«A quel tempo si cominciò a invocare il nome del Signore » (Gen 4,26). Non da subito, quindi, ma solamente a un certo punto della propria storia gli esseri umani iniziano a invocare il nome del Signore. È un nuovo modo di comprendere se stessi, il proprio ruolo nella storia e le conseguenze che comporta l'assenza di Dio dal proprio orizzonte. Invocarlo significa sentirne ora dolorosamente la mancanza. Questa sorprendente notazione dei racconti biblici annuncia il tema della ricerca di san Giovanni della Croce: la coscienza mistica. Ad essa appartiene tutto quanto ha a che fare con la sorpresa di ciò che ha avuto inizio, e in particolare l'esperienza originaria della libertà, che conduce l'uomo a partecipare della capacità generativa: agendo, egli crea nuovi fatti storici. Questo volume è legato al precedente (dedicato a Dietrich Bonhoeffer) nel progetto di esplorare il travaglio della libertà confrontandosi con due autori tra loro distanti nel tempo, ma non nello spirito.
Giovanni, presbitero ad Antiochia dal 386 al 397 quando fu designato all’episcopato di Costantinopoli, è uno degli scrittori cristiani antichi più rilevanti, celebre per la sua appassionata eloquenza che gli valsel’appellativo di Crisostomo (Bocca d’oro). Difensore dell’autonomia del vescovo rispetto al potere imperiale, di cui pure riconosceva la funzione di garantire l’ordinato e pacifico svolgimento della vita del popolo,sostenitore della causa dei poveri e degli oppressi di fronte all’egoistico uso delle ricchezze da parte dei settori più agiati della società,acuto ed intransigente osservatore dei mali che affliggevano l’ambiente della sua attività pastorale e ne minavano il tessuto morale, Crisostomo ben presto si scontrò con la Corte di Costantinopoli che lo condannò all’esilio definitivo nel 404, durante il quale, provato dai disagi causatigli dal trasferimento in una remota località presso il Mar nero, andò incontro alla morte il 14 settembre del 407.
In questo volume si offre una scelta antologica di testi su temi particolarmente significativi e stimolanti che Crisostomo affrontò nella suavasta produzione letteraria, quali quelli trinitari e cristologici, con elementi anche mariologici, sulla natura dell’uomo, il cui fine ultimo è illuminato dalla resurrezione, sull’importanza della Scrittura, sulla spiritualità monastica, sulla funzione sociale delle ricchezze, sul ruolo del potere politico in un corretto rapporto con l’autorità ecclesiastica. Ne scaturisce un affresco quanto mai variegato da cui emerge l’impegno profuso da Crisostomo nel sollecitare la coscienza civile ed ecclesiale del suo tempo verso un autentico rinnovamento morale e spirituale.
Sergio Zincone è professore ordinario di Letteratura cristiana antica presso“La Sapienza”, Università di Roma. Tra le sue più recenti pubblicazioni:Regno di Dio nei Padri dei primi secoli, in Dizionario di spiritualità biblicopatristica, vol. 58, Borla, Roma 2011; “Conosco le leggi dell’allegoria”. Osservazioni sul metodo esegetico di Basilio di Cesarea, in In caritate veritas. Scritti in memoria di Luigi Padovese, a cura di P. Martinelli-L. Bianchi, Bologna 2011
Queste pagine non ricostruiscono tanto un segmento dell'infuocato dibattito cristologico che divampa nell'ecumene cristiana tra Oriente e Occidente nel IV secolo, ma ci restituiscono piuttosto l'immagine, vergata con limpido tratto, di un vescovo come Giovanni Crisostomo che attinge ai tesori della sua teologia per sostenere, confortare e guidare la sua comunità. La synkatabasis costituisce un portolano che garantisce una rotta sicura nella navigazione sul frastagliato oceano della produzione crisostomiana. Anche chi non abbia mai avuto dimestichezza con l'opera di Giovanni Crisostomo otterrà grazie a questo libro - scritto con saldezza cognitiva, con limpidità di riflessione, e con chiarezza espositiva - l'illuminazione su un personaggio e il suo ambiente colti nel divenire di una vita cristiana la cui formazione è tutt'altro che lineare in quella seconda metà del IV esposta a suggestioni di ripiego verso il passato o a tentativi di fuga in avanti. La bellezza di questo testo è racchiusa nella sympatheia fra l'autore antico e il suo studioso contemporaneo, sentimento che, senza nulla togliere all'acribia dell'indagine scientifica, dà spessore, colore e voce a una delle figure più alte del cristianesimo delle origini. A questo eminente padre della Chiesa è dedicato questo libro postumo di Carlo Scaglioni, risultato di una ricerca durata tutta la vita.
