L'opera di John Barton è uno studio del pensiero etico nell'Israele antico fra l'VIII e il II secolo a.C. La documentazione alla base della ricerca è costituita primariamente dalla Bibbia ebraica e dalla letteratura giudaica di età ellenistica sia rabbinica sia di lingua greca come anche dagli scritti di Qumran. Se nei lavori dedicati alla storia dell'etica la Bibbia di solito non compare, Barton mostra al contrario come nella letteratura espressa da Israele si possano incontrare stili diversi di pensiero etico e come il pensiero razionale sia molto più frequente di quanto perlopiù si pensi. Non è azzardato affermare che il divario fra il pensiero israelitico antico e la filosofia antica non è tanto profondo come solitamente si suppone. Dallo studio di Barton emerge come le fonti rivelino un pensiero profondo e articolato riguardo a questioni di etica, uno stile di pensiero che ancor oggi è stimolante e che regge il confronto con le concezioni dell'antichità classica e dei tempi moderni.
Composti fra il VII e il X secolo, il Trattato maggiore e il Trattato minore sulla condotta mondana testimoniano l'eclettismo della letteratura sapienziale dell'ebraismo rabbinico. I due scritti raccolgono un breve ma eloquente assortimento di tradizioni, sia originali sia attinte alle maggiori fonti normative ed esegetiche della tarda antichità ebraica, con le quali si mirava a istruire l'aspirante rabbi in materia di etica e in faccende di etichetta. Nei due testi rabbinici, ai dettami inerenti alla condotta religiosa e scolastica del perfetto «discepolo dei sapienti» si accompagna una precettistica minuziosa che tocca ogni ambito della vita sociale e quotidiana, dal focolare domestico alla piazza del mercato, dalla tavola del convivio ai bagni pubblici - a dimostrazione che l'uomo formato allo studio della torah deve distinguersi anzitutto per educazione e buone maniere. Il volume curato da Ilaria Briata fornisce la prima versione italiana dei due trattati Derek eres rabbah e Derek eres zuta. La traduzione è corredata di un commento filologico approfondito ed è preceduta da un esame della storia redazionale dei testi e della loro collocazione nel quadro della formazione della letteratura di galateo nel medioevo europeo.
L'archivio di Babatha - piccola possidente giudea vissuta agli inizi del II sec. d.C. - è costituito da documenti in greco, aramaico e nabateo. Al momento della scoperta nei primi anni 60 del secolo scorso, i documenti si trovavano nella borsa che Babatha aveva portato con sé in un antro del Deserto di Giuda, ove si era rifugiata e aveva trovato la morte nei torbidi connessi con la rivolta di Bar Kokhba (132-135 d.C.). Principalmente inerenti a transazioni economiche e alle vicende legate alla tutela del figlio Yehudah, i documenti consentono uno sguardo unico sulla vita della donna e sui conflitti della società in cui visse, travagliata da profonde trasformazioni giuridiche e amministrative, come anche sociali e culturali. Alla traduzione in italiano dei documenti dell'archivio e del contratto matrimoniale di Babatha, il volume affianca i testi originali in greco e aramaico, preceduti da un'introduzione approfondita in cui si presenta l'origine e il contesto della scoperta, lo stato degli studi, le caratteristiche dell'archivio e dei singoli documenti alla luce delle indagini.
La traduzione greca della Bibbia ebraica è, com'è noto, la prima e più importante traduzione apparsa nella cultura occidentale, il cui significato difficilmente potrebbe essere sottovalutato: senza Bibbia greca la storia europea sarebbe stata totalmente diversa, per non dire che nessun cristianesimo sarebbe mai stato possibile. Una delle novità dello studio di Tessa Rajak consiste nel mostrare come le traduzioni bibliche greche siano servite per secoli da dispositivi di sopravvivenza culturale delle comunità giudaiche, e come ciò implichi un profondo cambiamento di prospettiva che comporta di riscrivere tutto un periodo di storia culturale ebraica non di rado presentato come racconto cristiano. Ne emerge un'immagine del giudaismo della diaspora che spesso si trovò a dover cambiare atteggiamento nei confronti della cultura dominante e dei poteri imperialistici in cui via via venne a trovarsi, come del resto mostrano sia la lingua della traduzione greca della Bibbia, sia i testi che vennero a costituire la nuova raccolta biblica...
