È difficile circoscrivere in un volume la ricchezza di un dialogo da sempre oggetto di dibattito, qual è la "Repubblica" di Platone. Ferrari intende presentare i nodi fondamentali di quest'opera discutendola nella sua interezza, intrecciando tematiche e passi anche tra loro apparentemente assai lontani, e vi riesce individuando due linee compositivo-argomentative come filo rosso di tutti i libri del dialogo. La prima è il ruolo storico e drammaturgico assunto dai due fratelli di Platone, Glaucone e Adimanto; un ruolo messo a fuoco nella Lettura prima, che fa da introduzione alle tre restanti, soprattutto con riflessioni originali che inquadrano i due giovani nello scenario politico-sociale del loro tempo. La seconda è l'analogia anima-città che, a partire dalla Lettura seconda, diventa la sua stessa chiave interpretativa della Repubblica. A emergere è l'importanza di questo dialogo non soltanto come testo politico ma anche e soprattutto morale: nell'analogia anima-città si scorge l'asimmetria tra l'umano e il divino, la condizione degli uomini tesi a imitare un modello pur sapendo che esso realizza una perfezione mai del tutto raggiungibile. La perfezione, che è solo della condizione divina, viene ribadita dall'ordine di ubbidire al 'nous', alla nostra anima immortale, sia per la sfera pubblica sia per quella personale.
Politica e morale paiono intrinsecamente antagoniste: un'antinomia di cui si fa carico la filosofia moderna, problematizzando la cesura fra reale e ideale. Max Schler prende le distanze sia da un approccio "monistico" ("ogni agire politico è subordinato alla legge morale individuale") sia da uno "dualistico" come quello teorizzato da Niccolò Machiavelli ("le norme morali sono indipendenti dalla politica").
L'inedito Politik und Moral (1926-1928), qui presentato e tradotto, vorrebbe essere la "quadratura del cerchio".
Il volume intende porre in rilievo alcuni temi, etici e religiosi, discussi e approfonditi da quei pensatori del Seicento che sono noti come 'platonici di Cambridge': l'uomo come animal capax religionis, l'armonia tra razionalità filosofica e fede religiosa, la libertà di coscienza e la tolleranza, la moralità e l'amore di Dio, il concetto di vera religione e le critiche alla superstizione e al fanatismo, l'ateismo e la centralità dell'esperienza religiosa. L'attenzione è concentrata particolarmente sul pensiero etico-religioso di Benjamin Whichcote, John Smith, Henry More e Ralph Cudworth, quale emerge e si determina sullo sfondo delle loro fondamentali prospettive metafisiche ed epistemologiche. Queste analisi valgono a confermare la convinzione, sempre più diffusa nella storiografia, che i platonici di Cambridge abbiano svolto un ruolo cruciale agli albori del pensiero moderno con la loro aspirazione originale a integrare idee antiche e nuove nei campi dell'etica e della teologia razionale, come nell'ambito della filosofia della natura. Tuttavia, se questi filosofi e teologi ebbero un influsso sul pensiero religioso inglese fra Sei e Settecento, non si possono considerare responsabili di alcuni sviluppi talvolta contrastanti con la loro ispirazione di fondo: costruire una vera 'filosofia della religione', in termini aconfessionali, con una specifica fisionomia.
Vale per tutti i cristiani, ai quali la Chiesa ha consegnato il Salterio come preghiera quotidiana, la massima di Kierkegaard: "Giustamente gli antichi dicevano che pregare è respirare. Si vede, così, quanto sia sciocco voler parlare di un perché. Perché io respiro? Perché altrimenti morrei. Così con la preghiera". Ecco la ragione per cui il libro dei Salmi non dovrebbe mai staccarsi dalla nostra quotidianità. Per documentare questa necessità radicale, oserei dire 'fisiologica', potrei proporre due profili sostanziali. Innanzitutto i Salmi sono poesia e musica, come dice già il termine greco Psalmoi: sono veri e propri canti da far risuonare con "arte" (Sal 47,8). I Salmi sono patrimonio letterario anche per le loro irridiscenze poetiche che vanno da gioielli assoluti, come il Sal 42-43, fino a composizioni minime, come le sole diciassette parole ebraiche (Sal 117) incastonate da Mozart nei Vespri solenni del Confessore. Accanto alla poesia c'è però la 'lode', la preghiera, l'invocazione, la fede - da cui il titolo ebraico Tehillim, lodi appunto. I Salmi sono attestazioni di una fiducia umana orante, che si muove lungo lo spettro cromatico spirituale che parte dal gelido e cupo violetto del lamento, dell'implorazione, della supplica, dell'infelicità e approda al rosso incandescente dell'inno festoso, della lode, della gioia.
Traduttore dei classici dell'ermeneutica contemporanea - Schleiermacher, Heidegger, Gadamer -, Giovanni Moretto ha saputo coniugare l'arte ermeneutica in quanto dialogo tra lingue e culture altre con una perspicua definizione della disciplina, divenuta un modello di riflessione per la filosofia e per la teologia. L'interpretazione dei testi, proprio nel chiarificare i sensi reconditi delle pagine interrogate, fa rivivere l'ispirazione che ha animato quell'autore, in quanto classico del pensiero. Ispirazione che fa tutt'uno, per Moretto, con la libertà dell'atto ermeneutico: fa rivivere le tracce di universalità che solcano i testi della filosofia e della teologia in quanto mattoni della "chiesa invisibile", di cui fa parte ogni uomo che rifletta sulla propria destinazione etico-religiosa. La stessa interpretazione filosofica della Bibbia - il libro dei libri - indica dunque alla teologia e alla filosofia l'intima vocazione a non fermarsi al particolare dell'interpretazione filologica, ma a saper guardare alla totalità. Un'ermeneutica che, tenendo gli "occhi sempre e solo rivolti al tutto", con un'espressione cara a Moretto, insegna a "ben vedere".
