Ogni stagione ha il suo Caravaggio. Questa è la più propizia, perché l'apparizione dell'Ecce Homo a Madrid è stata accompagnata da un coro di consensi senza precedenti per un'opera apparsa dal nulla. Non capitava da tempo che un dipinto mettesse d'accordo gli studiosi, imponendosi con una evidenza inequivocabile, e questo ci fa riflettere su ciò che resta, allo stato degli studi, a partire dalla mostra di Caravaggio curata da Roberto Longhi a Palazzo Reale di Milano nel 1951, vero atto di rinascita di Caravaggio dopo una damnatio memoriae durata circa tre secoli. Da questa data, il 1951, il nome di Caravaggio si infiamma ancora una volta, accendendo i desideri del mercato e dei critici, che si affannano a individuarne di nuovi, anche laddove, essi, Caravaggio non sono. E a disconoscerne altri che Caravaggio potrebbero essere, a volte anche con grande furbizia. Questo libro di Vittorio Sgarbi, dunque, non solo dà conto, per la prima volta, in modo molto sistematico, documentato e con un ricco apparato iconografico, dell'ultimo straordinario ritrovamento caravaggesco, l'Ecce Homo, a Madrid. Ma è anche l'occasione di percorrere un viaggio avventuroso ed entusiasmante nei labirinti, rivalità, furbizie che hanno accompagnato la riscoperta di Caravaggio, a partire da quel fatidico 1951, settanta anni fa esatti.
La prima storia globale dell'arte dell'icona che ripercorre la sua diffusione geografica, gli stili che l'hanno caratterizzata e le tecniche utilizzate nel corso dei secoli. L'icona nasce nel Vicino Oriente ellenistico, nell'ultimo periodo dell'Impero romano e la sua diffusione interessa paesi quali Egitto, Palestina, Giordania, Siria, Libano, Anatolia, ma dal IX secolo sarà Costantinopoli, centro del nuovo Impero bizantino, a divenirne il massimo centro propulsore. Da qui le icone raggiungeranno anche Etiopia, Georgia, Armenia, la Grecia e tutte le isole dell'Egeo, per poi proseguire il loro viaggio nei Balcani e nel mondo slavo. Nel XII secolo raggiungeranno Kiev, il cuore della prima Russia, poi Novgorod e Mosca, la terza Roma, come sarà chiamata anche dopo la caduta di Costantinopoli. La varietà di stili e tecniche, che caratterizza le icone, rispecchia le specifiche tradizioni culturali ed estetiche dei paesi nei quali si sono sviluppate, anche se sono sempre riconoscibili quali immagini dotate di forza simbolica, liturgica, religiosa e, talvolta, anche politica. I maggiori studiosi si sono confrontati sul tema, per realizzarne la prima storia artistica globale: significati, evoluzione, soggetti cui l'icona si ispira e, infine, la comprensione di come un'immagine possa trascendere il reale pur rappresentandolo.
Lo sviluppo della ricerca storiografica e dell'archeologia hanno permesso di smontare il pregiudizio accademico che vedeva nell'arte romana il prolungamento decadente di quella greca. La cultura romana delle origini viene analizzata come koinè, comunità in gran parte omogenea che ha il suo fulcro nell'italia tirrenica Con un metodo originale Filippo Coarelli ha saputo realizzare una storia dell'arte romana che raccoglie in una visione complessiva la ricerca archeologica e storica svolta da studiosi di diversi Paesi, basando la propria indagine sul dialogo continuo tra i dati archeologici e la tradizione classica sulle origini di Roma. Nei secoli più antichi, quelli della Roma dei re, la città si trovava all'incontro di due mondi artistici ricchi e vivaci - quello etrusco a nord e quello greco-italico a sud - e costituiva una periferia artistica dove influenze e modalità espressive variegate si intrecciavano e interagivano con la sensibilità locale. Nell'età dei re, Roma apparteneva a un territorio relativamente omogeneo, quello dell'Italia tirrenica, i cui segni si colgono nell'urbanesimo, nella celebrazione del sovrano, nei templi e nell'introduzione della scrittura. Nella prima parte dell'età repubblicana - il volume giunge fino al III secolo a.C. - iniziano a prender forma componenti proprie, in un continuo scambio di somiglianza e differenza rispetto ai mondi circostanti. Il quadro politico è cambiato, con l'espansione nel Lazio e la creazione di colonie, ed è così che gradualmente inizia a delinearsi una cultura artistica riconoscibile come «romana».
