Il testo ci riconduce alla preghiera dei primi cristiani: ripercorre le spiegazioni date dai Padri alla preghiera cristiana per eccellenza, il Padre nostro, commentato parola per parola.
Il testo è icona della singolare e per alcuni versi eccezionale attività intellettuale e pastorale di Raimondo Lullo, impegnato nella Maiorca del XIII secolo a intessere un dialogo interreligioso tra i tre cristiani, ebrei e musulmani, dialogo basato sul rispetto della fede dell’altro e sulla convinzione della possibilità di attingere, attraverso strade diverse, a una medesima verità.
L’attività filosofica dell’autore, prevalentemente orientata alla ricerca delle “ragioni necessarie” dell’esistenza di Dio comuni alle tre fedi e alla creazione di un metodo razionale, che potesse fungere da strumento di dialogo, trova nel Libro del Gentile e dei tre Savi la rappresentazione narrativa e, per così dire, operativa.
Si tratta, infatti, di un dialogo tra un filosofo (il Gentile), privo di alcuna fede in Dio e perciò affranto, e tre teologi delle diverse fedi (i Savi), impegnati in un dialogo fondato sul rispetto reciproco, in cui vengono mostrati prima i caratteri comuni poi quelli specifici delle rispettive religioni, attraverso un metodo filosofico razionale intellegibile per il Gentile e lontano da atteggiamenti di intolleranza.
La struttura dialettica e la novità del “metodo razionale” di Lullo guidano anche il lettore contemporaneo alla scoperta del testo che, fino all’ultimo, non offre soluzioni dottrinali scontate; la struttura “aperta” (la ricerca della verità da parte del Gentile non sembra trovare una risposta univoca) ne conferma il carattere dialogico ed è elemento di grande modernità.
L’introduzione presenta con chiarezza gli elementi propri del pensiero di Lullo e dello specifico testo, calati nel contesto culturale in cui opera, con numerosi affondi di carattere storico-culturale.
Destinatari
Studiosi di storia del Cristianesimo, dell’Islam e, soprattutto, dello “spazio” religioso e culturale del Mediterraneo in epoca tardo-medievale.
Chi è impegnato nel dialogo interreligioso.
Autore
Raimondo Lullo (1235-1316). Abbandonata la famiglia e il lavoro all’età di trent’anni, si dedicò fino alla morte alla predicazione della fede cristiana,sviluppando un impegno missionario, intellettuale ed esistenziale al tempo stesso, che lo vide instancabilmente impegnato in progetti di studio, viaggi, relazioni con i principi e papi dell’epoca. La sua attività fu accompagnata da una vastissima produzione di testi.
Curatore
Sara Muzzi, è segretaria del Centro Italiano di Lullismo con sede a Roma presso la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum e autrice di alcuni recenti volumi sull’opera e la figura di Raimondo Lullo; ha tenuto corsi su “Raimondo Lullo e il dialogo interreligioso” presso l’Istituto Teologico di Assisi.
Traduttrice
Anna Baggiani, esperta di catalano, già traduttrice per la prima edizione in italiano di altre opere di Lullo.
La ricerca della felicità è insita nella natura propria dell'essere umano di ogni tempo e di ogni luogo. Anelare alla vera felicità significa contattare il mistero dell'esistenza, e intraprendere il progetto consapevole di un lungo viaggio interiore che ha per mete la conoscenza di sé, il rapporto con Dio e il bene dell'altro. L'autore di queste pagine si avvale della sapiente voce dei padri della chiesa, per condurre il lettore nella direzione di queste mete in un'opera di pacificazione, al fine di raggiungere un armonico equilibrio. I brani proposti, eco della sapienza antica per il mondo di oggi, sono corredati dalla riflessione che si esplicita in formule narrative e poetiche, e in considerazioni teologiche e pastorali. Interrogativi specifici uniti al pensiero di sant'Agostino aiutano il lettore passo dopo passo in questo cammino interiore.
