problemi della propria filosofia. Come se l'amicizia donasse uno sguardo ancor più acuto sulle affinità e le differenze.
PAUL RICOEUR (1913-2005) è stato tra i più importanti filosofi del XX secolo. Presso la Morcelliana sono stati pubblicati: Kierkegaard. La filosofia e l'eccezione; II male. Una sfida alla filosofia e alla teologia; II simbolo dà a pensare; La persona; Tradizione o alternativa. Tre saggi su ideologia e utopia; Ermeneutica biblica. Linguaggio e simbolo nelle parole dì Gesù; Amore e giustizia; La traduzione. Una sfida etica; II giudizio medico
Un classico del pensiero moderno. Raccolti da Carlo Renouvier e commentati da Augusto Del Noce, questi sono gli scritti postumi del filosofo francese (1814-1862) dai quali emerge la sua insuperata riflessione sulla libertà (La ricerca di una prima verità, II problema della scienza, Indicazioni dell'idea del libero arbitrio...). Un pensiero oggi più che mai attuale. Con la postfazione di Giuseppe Riconda.