È stato uno degli editori più eclettici che l'Italia abbia mai avuto, dotato di un fiuto a trecentosessanta gradi per i bestseller e di un amore incondizionato per i libri, che per lui non erano semplici oggetti da proporre e vendere al pubblico, ma veri propri scrigni di tesori, capaci di migliorare la sua esistenza e quella degli altri. Nel corso della sua vita Luigi Spagnol ha seguito una sola regola: cercare le cose migliori dove nessun altro le avrebbe cercate. Fu per questo che nel 1997, prima ancora di finire di leggerne la bozza, decise di pubblicare "Harry Potter e la pietra filosofale". L'anno prima aveva intuito le potenzialità di una favola, "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare", che avrebbe poi venduto due milioni di copie. Ma oltre che nel fantasy e nella favola il suo talento lo portò a scovare straordinari successi anche in settori molto diversi: dall'umorismo, con "Parola" di Giobbe di Covatta, alla varia, con "Cotto e mangiato" di Benedetta Parodi. Grandi intuizioni, grandi riflessioni e un rispetto ancor più grande per il pubblico di lettori sono stati gli ingredienti di una carriera che possiamo oggi comprendere dagli scritti raccolti in queste pagine. Attraverso l'intensità delle parole di Luigi Spagnol si può cogliere la forza di una vocazione e, soprattutto, si può guardare il mondo attraverso gli occhi di un uomo che, come è stato detto: «Non voleva mai essere protagonista. E fu per questo un editore straordinario».
Già nell'antica Grecia esistevano artiste donne, che hanno decorato palazzi e lasciato tracce del loro lavoro. Durante il Medioevo, per lo più considerato un periodo nel quale le donne non godevano di alcun rilievo nella società, molte opere sono nate grazie alla manualità femminile, che si poteva esprimere soprattutto nei conventi. L'esplosione dell'arte al femminile risale però al Rinascimento, quando alcune artiste sono arrivate a occupare posti di rilievo nelle corti più prestigiose d'Europa godendo di una fama pari ai propri colleghi uomini. Bisogna attendere la fine dell'Ottocento per vedere alcune artiste esporre nelle mostre accanto a pittori uomini: spesso si tratta di compagne di artisti famosi, altre volte di donne capaci di imporre la propria personalità oltre al proprio talento. Sono le apripista di un fenomeno che nel corso del XX secolo diventerà inarrestabile: le artiste firmeranno i manifesti delle avanguardie storiche e saranno sempre più protagoniste, finché nella seconda parte del secolo supereranno i propri colleghi in quanto a fama e quotazioni sul mercato. "Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori" è il titolo della celeberrima opera di Giorgio Vasari che, nel Rinascimento, ha costituito un vero e proprio canone. Oggi Costantino D'Orazio rende onore alle tante 'eccellenti artiste' di cui i canoni si sono troppo spesso dimenticati.
«Del mio tempo mi interessa tutto. E se poi si tratta di arte, di creatività e di bellezza, semplicemente mi perdo». Flavio Caroli, tra i più noti e stimati critici e storici dell'arte italiani, ci ha fatto innamorare delle grandi opere del passato. In questo nuovo volume ci prepara invece al colpo di fulmine con «il genio del Duemila», individuandone i «pilastri», perché «non si può capire l'arte d'oggi se non se ne conoscono almeno le fondamenta». All'origine dei tanti linguaggi dell'arte contemporanea, Caroli identifica sette rivoluzioni maturate a partire dagli anni della Seconda guerra mondiale. L'avventura non può che cominciare con l'Action Painting e le tele di Jackson Pollock - accanto a lui, il francese Jean Fautrier, fondatore dell'Informale al di qua dell'Atlantico -, per proseguire con la Pop Art in un «mondo che sfugge in ogni modo dai confini dell'arte visiva tradizionale». Mentre poi fotografia e pittura figurativa, due linguaggi in combattimento tra loro da più di un secolo e mezzo, s'impongono attraverso gli scatti di Irving Penn e di Ugo Mulas, e i quadri di Francis Bacon e Lucian Freud: tutto è già pronto per le rivoluzioni successive. L'Arte Ambientale, il Minimalismo, l'Arte Concettuale, l'Arte Povera, la Body Art, l'autolesionismo nella Londra negli anni Settanta, la pioniera Marina Abramovi?, l'Arte Astratta, Anish Kapoor, «ponte mirabile fra arte d'Oriente e arte d'Occidente», fino agli «antimanieristici» anni Ottanta - che sempre, nei diversi secoli, più che chiudere il proprio tempo anticipano il secolo che sta per cominciare -, con protagonisti, tra gli altri, Jean-Michel Basquiat e Keith Haring. Caroli racconta la formazione e l'evoluzione di questi fondamentali snodi artistici, ne segnala le derivazioni, le eredità maturate e le proiezioni nel futuro. Tra ricordi personali, aneddoti e interpretazioni poetiche, accompagnati dalle immagini dei capolavori degli ultimi settant'anni, "I sette pilastri dell'arte di oggi" è un prezioso viatico per leggere la nostra contemporaneità con gli occhi dell'estetica.