Il volume presenta, in un quadro d'insieme, i modelli ecclesiologici elaborati da Agostino d'Ippona e i simboli ai quali egli più organicamente ricorre per definire la Chiesa: quattro modelli e quattro simboli. I modelli che egli propone in successione sono: la Chiesa cattolica «autorità credibile», la Chiesa «comunione», la Chiesa - saeculum - città di Dio, la Chiesa - croce. I simboli: la bellezza, il monastero, la colomba, Pietro l'apostolo.
La trattazione si sviluppa con un continuo ricorso a testi di Agostino, cosicché la lettura del volume diventa una traversata del pensiero e degli scritti del grande vescovo dottore, con il loro fascino, i loro accostamenti inaspettati e suggestivi, le loro allusioni e le loro sintesi folgoranti, spesso racchiuse in singoli vocaboli pregnanti e densi di significato.
Si tratta di un saggio di teologia patristica, con felici ricadute sulla contemporaneità e sulla pastorale.
Sommario
I. INTRODUZIONE. 1. Premessa all'ecclesiologia di S. Agostino. 2. Eredità e nuovi schemi. II. MODELLI ECCLESIOLOGICI. 3. La Chiesa cattolica «autorità credibile». 4. La Chiesa «comunione». 5. Chiesa-saeculum-città di Dio. 6. Chiesa-croce. III. SIMBOLI ECCLESIOLOGICI. 7. La bellezza: la Chiesa via pulchritudinis. 8. Il monastero: Chiesa e vita monastica. 9. La colomba. 10. Pietro l'apostolo. IV. PER UNA CATECHESI DELLA CHIESA. 11. Una catechesi congiunta. 12. Conclusione: la Chiesa di Agostino. Indicazioni bibliografiche. Indice biblico. Indice dei nomi. Indice delle cose notevoli.
Autore
VITTORINO GROSSI è uno dei più accreditati conoscitori di Agostino d'Ippona, dell'età di Agostino e dell'agostinismo. È docente all'Augustinianum di Roma, ove è stato anche preside. La sua vastissima bibliografia è disseminata lungo le note del volume.
Il paganesimo d'età tardoantica appare alla ricerca di una auctoritas cui affidarsi per attingere la verità sul divino e con essa la salvezza. Da un lato, il mondo delle rivelazioni oracolari sottoposte al vaglio della indagine razionale da parte neoplatonica e, dall'altro lato, forme di autorità personali e carismatiche, si offrono come vie privilegiate per tale ricerca. L'indagine intende anche offrire un contributo al dibattito culturale contemporaneo, mostrando come l'approfondimento delle interrelazioni fra cultura classica e cristianesimo dei primi secoli.
Il secondo volume, a cura di uno storico delle origini cristiane e di un medievalista, ricostruisce quello che è forse il più grande mito dell'Occidente medievale: l'Anticristo, che per quasi tredici secoli ha dominato i pensieri, le immaginazioni, le visioni e i deliri della gente cristiana. Attraverso un puntuale esame dei testi che hanno parlato di "anticristo", l'opera mostra quale sia stata l'evoluzione in campo semantico, politico, teologico del termine, come si sia trasformata nel tempo l'idea dell'Anticristo stesso. Il primo volume, edito nel 2005, ha presentato testi scritti tra il II e il IV secolo. In questo secondo volume l'arco di tempo abbracciato è più vasto, si arriva fino al XII secolo, come più vasto è il panorama delle voci prese in esame. La figura dell'Anticristo, il Nemico, l'Avversario dei tempi ultimi, che si è ormai delineata e continuamente muta forma aspetto e significato, turba, tormenta, ossessiona tutti gli scrittori cristiani
L'amore per la scienza è in fondo amore per l’uomo e quindi legge fondamentale di ogni rapporto tra allievo e maestro, inteso come rispetto e attenzione per promuovere e sviluppare tutte le potenzialità presenti in ogni persona.