Da questa antologia emerge l'originalità di una riflessione che verte sull'oggettività dei valori disvelandone al contempo l'intrinseca contraddittorietà. se i valori, infatti, sono indipendenti dal soggetto, è quest'ultimo che, nell'esercizio del suo assentire o dissentire, li rende validi. Una "relatività" del soggetto rispetto ai valori che non è "relativismo", perché essi sono plurali ma non indifferenti…
Nella BAbele dei valori Hartmann è oggi una voce fuori campo la cui classicità è proprio nella tensione all'universale che dovrebbe essere in ogni seria indagine filosofica.
Quale eredità ci ha lasciato Kant? A partire dai suoi primi scritti sino alle sue opere fondamentali, si delineano qui - e vengono discussi - i concetti chiave della sua 'filosofia pratica', e i loro effetti sino a oggi: pena, (doveri verso la) natura, dignità. Categorie che, se in Kant hanno una fondazione morale, si declinano anche in senso giuridico. È il caso emblematico della pena - oggetto del primo capitolo - con riferimento alla quale Kant, al di là degli scopi che con essa si possono perseguire, è alla ricerca di un principio di giustificazione. Centrale anche il rapporto fra l'uomo e la natura, indagato nel secondo capitolo. Di fronte alle sfide dello sviluppo e dell'ambiente, alle urgenze dell'ecosistema, paiono trasformarsi gli stessi termini in gioco: le teorie etiche che coinvolgevano il soggetto-uomo si estendono ora ad altri soggetti, agli animali e al pianeta. E che ne è della dignità umana? Il terzo capitolo evidenzia che l'attuale dibattito intorno a questo principio è certamente diverso da quello verificatosi nell'immediato dopoguerra. E tuttavia, ora come allora, se non basta il semplice ritorno a Kant per risolvere i problemi, il richiamo al 'nocciolo duro' della dignità, che consiste nel considerare l'uomo come 'fine in sé', può continuare a offrire un punto cardinale per orientarsi.
"Io ho desiderato di scrivere la storia della sua anima", rivela Gallarati Scotti presentando al lettore la sua opera. La biografia di Antonio Fogazzaro vuole essere infatti l'ambiziosa interpretazione della personalità intellettuale e spirituale del grande scrittore, una ricostruzione intensa e partecipata proposta da chi l'aveva conosciuto e ammirato come artista e come amico. Attraverso una ricca rete di informazioni, di documenti e di testimonianze, Gallarati Scotti tesse la trama complessa di una vita scrutata in profondità. Di Fogazzaro si narra la biografia a partire dalla primissima infanzia, intercettando i grandi eventi e i dibattiti storici che lo videro protagonista, la complessità della politica italiana nei primi decenni postunitari, il delicato rapporto tra scienza e religione, i fermenti della corrente modernista. Ma accanto all'uomo pubblico, Gallarati Scotti descrive l'uomo privato e ne indaga le inquiete problematiche attraverso una lettura puntuale delle opere letterarie, dove l'autore rivela la sua interiorità. L'analisi soprattutto dei romanzi di Fogazzaro è dunque il filo conduttore attraverso cui si dipana la narrazione della sua vita intima, perché "col romanzo egli inizia una forma d'arte così penetrata di tutte le sue esperienze, che in esso lo potremo ritrovare sempre, quale fu veramente nello sviluppo dei suoi sentimenti di amore, di dolore, di fede e di dubbio".
Questo libro, presentato per la prima volta al lettore italiano, è un classico per gli specialisti di Pascal e del XVII secolo. Nelle dense pagine di quest'opera, Jeans Mesnard offre una lettura dei Pensieri destinata a rimanere di riferimento, come strumento capace di perlustrare la ricchezza e la complessità - lungamente sottovalutate - dei famosi frammenti pascaliani.
Neopaganesimo è la consapevolezza del limite degli uomini, o anche un nuovo spazio per gli dei critico verso monoteismi forieri di violenza. Riflettere sul paganesimo può voler dire però anche imparare la tolleranza e un modello di convivenza fra le religioni basato sulla "pluralità", senza rinunciare alla salvezza come bisogno di trascendenza. Si tratterebbe di lasciare ad ognuno la sua salvezza: ma di fronte a questa libertà che ne è della verità cristiana? Per offrire delle risposte non si ci può ancorare alla sua unicità, ma riconoscere quel fenomeno e coglierne limiti e il significato.
In questo volume lo si fa a partire da una sua analisi descrittiva, cercando di individuare il luogo e la nascita di "Dio" o del religioso nell'esperienza umana e di comprendere la tendenza a privilegiare la molteplicità, rispetto al divino e alla salvezza.
"Rabbi Uri diceva: Le miriadi di lettere della Torà corrispondono alle miriadi di anime di Israele; se nel rotolo della Torà manca una lettera, esso non è valido; se manca un'anima nella lega di Israele, la Shekhinà non posa su di essa. Come le lettere, anche le anime devono collegarsi e diventare una lega. Ma perché è proibito che una lettera nella Torà tocchi la sua vicina? Ogni anima d'Israele deve avere ore in cui è sola con il suo Creatore.