Oscuro stregone o geniale scienziato, artista illuminato da Dio o eretico miscredente? Tra la Firenze di Savonarola e Machiavelli e la Roma dei rivali Michelangelo e Raffaello, nella vita di Leonardo da Vinci si ritrovano tutta la magnificenza e le contraddizioni del Rinascimento: un'età dell'oro per le arti, con l'umanesimo e la scoperta dell'America, ma anche un'epoca di fanatismo religioso e caccia alle streghe, con l'Inquisizione e i roghi di libri. Nel 1901 Merekovskij non pubblicò solo un romanzo storico, ma anche la più penetrante delle biografie di Leonardo: un uomo semplice e tormentato che viveva il mondo come un'eterna scoperta, curioso come un bambino; capace di studiare per settimane il volo di una mosca "con la stessa matita e lo stesso amore con cui poco prima aveva disegnato il divino sorriso della Vergine". Un precursore che diede tutto se stesso nel tentativo di donare le ali all'umanità, ma che era destinato a rimanere incompreso fra i suoi contemporanei, come un "uomo che si sveglia nel buio, troppo presto, mentre tutti gli altri dormono ancora".
Merezkovskij Dmitrij S. (San Pietroburgo, 1865 - Parigi, 1941) Scrittore, poeta e critico, è annoverato tra i padri del simbolismo russo. Spirito libero poco incline ai compromessi, combatté sia l'autocrazia zarista sia la rivoluzione bolscevica, e nel 1917 fu costretto a emigrare a Parigi. Dopo aver ricoperto per oltre cinquant'anni un ruolo predominante nella cultura russa ed europea, dalla fine degli anni Trenta è stato progressivamente dimenticato, per essere riscoperto solo negli ultimi decenni. Nel 2013 Castelvecchi ha pubblicato il suo romanzo La morte degli dèi, sull'Imperatore Giuliano l'Apostata.
«Sto preparando» scriveva Cirlot ad André Breton nel 1956 «una summa simbolica, nella quale vengono raffrontate le conoscenze sul simbolismo di occultisti, psicologi, antropologi, orientalisti, storici delle religioni e autori di trattati». Facendosi guidare da personalità quali Marius Schneider, René Guénon, Mircea Eliade, Ananda Coomaraswamy, Cirlot spalanca davanti ai nostri occhi un universo affascinante, dove il simbolo agisce su ogni piano dell'esistenza, in luoghi lontanissimi tra loro e sin dalle origini dell'umanità; e addita la «radice segreta di tutti i sistemi di significato», il «sostrato comune» a tutte le tradizioni simboliche, sia orientali che occidentali. Sin dall'Introduzione - un excursus vertiginoso che dallo sviluppo del simbolismo conduce fino al problema dell'interpretazione, passando, tra gli altri, per il simbolismo onirico, il simbolismo alchemico e la teoria degli archetipi di Jung - Cirlot ci immerge in un oceano di luminose analogie, segnalandoci infine che il suo è «più un libro di lettura che un testo di consultazione»: come tale lo leggeranno dunque i lettori avvertiti, che non potranno non restarne ammaliati.
