Attraverso le storie di tante persone, ma soprattutto attraverso se stessa, Annalisa racconta il dolore e gli errori, l'elaborazione del lutto e la forza. Un successo di tutti e per tutti. Annalisa è in macchina, di ritorno da Lione, dove ha vissuto il suo più grande successo sportivo dopo le olimpiadi. Sta affrontando una crisi, personale e di coppia. Un simbolico viaggio durante il quale comprende la fine del suo matrimonio, non solo nell'esaurirsi del legame emotivo, ma anche nella necessità di staccarsi completamente da quella vita per ricostruirsi e cercare la gioia che si è accorta mancarle totalmente. Da questa immagine, da questo forte dolore, inizia per Annalisa un viaggio, un errare tra le vicende delle persone che incontra lungo il suo cammino professionale e personale. Cinque storie che si intrecciano con la sua personale rinascita, passata necessariamente attraverso le fasi di elaborazione del lutto.
Madre Yvonne Aimée era una religiosa agostiniana che visse a Malestroit dal 1927 al 1951. Per le sue grandi capacità organizzative divenne superiora del convento-ospedale e promotrice di un progetto per l'istituzione di una clinica moderna. Considerata un'eroina della resistenza, fu decorata a diverse riprese. Numerosi furono i fenomeni soprannaturali che segnarono la vita di questa religiosa, tra cui bilocazione, stigmatizzazione, premonizioni e xenoglossalia. La loro autenticità fu riconosciuta dal vescovo di Bayeux e Lisieux dell'epoca.
Itala Mela nasce il 28 agosto 1904 a La Spezia. Nel 1915 riceve la Prima Comunione e la Cresima. Dopo aver conseguito la licenza liceale, Itala si iscrive alla facoltà di lettere dell'università di Genova. L'11 novembre 1922 si trasferisce nel capoluogo ligure. Entra in contatto con la FUCI e intraprende un serio cammino di conversione. Nell'estate del 1924 mentre prega nella chiesa di Nostra Signora della Salute, ha come un'ispirazione interiore che la spinge alla vita religiosa: nel giugno 1925, Itala fa voto di verginità. Nel novembre 1926 si laurea con il massimo dei voti. Inizia l'insegnamento in un istituto tecnico di Pontremoli (MS). Nella primavera dell'anno successivo Itala ha la sua prima intensa esperienza mistica: comincia un cammino di intimo rapporto con Dio in cui scopre (3 agosto 1928) la sua personale vocazione di far conoscere il mistero dell'Inabitazione della Santissima Trinità. Itala ottiene una cattedra d'insegnamento a Milano. Gravi problemi di salute in quel periodo la costringono a desistere dal suo sogno di entrare in monastero. La sua situazione di salute andrà sempre più peggiorando, compromettendo anche il suo insegnamento. Nel 1931 Itala diventa oblata benedettina. Deve ritornare nella sua famiglia a La Spezia. Continua con molta difficoltà a insegnare, ma a settembre del 1938 deve rinunciare all'insegnamento. Durante la guerra, insieme a suo padre, si trasferisce a Barbarasco, frazione di Tresana (MS). I Mela tornano definitivamente a casa a La Spezia il 31 agosto 1945. Itala, nonostante la salute precaria, entra a far parte del Movimento dei Laureati Cattolici. Muore il 29 aprile 1957.
Quella che Giovanna racconta in queste pagine è un'esperienza della presenza di Dio nella sua vita quotidiana. Una vita vissuta assieme al marito Piero e alle figlie con i generi e i nipoti. È la vita di una famiglia semplice, come tante altre. È la storia che ogni famiglia cristiana può sperimentare di fronte alla malattia e alla croce. In questa famiglia Dio ha potuto agire con libertà: la docilità delle persone illuminate e sostenute dallo Spirito di Dio e dalla loro preghiera ha reso possibile l'esperienza della potenza di Dio e la sua provvidenza. L'esperienza di preghiera vissuta nella famiglia, semplice, piena di fiducia, ha aiutato a guardare in su... La fede è cresciuta, e ci conferma che con Dio possiamo affrontare e vivere tutte le croci quotidiane. Giovanna con la sua semplicità e il suo abbandono di fronte alla malattia e al dolore ci insegna come si può affrontare la vita rimanendo sereni, abbandonandosi alla volontà del Signore.