Questa "Apologia per i cristiani" fu scritta a Roma intorno al 153 per la famiglia imperiale. Fu infatti indirizzata all'imperatore Antonino Pio e a suo figlio, Marco Aurelio, e a suo nipote Lucio Vero, quali futuri imperatori. L'autore vuole discolpare i cristiani dalle accuse mosse contro di loro e a questo scopo usa argomenti di carattere morale e teologico, ma anche di tono giuridico e politico. Ricorda agli imperatori che la loro pretesa di avere un governo illuminato e degno di filosofi va dimostrata nei fatti. In particolare chiede che i cristiani siano condannati solo dopo che sia provato il male che essi - secondo i pagani - commetterebbero. L'obiettivo dell'Apologia è duplice: ottenere la legalizzazione del cristianesimo e quindi la fine delle persecuzioni; e mostrare agli imperatori e ai pagani che solo la fede in Cristo può soddisfare la loro sete di verità, perché Cristo è il Logos, la Ragione divina fatta carne. Sete di verità che le filosofie e le religioni hanno soddisfatto solo in minima parte. Giustino denuncia anche i limiti e le contraddizioni delle religioni pagane e sviluppa temi insoliti per un'opera destinata alla lettura dei pagani, cioè la dimostrazione della divinità di Cristo sulla base delle profezie e la descrizione del rito eucaristico. L'Apologia, infatti, è un testo storico di capitale importanza per ricostruire il modo con il quale i cristiani del II secolo celebravano l'eucaristia.
Le otto Omelie su Qoelet di Gregorio di Nissa costituiscono la prima testimonianza del grande interesse dei Padri per il libro di Qoelet. Gregorio vi legge la confessione del re Salomone e il bilancio della sua vita. Sviluppando il tema della vanità del mondo, sottolineato dal frequente ritornello 'Vanità delle vanità, tutto è vanità', Gregorio desidera, non tanto invitare al disprezzo del mondo, quanto piuttosto esortare a scoprire nel mondo un cammino che conduce a Dio. Sviluppa così due grandi riflessioni: la prima sulla natura dell'universo, detto macrocosmo, e sulla natura dell'uomo, detto microcosmo, per condurre il suo ascoltatore ad acquisire una giusta consapevolezza del suo essere, del suo ruolo nel mondo e dei suoi limiti; la seconda riflessione è sul concetto di tempo, in senso fisico, etico ed escatologico, nella quale rielabora le più felici conclusioni della filosofia greca.
