"Quale omaggio alla Madre in occasione della presente raccolta, vorrei rifarmi, a modo di prefazione, al brano di un documento pontificio dove Paolo VI ci rimanda alla Vergine non solo come via veritatis, ma anche come via pulchritudinis: via da seguire se si vuole raggiungere la beatitudine promessa. Una beatitudine che non può essere tale se, appunto, è solo verità. La verità da sola può fare anche male. La verità la possiedono anche i dannati. Ma la bellezza!... Infatti Dostoevskij dice che sarà la bellezza a salvare il mondo. E io, senza sconvolgere nessun ordine, ma solo per dire quanto più mi preme, precisamente vorrei qui proclamare, avanti a ogni altra urgenza, la via della bellezza." (David M. Turoldo)
L'autore, "seguendo la traccia liturgica dell'antico ordinamento delle domeniche dopo la pentecoste, mette a disposizione di ogni uomo di buon volere pietre vive per la costruzione in sè di un "tempio dello spirito" e per l'edificazione del tempio più vasto che ha in confini di un un'umanità dove cala, creatore e suscitatore di energie dirompenti, lo Spirito. Con queste brevi pagine, l'autore "ci fa attraversare in modo sicuro l'esperienza della fede, ci porta sulla sogllia dove, tenendo aperto gli occhi contemplativi sull'immensa volta del Tempio risorto, un'onda di ispirazione e di fecondità, un salutare flusso di purificazione ci investe per una novità di vita che anticipi la nostra speranza". (dalla Presentazione di E. D'Agostini)
Larga parte dei testi riportati in questo volume datano del travagliato decennio "migrante" di padre David, a partire dal trasferimento obbligato a Firenze, nello storico "archicenobio" dei Servi alla ss. Annunziata. La raccolta è suddivisa in tre sezioni individuate da parole-chiave esprimenti motivazioni e interessi coltivati con passione da Turoldo, quali appunto l'attenzione alla liturgia, all'urgenza di una riforma di essa, anche estetica, dei linguaggi; la forza trainante delle ricorrenze che offrono spessore d'ispirazione e bellezza al "migrare dei giorni". La terza sezione infine sosta in maniera contemplativa sulla Vergine santa Maria, la "via della bellezza", riferimento molto amato da Turoldo, dato anche il suo legame con la prima tradizione dell'Ordine dei Servi di Maria, di cui era frate.
Le tre parole “mistero, presenza, segno” che originano il contenuto di queste pagine hanno il sapore conciliare, non solo per la contemporaneità di alcune con quello storico evento, ma soprattutto perché ci offrono una panoramica eloquente del pensiero e del sentire turoldiano a riguardo della chiesa. Sono infatti espressione di idee intuite profeticamente e frequentate con passione e speranza da Turoldo insieme ai tanti che le hanno soffertamente e coraggiosamente anticipate.
I testi qui raccolti, riproposti per la lettura sotto l’espressivo titolo «mia chiesa» intendono dare testimonianza dell’appassionato amore che padre David ha nutrito per la chiesa, il cui mistero ispirava i suoi interventi, il desiderio che ne auspicava una presenza storica più rispondente alla sua natura e la speranza che splendesse come segno visibile di unità, di pace e di giustizia.
Turoldo indaga nel profondo e senza sconti l'esistenza propria e quella di tutti gli uomini, cercandone l'identità, la grandezza, la qualità. Chiama in giudizio la storia, certo tuttavia che solo Dio è in grado di giudicarla con giustizia. Non cerca in Dio o da Dio risposte; Dio non è "la risposta", "Dio è la domanda", specie di fronte a quei mali di cui noi uomini vorremmo attribuirgli la responsabilità. Nel volume, in occasione del centenario della nascita, parlano anche voci nuove di docenti nelle Università e Centri di ricerca di Houston, Mantova, Milano, Pordenone, Roma, Udine, Venezia e Verona e ci si accorge che il pensiero di Turoldo è davvero attuale, voce profetica, libera e fedele. La raccolta comprende saggi di: L. Bruni, M. Campedelli, P. Di Piazza, M. Ferrari, F.M. Geremia, G. Goisis, M. Garzonio, R. La Valle, M. Maraviglia, M. Marcolini, P.M. Orlandini, S.M. Perrella, E.M. Ronchi, A.M. Santini, S. Scifoni, P. Stefani, F. Turoldo, G.M. Villalta.
«Siamo tutti persone in viaggio. E questo viaggio è la vita. Attraversiamo, uno dopo l’altro, paesi in cui le prospettive e le avventure non si confrontano tra loro, e in cui cambia persino la percezione che abbiamo degli esseri, delle cose, del tempo e dello spazio. Una rivelazione attende chi avanza con il cuore e gli occhi aperti – senza precipitazione e, se gli è possibile, senza rimpianti. Lungo il cammino, dopo essersi visto spogliato di quanto aveva posseduto in passato, eccolo presto, con sua grande sorpresa, ricolmo di altri beni di cui prima non immaginava né l’esistenza né il costo. Impara – e la sua riconoscenza allora non ha limiti – che nulla gli viene tolto nel corso dell’esistenza, senza che non gli venga donata come contropartita un’altra cosa di corrispondente preziosità.»