Il volume si apre con la prolusione del Sen. G. Viceconte, Sottosegretario di Stato
al MIUR , che richiama l’importanza della figura del maestro per la formazione
scolastica nel mondo antico.
Nella prima parte filologica: R. Bracchi illustra i termini “docēre et discĕre” nelle parole che definiscono i concetti, evidenziando che si realizza una relazione pendolare di scambio fra colui che consegna e colui che accoglie; T. De Mauro afferma che occorre distinguere tra due grammatiche per la scuola: una implicita o vissuta, e l’altra esplicita, riflessa.
La seconda parte presenta il maestro nel mondo antico pagano: C. Pavanetto presenta Omero, come primo interprete-docente della cultura greca antica; O.A. Bologna si focalizza su una significativa orazione di Isocrate, che costituisce quasi un documento programmatico per una educazione retorica e per una formazione culturale; M. Marin si sofferma sulla figura di Socrate, il maestro della verità nell’anima; C. Calvano chiarisce la figura e le qualità dell’insegnante ideale secondo Quintiliano; M. Pisini nelle Epistulae di Frontone a Marco Aurelio spiega che per l’educazione e la formazione del principe è necessaria una adeguata sintesi tra letteratura, filosofia, storia, partendo da una forte attenzione agli eventi della vita quotidiana; P. Filacchione scorre la iconologia della virga virtutis tra paganesimo e cristianesimo.
Nella terza parte si entra nel mondo cristiano: R. Spataro accenna al Discorso di ringraziamento di Gregorio Taumaturgo e allo stile educativo di Origene, per il quale essere maestro è un’autentica missione ecclesiale; M. Maritano evidenzia la figura, l’importanza e le qualità del maestro nelle lettere pedagogiche di Girolamo;
M. Sajovic sottolinea che Agostino anche da vescovo rimane un maestro; G.B. De Simone espone la grandezza della spiritualità di due maestri: Seneca e Agostino; M. Sodi, accostando i verbi “discere et docere” nel Sacramentarium Veronense coglie che la “figura del maestro” richiama immediatamente quella del discipulus che si pone al seguito del Maestro, il Cristo. Infine G. Bonney esamina le caratteristiche peculiari della scuola di Beda, alcuni aspetti importanti del suo pensiero e l’importanza della sua scuola per la Chiesa in Inghilterra.
L’educazione greca e romana è fondamentalmente legata alla realtà concreta della
vita: il suo contenuto è essenzialmente il mos maiorum acquisendo sapere unitario
ed humanitas. Il cristianismo, accogliendo i procedimenti della scuola classica, apre
orizzonti più vasti: nel rapporto educativo sia il maestro sia gli allievi devono rapportarsi a Cristo, l’unico vero maestro, che insegna interiormente e conduce alla verità
Intorno al 329 d.C., Giovenco, sacerdote spagnolo, vissuto alla corte di Costantino, traduce i quattro Vangeli in esametri. Giovenco crea così un nuovo genere letterario, quello dell'epica biblica, che gli fa ottenere fama e apprezzamento in tutta l'epoca medievale.