L'apocalittica: una nebulosa dagli spessori variabili, una matassa ingarbugliata. Verità che distruggono, segreti terribili trasmessi dal mondo degli angeli a quello degli uomini; peccati mostruosi fra cielo e terra; lotta cosmica tra demoni e angeli; coscienza della fragilità dell'uomo e della sua grandezza, del suo posto nel dramma della vita e della storia. Paolo Sacchi, messo da parte ogni tentativo di definizione preliminare dell'apocalittica, ha cercato di penetrare la nebulosa, di afferrare un capo della matassa. Mettendo a frutto scoperte recenti che mostrano come il cosiddetto Libro dei Vigilanti, solitamente considerato apocalittico, sia più antico degli altri scritti del genere, ha cominciato con lo studiare quest'opera trovando che essa sta a monte di una corrente di pensiero di grande importanza in Israele, se suoi elementi divennero comuni a tutto il giudaismo e altri poterono trasfondersi nell'essenismo e nel cristianesimo.
Più di duecent'anni sono trascorsi da quando H.S. Reimarus sostenne la tesi del carattere giudaico della predicazione di Gesù e della natura politica della sua azione. Variamente modificata e diversamente documentata, questa tesi di un Gesù agitatore giudaico contro la dominazione romana viene periodicamente ripresa dagli uni e puntualmente rifiutata dagli altri. Il volume di Giorgio Jossa fornisce una trattazione complessiva e organica di tutti i possibili aspetti politici della vita di Gesù. Oltre a una presentazione acuta e originale dei principali movimenti di liberazione della Palestina del primo secolo, che consente di collocare storicamente la predicazione "rivoluzionaria" del profeta di Nazaret, il libro si distingue per una analisi accurata di tutti i passi evangelici che possono essere addotti a sostegno della tesi di un Gesù sovversivo, per tracciare infine con chiarezza le linee principali dell'azione e della predicazione di Gesù in rapporto ai vari gruppi palestinesi del suo tempo.
I capitoli di questo volume non ricalcano il percorso seguito dalla maggior parte delle introduzioni alla letteratura rabbinica, bensì mirano a rendere i testi e le pratiche testuali rabbiniche comprensibili nella loro funzione. A questo scopo la prima parte affronta le diverse condizioni ideologiche, sociali e politiche in cui la letteratura dei rabbi ha preso forma, approfondendone ad esempio la natura collettiva e collettivistica delle sue raccolte, o prendendovi in esame il rapporto fra oralità e uso dei testi. Una seconda e più estesa parte tratta delle diverse forme culturali e letterarie che fanno l’originalità del corpo rabbinico, affrontando questioni come l’ermeneutica rabbinica, il diritto e la letteratura giuridica nella concezione dei rabbi, la dimensione folclorica dei differenti testi. Un’ultima e terza sezione illustra la letteratura rabbinica come produzione che contribuisce con sollecitazioni sue proprie alla costituzione e anche alla critica della cultura dominante, dal modo di pensare l’io, l’altro e il diverso, a questioni di genere, al modo di concepire il passato e di praticarne la memoria, all’idea di razionalità che sottostà allo stile argomentativo dei rabbi.
Le lettere di Bar Kokhba sono documenti storiografici di grandissimo interesse che in vario modo consentono una visione più chiara della vita, anche quotidiana, della Giudea dei primi due secoli dopo Cristo. Eccezionali questi scritti sono pure per risalire alla persona stessa del leader della seconda rivolta giudaica contro i romani, sorta e soffocata nel sangue nel breve volgere di tre anni (132-135 d.C.). Nel volume curato da Corrado Martone, specialista di Qumran, dopo un'introduzione storica nella quale vengono inquadrate le vicende che ebbero per protagonista Bar Kokhba e i suoi seguaci e in cui s'illustra la vitalità di questa figura nella tradizione giudaica antica fin nella società israeliana odierna, di ogni lettera si presentano il testo in lingua originale, la traduzione e un commento storico e linguistico. Due appendici completano il volume, una prima dedicata a un testo rinvenuto solo in anni recentissimi e in circostanze non chiare, anch'esso riconducibile al periodo della seconda rivolta, la seconda all'importanza che i testi qui raccolti hanno per la ricostruzione della storia del testo biblico.
Questa raccolta di scritti prende il titolo da un lungo saggio dedicato alla lingua di una celebre monaca sassone, Rosvita di Gandersheim (935-973 ca.), esemplificativo dello stile filologico e della sensibilità linguistica e storica con cui Giuseppe Scarpat affronta i testi dell'antichità classica greca e latina. Gli autori studiati vanno da Ovidio a Seneca, da Virgilio a Orazio; una seconda e cospicua parte è dedicata alla letteratura giudaica e cristiana, dalla Sapienza di Salomone alla prima lettera di Paolo ai Corinti, passando per il latino di Tertulliano, di fondamentale importanza sia per la comprensione del testo greco neotestamentario sia per le traduzioni latine precedenti agli interventi di Girolamo e alla sua Vulgata. È soprattutto qui, nella disamina dei rapporti tra mondo classico e mondo giudaico e cristiano, che Giuseppe Scarpat dà prova dell'ampiezza e della profondità dei suoi interessi culturali. Valgano come esempio le pagine dedicate in parti!