Rispondere picche, fare il colpo gobbo, restare al verde, avere la coda di paglia, pagare lo scotto o prendere in castagna... Da dove derivano queste curiose espressioni? I modi di dire fanno parte del nostro modo di parlare, di esprimerci e di essere parte di una comunità. Ogni famiglia ha il suo tradizionale "bagaglio di espressioni" e ciascuno di noi ne usa abitualmente una propria personale selezione. Che siano derivati dalle lingue classiche, da episodi storici o da abitudini popolari, è affascinante scoprire come alcune delle frasi che utilizziamo più spesso nel parlare quotidiano abbiano un significato ben preciso, a volte sorprendente, ben più calzante di quello che pensiamo. Questo libro è un affascinante viaggio nel variegato mondo dei modi di dire: un "dizionario" per un uso più consapevole del linguaggio, divertente da sfogliare e ricco di curiosità. Dal mito alla storia: La spada di Damocle, vittoria di Pirro. Dal greco e dal latino: Alle calende greche, avere delle remore. Dalla religione: Scherzo da prete, stare con i frati e zappare l'orto. Dalla letteratura: Combattere contro i mulini a vento, fare voli pindarici. Dalla vita quotidiana: Sbarcare il lunario, attaccarsi al tram. Diamo i numeri: Quinta colonna, sudare sette camicie. Gergo militare: Fare man bassa. rompere le scatole, Che tempo f, Sole che spacca le pietre, piove, governo ladro! Dallo spettacolo: Cavallo di battaglia, farsi un film. A tavola: Avere l'acquolina in bocca, prendere in castagna. Il corpo umano: Essere in vena, fare orecchie da mercante. Lo sport: Darsi all'ippica, appendere le scarpe al chiodo. I giochi: Rispondere picche, calma e gesso. Regionalismi: Non c'è trippa per gatti; essere una mezza calzetta.
Questo libro si dedica all’interpreta­zione dei gesti e dei modi di dire dei napoletani, nell’intento di contribuire a far riflettere sulla saggezza e la fanta­sia del popolo. In effetti, la lingua dei gesti assume a Napoli le forme più sor­prendenti e curiose, con sfumature che caratterizzano i più avanzati profili del­la comunicazione non verbale. Il “non detto” parla con svariate modalità: si esprime con il volto, con qualche cen­no della testa, con i movimenti delle mani, con la postura del corpo, con il tono della voce; le parole sono accom­pagnate da una gestualità enfatizzata, da portamenti specifici, da un uso mo­dulato della voce che svela ogni volta contenuti simbolici. Per il napoletano il gesto va condito e arricchito spesso con un motto, un aforisma, un prover­bio, un wellerismo. I modi di dire non sono però solo un’altra maniera di espri­mersi, piuttosto sono un contributo al discorso, una tecnica per arricchirlo.
Così, gesti e modi di dire sono finiti nella letteratura, sono diventati ogget­to di studi di sociologia, di antropolo­gia, di dialettologia e di storia delle tradizioni popolari.
L’interpretazione dei gesti e dei modi di dire dei napoletani in un viaggio alla scoperta di un patrimonio di cultura popolare
Tra gli argomenti trattati:
La città, gli abitanti e il loro carattere
La famiglia, gli affetti e gli animali
Vivere, ammalarsi e morire
Mestieri, professioni e l’arte di arrangiarsi
Religiosità, fede e superstizione
Il formulario comunicativo dei delinquenti e della malavita
Il codice delle canzoni napoletane e la parlèsia
Il modo in cui parliamo e scriviamo ci qualifica costantemente agli occhi degli altri: per molti versi noi siamo la lingua che usiamo e, in base a questa, verremo costantemente sottoposti al giudizio altrui. In mille occasioni, un errore di sintassi o di ortografia, la scelta di un tempo verbale sbagliato o perfino l’inutile irrigidimento su una regola, che magari ci ricordiamo in maniera imprecisa dai tempi della scuola, potranno contribuire non solo a farci fare brutta figura, ma portare in alcuni casi anche a ripercussioni gravi sia a livello personale sia a quello professionale. In questo libro viene presentata, documentata con numerosi esempi tratti dall’uso e spiegata una rassegna degli errori che, ancora oggi, provocano uno stigma sociale, ossia sono percepiti come indicatori di scarsa cultura; a questi è stata aggiunta una breve rassegna di presunti errori che invece meritano di essere sottoposti a un esame più approfondito: scopriremo che forse sono meno sbagliati di quanto immaginassimo.
Presentando una raccolta di oltre 11.000 voci, 18.000 citazioni di autori di ogni tempo, più di 7000 locuzioni e forme tipiche, frutto di un ventennio di studi, osservazioni, ricerche, questo Dizionario vuole contribuire alla conservazione e alla divulgazione di uno dei più negletti e trascurati aspetti della cultura e delle tradizioni popolari romane, sebbene costantemente presente nella nostra vita di ogni giorno. Solo sporadicamente, infatti, e in modo frammentario, il dialetto romanesco è stato oggetto di studio. Questo di Fernando Ravaro si presenta molto probabilmente come il tentativo più completo di dare una veste organica e una adeguata valorizzazione a un insostituibile patrimonio popolare. Scorrono da "abbacchià" a "zurugnone" i vocaboli noti, ma anche quelli a noi meno familiari del linguaggio di Roma: un'autentica miniera per il lettore curioso e per tutti gli amanti della Città Eterna.
Come si è evoluto il romanesco? Quali sono i termini e i modi di dire entrati ormai di diritto in questo colorito dialetto e sconosciuti ai romani di qualche decennio fa? Prova a rivelarcelo questo ironico dizionario, che a ogni lettera dell'alfabeto fa corrispondere parole o espressioni propriamente romanesche. Spiegando il loro significato in italiano e raccontandole poi attraverso un aneddoto o una piccola storia, vera o inventata. Da "a faciolo" a "bella pe' te", da "stare a rota" a "zoro", ecco a voi il libro per scoprire, attraverso la sua lingua, qualcosa in più sulla Città Eterna.
Se la cultura è capacità di ricordare, di non dimenticare, di rendere durevole nel tempo ciò che è caduco nella parola, di far rivivere il passato evocandolo e descrivendolo con amore, questa è dunque la funzione che spetta a questa raccolta di proverbi e di antichi detti di Roma, tramandati di bocca in bocca sino a oggi. Detti e proverbi che, strappati a una tradizione orale che va ormai scomparendo e raccolti in volume, assumono tutta l'importanza di un diario popolare, nel quale una mano invisibile è venuta annotando fatti, costumi, esperienze, incontri, personaggi e leggende di una città che da venti secoli è l'ombelico del mondo. Ma soprattutto emerge quella precisa filosofia di vita della plebe romana che si è sempre contentata di godere delle piccole gioie quotidiane, testimone indifferente (e impotente) delle lotte di potere e di possesso che avevano e hanno Roma come teatro. Così in queste pagine dominano il fluire delle stagioni storiche, l'umanità dei personaggi e la bellezza dei luoghi, in una cinica luce di taglio che investe ogni vicolo, ogni cupola, ogni palazzo, ogni finestra.