«Plata o plomo»: soldi o una pallottola. Ogni anno in Messico transitano mezzo milione di migranti indocumentados che dal Centroamerica in preda alla violenza tentano di raggiungere gli Stati Uniti in cerca di un futuro migliore. Sulla loro strada trovano la ferocia dei narcos, banditi che - oltre a far soldi con la droga - si arricchiscono sulla pelle dei migranti grazie a rapimenti, traffici di organi, schiavismo e prostituzione. Alejandro Solalinde non è rimasto a guardare. Dopo una vita da prete «normale», ha iniziato ad aprire le porte del cuore e di casa agli stranieri che cercavano un rifugio, un pezzo di pane, una parola di conforto. Non ha taciuto, padre Alejandro: ha denunciato i soprusi dei trafficanti, le connivenze della politica, la corruzione della polizia. I narcos gliel’hanno giurata: sulla sua testa pende una taglia di 1 milione di dollari. Di qui le minacce, i tentati omicidi, una scorta di 4 uomini per difendere un uomo che difende gli indifesi.
La vicenda di padre Alejandro - per la prima volta qui raccontata da Lucia Capuzzi - si intreccia con i 20 mila migranti rapiti ogni anno in Messico, uomini, donne e bambini che spariscono nel nulla. E con i 20 mila indocumentados accolti da questo prete tenace. Persone alle quali Solalinde dedica la vita in nome di quel Dio schieratosi dalla parte degli ultimi.
«I sequestri. Cominciarono senza che ce ne accorgessimo. Gruppi di migranti sparivano. Mi misi ad indagare. I conti non tornavano. Era evidente che molti si perdevano per strada. Dove finivano? Con molta pazienza riuscimmo a ricostruire la macchina dei sequestri. Ero un prete: mi occupavo di teologia e psicologia. Capii che mi stavo per infilare in un enorme guaio. Eppure non potevo né volevo evitarlo. Non c’era tempo per pensare a me. C’erano delle persone indifese in pericolo, in tremendo pericolo. Sapevo che dovevo fare qualcosa» Alejandro Solalinde
Circa cento anni fa Alphons Ariëns era uno dei personaggi cattolici più noti in Olanda, e la sua memoria vive oggi nel nome di istituzioni e di diverse strade. È stato uno dei primi sacerdoti ad impegnarsi per la giustizia sociale e per migliorare la sorte degli operai, fondando associazioni e sindacati e lottando contro l'alcolismo, piaga allora molto diffusa. Ma merita di essere ricordato non solo per le sue opere, bensì per chi è stato come essere umano, cristiano e sacerdote. Le attività sociali avevano senso nella prospettiva della sua vocazione sacerdotale: guidare le persone a Cristo. L'impegno sovrumano con cui cercava di realizzare la sua vocazione, il sacrificio per le persone che voleva servire, la profondità della sua fede facevano di Ariëns un uomo eccezionale, che molti già quando era in vita consideravano un santo. Oggi, che il suo processo di beatificazione è davvero in corso, merita avvicinarsi al suo profilo mediante una biografia spirituale che, partendo dai fatti della sua vita, ne metta in luce la personalità vivace e impetuosa, la grande modestia, la ricerca della massima fedeltà alla propria vocazione di cristiano e di sacerdote, la passione per la vita dei fratelli e sorelle che gli erano affidati.