Nell’interpretazione dei Salmi è fondamentale per Cassiodoro il senso storico grammaticale. In ciò era favorito dalla sua straordinaria erudizione. Non di rado si mette a spiegare il testo parola per parola con frequenti riferimenti a conoscenze scientifiche di cui era ricco. Egli comunque preferisce in maniera assoluta il senso spirituale. Quando gli è possibile fa scaturire dai salmi utili insegnamenti morali. Ma per lui ciò che conta davvero è il senso allegorico. L’autore dei salmi è un profeta che vede in anticipo come Dio avrebbe realizzato il suo disegno di salvezza. In essi, pertanto, è al centro la figura di Gesù Cristo, unico Salvatore. È in Lui che la storia trova pienezza di significato. Potremmo tranquillamente dire che Cassiodoro vuole e riesce a scoprire nei Salmi la realizzazione del mistero pasquale. Il “canto nuovo” che i beati devono cantare in eterno “è il mistero della santa incarnazione, la natività mirabile, l’insegnamento che dona salvezza, la passione maestra di sapienza, la risurrezione prova certissima della nostra speranza, l’essere posto alla destra del Padre”. E, proprio perché la Pasqua avrà la sua pienezza nella Gerusalemme celeste, è evidentemente accentuato nel Commento il senso anagogico. Quanto detto risalta in particolar modo nel Commento ai Salmi dell’Hallel. Sono, in fondo, i salmi che venivano cantati dagli ebrei soprattutto nelle celebrazioni pasquali. E che, dunque, anche Gesù ha cantato. Si può esser certi che la lettura del Commento di Cassiodoro anche oggi possa far tanto bene, infondendo illimitata fiducia nella certezza che Dio ci ama e soprattutto aiutandoci a far della lode al Signore lo scopo della nostra esistenza. È una lode – insiste Cassiodoro – da cantare innanzitutto con la vita. Sono le buone azioni le corde della cetra.
Il "Poema dei Vangeli" è il titolo che si è ritenuto opportuno attribuire (con relativo arbitrio) al testo scritto da Giovenco, "Evangeliorum libri IV". La scelta di questo nuovo titolo è motivata dall'opportunità di adeguarsi all'intenzione, da parte dell'autore stesso, di gareggiare con un poema esametrico con il modello ispiratore, Virgilio, mentre il titolo originale potrebbe far pensare a un'opera in prosa. La nascita, i miracoli, il costante, rigoroso e deciso proselitismo, l'energia, che può persino apparire non adatta all'errata immagine tutta dolcezza della predicazione del Cristo che circola fra i seguaci antichi e moderni di questa religione, il tradimento e il suicidio di Giuda, la rinnegazione di Pietro atterrito dall'arresto dell'umano e divino Maestro, il problematico processo e l'esecuzione di Gesù sulla croce, tutto è narrato con straordinaria partecipazione e notevole pregio stilistico in questo testo che solo l'insipienza o la miopia della critica e dell'editoria hanno tenuto lontano dalla conoscenza del grande pubblico. È per colmare questa grave lacuna letteraria, culturale e religiosa, che abbiamo deciso di interrompere tale di congiura del silenzio compensata soltanto dal lavoro di benemeriti filologi e studiosi. Introduzione, commento e apparati di Paola Santorelli. Postfazione di Elena Malaspina. Collaborazione di Giulia Canali e Maria Pellegrini.
Negli scriptoria medievali non venivano solo trascritti i testi sacri e le opere dei grandi autori ma era presente anche una produzione letteraria "minore", redatta da monaci, spesso anonimi, che annotavano le proprie riflessioni, nate dalla meditazione della Scrittura o delle opere dei "grandi", ma rielaborate, sviluppate in base alla propria esperienza personale. Il De amoris sapore è uno di questi testi, scritto all'inizio del XIII secolo da un monaco cistercense, Johannes, di cui non conosciamo alcun elemento biografico, ma che ci rivela un'intensa vita interiore e una particolare capacità di esporla con semplicità e originalità. Il testo, rivolto ad un giovane monaco, delinea una risposta alla domanda: "Qual è il sapore dell'amo-re?". Nel tentativo di descrive l'indescrivibile, l'autore utilizza la dinamica fra "dolce" e "amaro", cioè fra "presenza" e "assenza" dello Sposo, tema presente nel Cantico dei cantici e molto caro al mondo cistercense, come documenta qualche brano del De natura et dignitate amoris di Guglielmo di Saint-Thierry pubblicato nella seconda parte del volume.
Il volume presenta una raccolta di sentenze di Padri della Chiesa (Basilio Magno, Isaia di Scete, Iperechio, Marco l'Eremita) risalenti tra il IV e il VI secolo.