Nel giro di tre secoli, una piccola setta periferica riesce a diffondere e imporre il proprio messaggio, la propria legge, all'interno dell'impero romano. È questa la vicenda, stupefacente e improbabile, della prima diffusione del cristianesimo, che questo volume ricapitola con chiarezza. Dopo aver tratteggiato il contesto religioso in cui sorse, cioè il giudaismo tardo e i vari paganesimi vigenti nel territorio dell'impero romano, il volume descrive l'azione di Gesù e degli apostoli e l'intensa opera di proselitismo che questi iniziarono, la progressiva fissazione della dottrina, l'organizzazione delle comunità, le persecuzioni di cui l'autore mette in luce in particolare l'importanza nel dar forma a un'idea di Chiesa come Chiesa di martiri e dunque a una particolare idea di santità a partire dalla quale si svilupperà un'imponente letteratura agiografica
Nel corso del medioevo l’atteggiamento dei cristiani nei confronti degli ebrei era fondamentalmente negativo e si esprimeva anche attraverso le opere di una letteratura antiebraica, al cui interno spiccavano i testi di un monaco cluniacense, l’abate Pietro il Venerabile, e di un convertito spagnolo, Pietro Alfonsi. Gioacchino da Fiore conosceva questi testi, elaborando dal canto suo una posizione del tutto differente. Egli non si rivolgeva agli ebrei per convertirli, ma ai cristiani, per convincerli che con l’incarnazione di Gesù la storia del popolo di Israele non era finita: nel futuro degli ultimi tempi della storia, che secondo l’abate si stava avvicinando nei giorni in cui egli scriveva, gli ebrei e i gentili si sarebbero riuniti in un unico popolo di credenti.
Questa visione, che non trovava precedenti né ebbe seguito, fu affidata a un testo in cui Gioacchino da Fiore accumulava e commentava ampiamente brani delle Scritture sacre degli israeliti – il Vecchio Testamento dei cristiani –, trovandovi la conferma della dottrina della Trinità e la prefigurazione dell’avvento del Messia nella persona del Cristo. In tutto questo egli affidava a se stesso un ruolo analogo a quello del profeta Elia e indirizzava ai suoi ascoltatori una Esortazione a prepararsi ad accogliere insieme ebrei e cristiani alla fine della storia umana
Che accade quando moriamo? Le anime dei defunti conoscono ciò che accade sulla terra? Quali caratteristiche avranno i corpi resuscitati? Che cosa sappiamo del Purgatorio? Questi e altri temi escatologici hanno interessato i semplici fedeli fin dalle origini del Cristianesimo, come pure i teologi, fino ad oggi. Nella Spagna del VII secolo, Giuliano (642-690), Vescovo di Toledo, fu il primo teologo a scrivere un trattato sistematico, ma pratico, di Escatologia cristiana. In esso egli sintetizza i dati biblici e la sapienza teologica dei Padri della Chiesa, elaborando le sue tesi in modo logico, per trasmetterle in forma sistematica alle future generazioni. Per questa ragione il "Prognosticum" ebbe una vastissima diffusione nelle biblioteche della Cristianità medievale. L'autore, oltre ad un completo "commentario teologico" del "Prognosticum" e alla traduzione italiana del testo latino (riprodotto a fronte), fornisce al lettore una ricca "Introduzione", in quattro capitoli, dedicati all'ambiente socio-politico della Spagna del VII secolo e alla vita e alle opere di Giuliano, in particolare al "Prognosticum futuri saeculi".
Le Esposizioni di Afraate sono uno dei testi più importanti della letteratura siriana. Composte tra il 336 e il 345 d.C., rappresentano la più antica opera datata prevenuta in questa lingua e forniscono un interessante e variegato panorama della chiesa in Persia nel IV secolo. L'autore appartiene a un particolare gruppo ecclesiale, tipico di questa regione, denominato "membri del patto" e composto da consacrati che vivono solitari o in piccole comunità, senza che per questo siano staccati dal resto della chiesa, ed è a questi che egli rivolge le sue esortazioni alla preghiera, al digiuno, alla perseveranza e alla carità. Tratto tipico dell'opera sono le frequenti citazioni sia dall'Antico sia Nuovo Testamento, a dimostrazione della formazione eminentemente biblica di un autore che d'altro canto non mostra il minimo interesse né per la filosofia greca né per le controversie cristologiche che travagliavano la sua epoca.
Il secondo volume, con cui l'opera è conclusa, comprende le esposizioni 11-23, dedicate, tra l'altro, alla circoncisione, alla Pasqua, al Sabato, al Messia, alla persecuzione, ecc.
Il volume si chiude con utili indici parziali