«Pochi minuti prima, gli uomini nella stanza erano nove. Tra loro, neanche un tedesco: è una faccenda tutta tra italiani. Perché in quella stanza, a colpi di sibilate nervose, di silenzi e di svelamenti veri o presunti, si è appena consumata una trattativa. O qualcosa del genere. Si sono fronteggiate due diverse idee di Italia: una, quella fascista, che sta irrimediabilmente franando; l’altra che pare avere la vittoria in pugno. Perché, tra ordini di conferma e voci di disdetta, tutti sanno che è l’ora della resa dei conti. Siamo a Milano, alla fine della giornata che segna l’alba di una nuova Italia: sono le 19 e qualche minuto del 25 aprile 1945.»
Questa è la storia di tre vite che si intrecciano indissolubilmente. Una storia di clandestinità, di estenuanti bracci di ferro e di colpi di mano. Di tre uomini che, combattendo contro i nazifascisti, il 25 aprile 1945 provano a rifare un paese da capo. Raffaele Cadorna, Ferruccio Parri e Luigi Longo sono nati a pochi chilometri e a pochi anni l’uno dall’altro, con retroterra differenti, biografie politiche e culturali diversissime, eppure con un destino comune. Pochi ricordano i loro nomi di battaglia: il generale Valenti, comandante del Corpo volontari della libertà, e i suoi due vice, Maurizio e Italo, alias comandante Gallo. Un militare, un azionista e un comunista che il 26 agosto del 1944 si incontrano per la prima volta, in clandestinità, e si stringono la mano. Senza sapere cosa succederà nei mesi successivi, senza sapere dove saranno e se ci saranno, alla fine di tutto, otto mesi dopo. E chiedendosi chi di loro sarà ai posti di comando, al momento dell’insurrezione. Sono ore che segnano una delle rotture più profonde della storia italiana, quelle in cui i vertici della lotta di liberazione si incontrano con i gerarchi di Salò in Arcivescovado, a Milano. Tutto intorno alla trattativa divampa l’insurrezione, mentre alla radio si sente una voce calma e determinata che intima ai fascisti: «Arrendersi o perire».
Daniel Mendelsohn da bambino restava seduto per ore ad ascoltare i racconti del nonno. Erano storie di un tempo lontano e quasi magico, di un piccolo villaggio della Polonia, Bolechow, in cui la vita scorreva felice. C'era però un punto in cui la voce del nonno si rompeva, oltre il quale non riusciva ad andare, come volesse nascondere un segreto troppo doloroso. Che ne era stato durante l'Olocausto del fratello Shmiel, della moglie e delle loro quattro bellissime figlie? Molti anni dopo Daniel scopre una serie di lettere disperate che il prozio Shmiel aveva indirizzato al nonno. Quelle lettere custodiscono frammenti del passato di una generazione perseguitata e cancellata per sempre, che in queste pagine ritorna a vivere davanti ai nostri occhi.
Dopo l’autobiografia intellettuale e politica di Credere, tradire, vivere, Galli della Loggia propone qui il nucleo forte della sua riflessione storiografica.
«… la nostra storia, che fino a non molto tempo fa avevamo il diritto di considerare tutto sommato felice, sembra per mille segni essere giunta invece a un presente (che ormai dura da anni) carico di incognite e di presagi che, sempre di più, felici non appaiono per nulla… Ci serve un’altra storia per tornare ad abitare il futuro»
un contributo a ripensare l’intero corso della nostra storia che l’approdo odierno, così intriso di senso di fallimento e di sconfitta, obbliga a ripercorrere. Ne emerge il viluppo di contraddizioni che l’Italia unita si porta dietro dall’inizio, cioè da quella «vera e propria cellula germinale» che fu il Risorgimento. Ad esso risalgono infatti non solo tratti strutturali del Paese come il divario Nord-Sud, ma anche caratteri del suo sistema politico come l’assenza di un partito conservatore, l’avversione per il costituzionalismo liberale, una «ideologia italiana» fatta di enfasi sul ruolo degli intellettuali, di populismo e di moralismo, che nutre di fatto tutte le pur diverse culture politiche del nostro Novecento.
Frutto di un decennio di ricerche, il libro ricostruisce per la prima volta integralmente l’itinerario biografico e intellettuale del filosofo e storico delle idee Isaiah Berlin (1909-1997) e svela, grazie anche a fonti inedite, l’importanza che vi ebbero gli eventi e i confronti con alcune tra le maggiori personalità del Novecento: da Weizmann a Ben-Gurion, da Churchill a Thatcher, da T.S. Eliot a Wittgenstein. Emergono così l’attenzione verso la dimensione dell’appartenenza e l’impegno sionista, la critica ai nazionalismi aggressivi e l’interesse per il pluralismo culturale, che rendono ancora attuale la proposta filosofica berliniana. La rilettura finale delle riflessioni di Berlin sul liberalismo e sul pluralismo fa dell’opera una rigorosa, ma accessibile, introduzione al suo pensiero.