Le vicende della straordinaria arte turca, attraverso le quali ci guida questo libro, partono dai primi secoli dopo il Mille, quando un gruppo di popolazioni originarie dell'Asia Centrale, sotto la guida dei sovrani della dinastia Selgiuchide, si diffuse dagli estremi confini orientali fin nel cuore dell'Anatolia, sottraendo territori all'impero di Bisanzio. Insediatisi stabilmente, i Selgiuchidi fecero nascere un'arte originale che assunse l'uso della pietra dalle regioni conquistate e la utilizzò per costruire interni austeri ma, nelle facciate e nei portali, la piegò a una ricchezza decorativa incomparabile, carica di echi sciamanici della tradizione delle steppe e della passione islamica per la calligrafia e i motivi geometrici. Con il passaggio ai turchi ottomani e la conquista di Costantinopoli, il punto di riferimento artistico diventa il Mediterraneo, e l'architettura bizantina offre un modello per l'architettura ottomana. Nel Cinquecento, una volta consolidato l'impero multietnico e multiculturale, sotto il governo e il patronato di Solimano, si apre la grande stagione di Sinan: genio di una grandezza comparabile a quella di Michelangelo (furono circa contemporanei), riesce a creare un linguaggio architettonico rigoroso, capace di assorbire sia la tradizione mediterranea sia la cultura asiatica. La moschea di Solimano a Istanbul, quella di Selim a Edirne e le moschee destinate alle più importanti città dell'impero, sono infatti capolavori mediterranei e universali. Anche l'arte decorativa di quei secoli esprime desiderio del bello, passione per il colore, rigore e ricerca dell'eleganza, dai libri alle miniature, dai tessuti ai tappeti, passando per le ceramiche. Tra Settecento e Ottocento, poi, gli Ottomani rielaborano gli influssi europei e l'Art Nouveau segnerà l'arte di Istanbul, riuscendo a fondere in un equilibrio prezioso echi occidentali e orientali.
Non si può parlare dei famosi giardini romani, interni alla città e nella campagna, senza ricordarsi che prima di essi sorsero già nel Medioevo i giardini vaticani: proprio questi furono l'oggetto di imitazione per i giardini romani. Le prime notizie sui giardini vaticani ci giungono in rapporto ad alcune trasformazioni avvenute nel XIII secolo. Gli ultimi grandi cambiamenti si avranno negli anni Trenta del XX secolo, quando il Vaticano divenne uno Stato. Questa pubblicazione ripercorre tutta la loro storia, evidenziando realizzazioni, esperimenti e trasformazioni che concernono 22 dei 44 ettari totali della Città del Vaticano. Sulla base di una vasta ricerca dei documenti originali, è stato possibile ricostruire le origini dei giardini e la presenza di una collezione di piante tale da farli considerare il più antico orto botanico d'Italia. L'importanza dell'acqua, sia quale elemento simbolico sia come fonte di vita per le piante e le fontane, è un tema che percorre tutta la storia, soprattutto dopo la realizzazione delle spettacolari e scenografiche fontane volute da Paolo V. Non meno interessante è la ricostruzione delle pratiche di giardinaggio, fino all'eliminazione di ogni elemento di ruralità per destinare tutto lo spazio a disposizione alla bellezza e al decoro. Un capitolo è dedicato alle ville dove i pontefici villeggiavano, prima che Castel Gandolfo divenisse residenza estiva ufficiale.
Protetto da draghi o spiriti maligni, gravato da maledizioni, rivelato da sogni e visioni, il tesoro è materia magica per eccellenza e fra le più affascinanti. Se cercassimo una ricetta alchemica per crearne uno, avremmo bisogno di alcuni ingredienti fondamentali. Il primo è il valore, quello scintillio che accende il desiderio. Il secondo è il segreto, la consapevolezza che esso esiste senza sapere dove. Il terzo è il tempo, al quale è sopravvissuto e che l'ha reso libero da ogni possesso: attende chi saprà meritarselo ma non è più di nessuno. In queste pagine si proverà a seguire la storia della ricerca dei tesori fra Medioevo ed Età Moderna, analizzando le sfumature del desiderio che ha colto gli uomini attraverso i secoli, descrivendo alcuni degli oggetti che hanno alimentato i racconti più favolosi, svelando come nascono certe leggende, alla scoperta dei nascondigli e dei loro custodi, sulla scia di quei cercatori che, dalle sponde meridionali del Mediterraneo fino all'Europa settentrionale, per secoli hanno seguito il miraggio della ricchezza fra magia e misteriose topografie auree.
Pubblicate grazie al lavoro di decine di artigiani tra il 1861 e il 1868, le incisioni di Gustave Doré per la "Divina Commedia" riscossero da subito un grande, meritato successo, tanto da imprimere i regni d'oltretomba nell'immaginario di più generazioni. Forse solo Michelangelo, nelle sue illustrazioni perdute per la "Commedia", aveva saputo rendere con energia paragonabile la plasticità tormentata dei corpi dei dannati, solo Botticelli la grazia e la leggerezza angelica dei beati. Impareggiabile resta la capacità di Doré di creare paesaggi inediti, dai mostruosi antri infernali mai toccati dal sole alla luminosità rarefatta dell'Empireo. Questo volume riproduce in forma integrale le centotrentacinque tavole, legandole con didascalie narrative che consentono di ripercorrere il viaggio dantesco "leggendo" le immagini: un omaggio al genio di Doré e insieme un invito a esplorare la "selva" dell'opera dantesca.