DESCRIZIONE: Il Commento a Matteo di Origene, composto a Cesarea di Palestina a contatto con una viva comunità giudaica, è il punto di convergenza dell’esperienza intellettuale e spirituale dell’Alessandrino. Nel Commento infatti sviluppa una serie di problematiche cristologiche, dottrinarie, ecclesiali, organicamente meditate e strutturate, anche se mai definitivamente risolte, secondo un processo dinamico che crea un rapporto circolare fra il testo e il suo interprete. Questo volume ne è un’analisi a tutto campo che raccoglie alcune delle più significative prospettive di ricerca, organizzate in quattro sezioni: Struttura e genesi compositiva; Aspetti filologico-letterari; Aspetti teologici; Aspetti esegetici.
COMMENTO: La ricerca compiuta in questo volume è dedicata al testo che costituisce il momento di sintesi del pensiero dell'esegeta alessandrino ed è una tappa importante per le nuove prospettive di ricerca su questo tema.
TERESA PISCITELLI è professore associato di Letteratura cristiana antica all’Università degli Studi di Napoli Federico II. I suoi filoni di ricerca sono: mondo classico e sua presenza negli autori cristiani (Virgilio; Cicerone; Quintiliano; Ennodio; Colombano ecc.); le epistole e la poesia di Paolino di Nola; studi sulla teologia della croce dal I al V sec; ricerche origeniane. Fra le sue pubblicazioni: Paolino di Nola. Epistole ad Agostino (Napoli-Roma 1989); Pasqua e Pentecoste nei primi due secoli del Cristianesimo (Roma 2008). Ha tradotto e commentato il Libro I della Institutio Oratoria di Quintiliano (Torino 2001) e il De Spectaculis di Tertulliano (Roma 2008); ha curato Fondi tra Tardoantico e Altomedioevo (Fondi 2002).
Storie della Chiesa e monachesimi (secc. IV-VI), a cura di A. MONACI CASTAGNO
- Introduzione (A. MONACI CASTAGNO)
- ‘Primus in primis’: Gerolamo, storico del monachesimo (A. MONACI CASTAGNO)
- Présence du monachisme dans l’ Histoire ecclésiastique de Rufin d’Aquilée (F. THELAMON)
- Cronache e monachesimi (O. ANDREI)
- Verus Israhel, id est monachorum plebs: la genealogia monastica di Cassiano (R. ALCIATI)
- Gregorio di Tours: scrittura della storia e storie di monaci (S. BOESCH GAJANO)
- D’Eusèbe à Sozomène: la place du monachisme dans les nouvelles Histoires ecclésiastiques (A. MARTIN)
- Monaci e monachesimi nella Storia ecclesiastica di Evagrio Scolastico (M.C. GIORDA)
- L’autocoscienza delle origini nella tradizione monastica bizantina: il caso di Giorgio Monaco (R.M. PARRINELLO)
Fra III e IV secolo d. C., in un periodo di forti tensioni per l'impero romano, a Cesarea, in Palestina, videro la luce due opere straordiarie, oggi purtroppo perdute: gli "Hexapla" di Origene e la "Cronaca" di Eusebio. Gli "Hexapla" raccoglievano, su più colonne, le principali traduzioni greche del Vecchio Testamento e il loro originale ebraico; la "Cronaca" narrava in parallelo le vicende storiche di Greci, Romani, Ebrei e degli altri popoli presenti nella Bibbia. Gli autori ricostruiscono la genesi delle due opere, la loro forma libraria, l'ambiente culturale in cui videro la luce, grazie a tutti gli indizi che la filologia e l'archeologica permettono di recuperare. Il racconto delle imprese di Origene ed Eusebio, con tutte le difficoltà affrontate e le innovazioni tecniche e intellettuali conseguite, tratteggia uno straordinario affresco storico, che svela al lettore la natura più profonda delle radici culturali dell'Occidente.