Ispirata dalla plastica contrapposizione fra la Torre del Mangia e la Piazza del Campo a Siena, potente metafora urbanistica delle due forme antitetiche in cui si è incarnato il potere nella società umana - quella verticale e centralistica delle strutture gerarchiche e quella orizzontale e distribuita delle reti -, la rilettura dell'età moderna e contemporanea proposta da Niall Ferguson è intesa a restituire al modello organizzativo «reticolare» quel valore di forza propulsiva del cambiamento che gli storici hanno a lungo misconosciuto o, comunque, sottovalutato. Pur prendendo nettamente le distanze dai teorici della cospirazione, che attribuiscono a élite e sette segrete (i massoni, gli Illuminati, i banchieri ebrei) il ruolo di effettivi manovratori delle leve del potere, Ferguson mostra come la storia umana sia caratterizzata dall'alternarsi di lunghe epoche segnate dal predominio delle gerarchie e di periodi più brevi, ma straordinariamente intensi e dinamici, di egemonia delle reti, favorite anche da radicali innovazioni tecnologiche. Guardando poi all'epoca moderna, l'autore considera più da vicino le due grandi «ere delle reti»: i tre secoli che dall'invenzione della stampa, dalle importanti scoperte geografiche e dalla Riforma sono culminati nel crollo dell'ancien régime a fine Settecento, e gli ultimi cinquant'anni che, a partire dagli anni Settanta del Novecento, hanno visto l'impetuosa espansione della tecnologia digitale e la rapida diffusione delle reti sociali odierne, che hanno letteralmente rivoluzionato la vita di gran parte dell'umanità. Ma al riconoscimento e alla rivalutazione del ruolo delle reti nella storia Ferguson associa, contestualmente, una sferzante critica dell'utopia libertaria di «netizen» liberi e uguali nell'ultrademocratico e paritario regime del web, che gli appare caratterizzato piuttosto dagli eccessi di violenza sui social e dall'estrema vulnerabilità a ogni tipo di propaganda, compresa quella terroristica, e a ogni forma di «fake news». Al punto che, per lui, solo il modello gerarchico può garantire un qualche principio di stabilità geopolitica perché «la lezione della storia è che affidarsi alle reti per governare il mondo è una ricetta perfetta per l'anarchia».
La spedizione di un sultano alla conquista dell’Italia. Trame oscure che, intrecciandosi, conducono a una guerra terribile che rovescerà tutta la sua violenza su una popolazione ingannata da coloro cui era fedele e, per questo, massacrata. È Otranto, 1480.
Vito Bianchi fa luce sul massacro di ottocento prigionieri inermi canonizzati di recente come martiri della fede. In realtà, come puntualizza l’autore in queste pagine, emerge che l’ecatombe, per ammissione pressoché unanime, fu la conseguenza del rifiuto della cittadinanza di arrendersi, non di abiurare e convertirsi all’Islam. Paolo Mieli, “Corriere della Sera”
Con un libro bello, documentato, vivacissimo, Vito Bianchi mostra come la questione di Otranto e dei suoi martiri, ancora molto dibattuta, debba essere inquadrata nelle guerre che infuriavano nella penisola tra il papa e il re di Napoli da una parte, Firenze e Venezia dall’altra; un episodio che obbligasse i cristiani ad abbandonare le loro contese per unirsi contro gli infedeli sarebbe stato molto utile alla parte per la quale la guerra stava andando peggio: ch’era appunto la veneziano-fiorentina. Franco Cardini, “Avvenire”
Il sempre più spinto laicismo dell’Occidente, affonda le radici in un secolare processo storico riattualizzato in età tardo medievale dallo scontro tra Papato e poteri secolari.Culmine ne fu il conflitto tra Gregorio IX e Federico II. Pomo della discordia si rivelò la Costituzione che Federico promulgò per il regno di Sicilia. Il papa reagì duramente pretendendo di essere giudice del rispetto del diritto naturale-divino negli ordinamenti secolari, nonché difensore dei privilegi in essi riconosciuti da tempo alla chiesa. Il testo della Costituzione e il carteggio tra i due, consentono di penetrare nella ragioni, anche recondite, del conflitto culminato nella scomunica papale e nella rabbiosa reazione di Federico.
Sono gli ultimi giorni della seconda guerra mondiale e la città di Trieste si trova a vivere un dramma inedito, precursore delle tensioni della Guerra fredda. Per quaranta giorni - dal primo maggio al 12 giugno - le truppe titine occupano la città, portando nuovi spargimenti di sangue e nuove morti. «Tragico, asciutto diario di un'intera collettività», come l'ha definito Claudio Magris, "Primavera a Trieste" racconta «una stravolta realtà in cui lo scrittore e con lui i suoi concittadini e il suo mondo sono e si sentono minacciati, indifese pedine di un gioco di proporzione mondiale in cui torti antichi vengono ripagati con alti interessi, la rivendicazione nazionale e sociale si mescola e si confonde con una contrapposizione internazionale di potenze che si contendono il mondo e - in questo gioco guardingo, feroce e ipocrita - passano disinvoltamente sui corpi e sulle sofferenze dei piccoli mondi, come in questo caso Trieste.» Introduzione di Elvio Guagnini. Prefazione di Claudio Magris.
