Questa antologia, concepita da Raffaele Cantarella per raccogliere in ordine cronologico i testi più rappresentativi di una tradizione poetica millenaria, è il frutto di un minuzioso lavoro di ricerca e selezione, condotto con acume filologico e raffinata sensibilità estetica. Nata come "nuova Roma", Bisanzio non ne ha soltanto ereditato il potere politico e la tradizione giuridica, ma è stata anche la culla di una civiltà profondamente originale, capace di innestare nel patrimonio letterario greco l'energia spirituale del Cristianesimo. Seguire gli sviluppi della poesia, sia di carattere profano che di ispirazione religiosa, attraverso gli oltre undici secoli della storia bizantina, non può che arricchire di nuovi spunti la conoscenza di un periodo cruciale per il fiorire dell'Europa moderna. L'antologia di Cantarella facilita l'orientamento del lettore all'interno di questa vastissima produzione, fornendo per ogni poeta una premessa critica e apposite informazioni bibliografiche. L'aggiornamento dell'opera da parte di Fabrizio Conca ha riguardato, oltre che gli apparati di note e le bibliografie, anche i testi e le traduzioni.
Spirito bizzarro e mordace, segnato dalle vicisitudini di una vita irrequieta, Luigi Pulci gravitò con alterna fortuna nella cerchia culturale di Lorenzo il Magnifico, opponendo alle tendenze raffinate dell'umanismo platonizzante una vena beffarda e popolaresca, che aveva le sue radici nella tradizione volgare fiorentina. Scrittore d'istinto sempre pronto a cogliere il lato grottesco dela realtà, Pulci diede la sua massima prova con il poema in ottave "Morgante", elaborato a partire dal 1461, sulle tracce di un anonimo cantore trecentesco che ripeteva le gesta di Orlando e dei paladini erranti, traditi dal perfido mago Gano di Maganza.
Dalla storia pietosa ed edificante, narratagli da un amico giurista, il più che settantenne Tolstoj trae lo spunto per un romanzo di grande respiro, "illuminato con il modo odierno di veder le cose", per usare le sue parole. Alla vicenda di Katjuscia e Nechljudov, con la loro finale "resurrezione" a una nuova vita, di cui la dignità e la coscienza di sé sono i pilastri, ben si affianca, e anzi fa da protagonista, quella folla di personaggi "umiliati e offesi" che scatenò gli entusiasmi di un critico illustre come Cechov. Non più semplice coro, ma componente essenziali degli avvenimenti, di questa gente semplice, lo scrittore si fa accorato portavoce, tracciando quadri di indimenticabile intensità e vigore.
Scritti clandestinamente dal poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli, i "Sonetti" - composti per la maggior parte in due fasi, 1830-1837 e 1842-1847 formano nel loro insieme un poema di grandissimo rigore e complessità. Vi si può trovare lo studio colto e animato dei costumi e delle tradizioni di Roma, pur se volti spesso in parodia o in riso; oppure il contrario, la volontà implicita di distruggere i miti della storia, riportandoli alla mentalità gretta e riduttiva del parlante popolaresco. Il "culto" della verità evangelica in costante opposizione con il potere temporale e la condotta dei papi; e insieme in richiami al riformismo illuministico, di matrice soprattutto francese. E ancora: la visione puramente estetica (e quasi accademica) della città e dei suoi monumenti, e l o squallore non meno vistoso di certe piazze, angoli e cortili dove si raggruma la miseria spesso vanagloriosa delle persone che vi abitano. A fronte di ciò, gli ambienti, i riti, le figure del patriziato e del clero, tragicomiche apparizioni cui fa riscontro quasi simbolicamente l'idea egualitaria di ciò che potrebbe essere un'altra società. Il catalogo delle esplorazioni belliane è in ogni senso traboccante. Giacinto Spagnoletti ha scelto quattrocento sonetti fra i più significativi dell'immensa raccolta, dedicando a essi un commento essenziale, che non esclude le note dell'autore medesimo; sì che essi possano esse compresi in ogni angolo d'Italia.