Non ci sono perdenti per Cristo. Non ci sono perdenti per la chiesa, che è il corpo di Cristo. Ci sono solo persone nel bisogno. Che vivono situazioni difficili. Esperienze talora tragiche. Malattie nel corpo o nell'anima. E che credano, spesso senza voce, in modo soffocato e nascosto. Affinchè nessuno senta. Ma c'è Uno che sente e ascolta. C'è Uno che se invocato è pronto a dire: "Non temere!". E non solo a dire, è pronto a dare. A dare la sua mano. La sua grazia. Perché il ristoro è li, per far vivere. Perché colui che è sceso nel' Ade per trarne fuori Adamo è li, per trarre fuori anche tutta la stirpe di Adamo. Tutti i perdenti. E cioè tutti noi.
"Questo è un libro di incontri. Don Giuseppe ti prende per mano e ti conduce a conoscere, a riconoscere, persone. Mai come in questo caso è opportuna la parola "persona": gli ultimi, i piccoli, gli abbandonati, gli esclusi. Il tipo di umanità che il Vangelo ci ha insegnato a guardare con gli occhi del cuore e a frequentare con l'assillo del fare. È incredibile quante di queste persone compaiono, irrompono, negli scritti qui raccolti. Me lo immagino Giuseppe che cammina per le strade e guarda, si ferma, torna sui suoi passi, perché ha scorto una sofferenza, un disagio, una solitudine, o anche solo una particolarità, un modo d'essere diverso e si apre, parla, fa parlare, guarda dentro, per capire. Non è l'aiuto la prima cosa che dà, quello viene dopo. Prima di tutto, si mette a quel livello, non scende, sale verso quelle persone. Diventa, lui stesso, quella persona lì. E c'è uno scambio alla pari. I due che si incontrano si riconoscono, come se si fossero già conosciuti." (Mario Tronti)
«Il giorno in cui ebbi in mano il copione de La terra non sarà distrutta e lo ebbi letto, fui colto dapprima da sgomento per la potenza della tematica affrontata e, quindi, da smarrimento di fronte ad un testo ove diversi tipi di linguaggio si intersecavano (da quello squisitamente teatrale, a quello cinematografico e infine a quello solenne e disteso della poesia religiosa); ma insieme, quasi a contrappunto e a sfida, fui solleticato dalla lusinga di realizzare uno spettacolo tutto da inventare.»
(testimonianza del regista della prima rappresentazione nel 1962, Gianni Gregoricchio)
«Ricordo una immediata felicità interpretativa – cosa che a teatro capita molto raramente – che faceva sì che io mi sentissi... protetto dal ruolo, perché percepivo dentro quelle parole una sorta di palpito indefinibile ma rassicurante. Chiaro, La passione di san Lorenzo racconta di conflitti, sofferenze, difficoltà, angosce, ma è percorsa da una grande serenità, ed è proprio questo che io sentivo, come se mentre dicevo e recitavo quelle battute ci fosse dietro di me una specie di grande mano protettrice. Un testo poetico, insomma, con una grande anima, pro­fondamente sentito, motivato...»
(testimonianza di Egisto Marcucci, attore)
Ilmondo del silenzio è opera affascinante per lo stile piano e poetico,
ma soprattutto per l’armonia che trae dagli infiniti “incontri”
che descrive, come una “anti-fuga” di variazioni sul tema essenziale
del “silenzio”.
Il volume si compone di tre parti: nella prima Annick de Souzenelle esplicita la ragione per cui ha voluto dedicarsi a quello che Corbin chiamava "compito smisurato": l'angelologia. Così, con i consueti strumenti che ha reso familiari ai suoi lettori, mette in luce la presenza dell'angelo nei miti della tradizione ebraico-cristiana. Questa prima parte dell'opera si chiude con una meditazione sull'angelo custode. Nella seconda parte, Pierre-Yves Albrecht invita a rivisitare insieme a lui i filosofi della Grecia antica, i neoplatonici, e così pure gli zoroastriani della Persia fino ai mistici dell'islam sufi: egli pone in luce la forte tradizione angelica di queste correnti e la spiega. La terza parte infine vede gli autori insieme in un dialogo che esplicita alcuni tratti della loro esperienza interiore e il loro interesse per il simbolismo dell'angelo, vissuto nel mondo immaginale, che è come un riflesso metafisico della realtà in cui viviamo e illumina la nostra avventura umana.