Furono marinai, schiavi, soldati, plebaglia, ma anche gruppi organizzati come i pirati e gli affiliati a sette religiose radicali gli eroi di una guerra di classe che si protrasse tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Settecento e la cui "storia dal basso" Rediker e Linebaugh ricostruiscono in questo libro. La scoperta di nuove rotte marittime verso le Americhe e le Indie Orientali segnò una nuova fase storica. Furono aperte vie commerciali, fondate colonie, avviata una nuova economia transatlantica, organizzate forze lavoro per produrre ed esportare lingotti d'oro, pellicce, tabacco, zucchero e manufatti. Tutto ciò rendeva vitale il controllo capillare delle popolazioni e dei territori espropriati e il pugno di ferro sulle moltitudini di diseredati impiegati nelle piantagioni, nei porti, sulle navi, nei suburbi manifatturieri. Debellare, estirpare, trucidare, sterminare, liquidare, annichilire, estinguere qualsiasi segno di rivolta: fu questa la parola d'ordine. Eppure la ribellione, come per esempio all'inizio del Settecento nella città di New York, esplose violenta a più riprese nei porti dell'Atlantico, dando vita a una nuova consapevole classe organizzata, a una moltitudine multietnica, libertaria e ribelle. Il libro racconta la storia perduta di questa classe proletaria e cosmopolita e del suo ruolo nella nascita della moderna economia globale.
L'età del disordine è un tempo dominato dalla paura, che è figlia dell'ignoranza. Ci sembra di vivere in balia del caos. La globalizzazione è divenuta per molti un incubo: robot che sostituiscono operai, stabilimenti che si trasferiscono in Serbia o in Cina, crisi finanziarie a ripetizione, ondate di immigrati che affluiscono alle frontiere, attentati terroristici. Questo libro è un tentativo di trovare un ordine in tutto ciò, a partire dai cinque anni che aprono questa nuova era: 1968-1973. Iniziano allora i grandi mutamenti da cui è scaturito il mondo attuale: il predominio della finanza sulla produzione, la graduale perdita della presa delle due superpotenze sul mondo, l'uscita dal sottosviluppo di un numero crescente di paesi asiatici, una maggiore consapevolezza del fatto che gli equilibri ambientali stanno saltando. La globalizzazione non è un complotto. Non è molto diversa da quella di cento anni fa, quando migranti, capitali, merci e informazioni si spostavano in misure paragonabili a quelle odierne. Allora la politica la fermò, con i nazionalismi e due guerre mondiali, al prezzo di settanta milioni di morti. Oggi, in preda alla paura, si diffonde la stessa tentazione. Per non ripercorrere quella strada c'è bisogno di una nuova politica che sappia elevarsi al livello planetario delle sfide: migrazioni, finanza, povertà ed ineguaglianze, clima.
La vita e le imprese di Napoleone Bonaparte da un punto di vista insolito: dando un grande spazio alla storia militare e facendoci sentire partecipi di avvenimenti terribili, Belloc racconta con entusiasmo ma rigore storico la storia di un tiranno che distrusse una repubblica per farsi imperatore, senza tuttavia quei pregiudizi contrari che contraddistinguono gli inglesi e l’entusiasmo che caratterizza i francesi. Napoleone cercò, come generale e legislatore, di unificare l’Europa e restituirle la pace, pur a costo di tante battaglie: un progetto che, se fosse riuscito, avrebbe cambiato l’intera storia di un continente condannato ai moti nazionalisti dell’Ottocento e alle Guerre Mondiali del Novecento.
Il 18 agosto 1572 si celebrò a Parigi il matrimonio tra Margherita di Valois e Enrico di Borbone, che avrebbe dovuto segnare la riconciliazione tra cattolici e protestanti dopo una lunga guerra civile. Cinque giorni dopo, nella notte tra il 23 e il 24 agosto, i capi militari dei protestanti furono uccisi per ordine del re. Nelle ore successive bande armate uccisero centinaia di ugonotti parigini, accanendosi su donne, vecchi e bambini, in un delirio di sangue che trasformò Parigi in un carnaio. Il libro analizza in tutte le sue sfaccettature questo evento apparentemente irrazionale, ma in realtà frutto di una devastante miscela di crisi politica e conflitto religioso, esaminando il ruolo dei vari attori: il re Carlo IX, la regina madre Caterina de' Medici, il papato, la Spagna, i gruppi di cattolici militanti parigini. Ne risulta una innovativa lettura della notte di San Bartolomeo come evento centrale nella storia dell'Europa del Cinquecento e nell'affermazione dell'assolutismo del potere politico.