L'autrice ci fa conoscere il volto umano estremamente attuale di venti donne dell'Antico Testamento. Sara, Agar, Le due figlie di Lot, Rebecca, Le donne di Giacobbe, Dina, Tamar, Mirjam, la signora delle acque, Sipporà - Rahab, donna libera di Gerico, Deborah e Giaele, Anna, la graziata, Mical, figlia del re, Abigàil, la saggia, Betsabea, Tamar, Huldah, la profetessa. Donne tragicamente sole con i loro conflitti interiori, in lotta fra loro o insieme, in cordata, che, in un modo o nell'altro, cantano il loro inno alla vita.
Rimasto sinora sconosciuto ai più, Sergio Paronetto (1911-1945) è stato uno dei più brillanti intellettuali cattolici del Novecento e il protagonista di vicende importanti nella storia dell’economia italiana tra le due guerre. La sua biografia e la sua riflessione sono qui ricostruite per la prima volta in maniera specifica grazie all’esame di una vasta documentazione inedita, ricca di novità per la ricerca storiografica su momenti cruciali nella storia del movimento cattolico, dell’economia e della politica del Paese. La finissima analisi interiore, l’animazione di un cenacolo culturale, il ruolo svolto come manager dell’Iri, la collaborazione con Giovanni Battista Montini, con Alcide De Gasperi e con gli altri personaggi della rinascita democratica e della Resistenza: in queste pagine torna alla luce il fascino di una personalità che conquistò tutti i suoi interlocutori e il significato di un ambizioso progetto per la crescita materiale e civile dell’Italia.
Tiziano Torresi è dottore di ricerca in Storia contemporanea e borsista presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli. È autore del volume «L’altra giovinezza. Gli universitari cattolici dal 1935 al 1940» (Cittadella 2010, Premio Capri San Michele 2010 per la sezione Giovani) e di saggi sulla storia del movimento cattolico, sulla formazione della classe dirigente democristiana e sull’intervento pubblico in Italia tra le due guerre. Ha curato l’edizione degli scritti di Alfredo Carlo Moro (Studium 2014). La ricerca condensata in questo libro ha ottenuto il Premio Spadolini Nuova Antologia 2016.
Nel 1965 Paolo VI nominò arcivescovo di Torino Michele Pellegrino, un patrologo che, negli anni del suo episcopato, volle essere un padre per il gregge affidato alle sue cure. Pellegrino si sforzò di incarnare in profondità il modello pastorale dei padri della chiesa, in una stagione ecclesiale chiamata a tradurre in pratica le indicazioni del Vaticano II, aprendo la chiesa torinese alle istanze di rinnovamento sorte dal dibattito conciliare, in dialogo con la società e la realtà contemporanea, soprattutto nelle sue componenti più deboli (lavoratori, immigrati, poveri, drogati, prostitute, carcerati, malati, esclusi). La profezia di Pellegrino viene dal nostro passato, ma vorrebbe restare voce gravida di futuro, lasciando intravedere ciò che sarà, nel dono, nella comunione e nella speranza.
Lutero nutriva un odio feroce per il «papa, questo porco del diavolo». I teologi romani, dal canto loro, non capivano cos'altro volesse quel monaco rozzo e immensamente vanitoso se non distruggere il Papato. E i devoti principi tedeschi avevano le loro buone ragioni per sostenere il facondo predicatore d'odio. Così, fin da subito, indipendentemente dalle dispute teologiche che già allora pochi comprendevano, si tracciò la strada verso lo scisma nella Chiesa. Volker Reinhardt, utilizzando documenti vaticani finora trascurati, mostra come le radici dello scisma non affondino nelle questioni religiose. L'autore ricostruisce per la prima volta i grandi incontri tra Lutero e il Papato, idealizzati e mitizzati dai protestanti, dal punto di vista romano, e rivela il motivo per cui spesso i papi non presero sul serio le grida che arrivavano dalla lontana Germania.
In questo volume è delineato in forma narrativa, ma sulla base di autorevoli testimonianze e fonti di archivio anche inedite, il profilo di Pietro Barbieri (1893-1963), sacerdote lombardo, protagonista della vita culturale, politica ed ecclesiale italiana dai primi anni del Novecento sino agli anni Sessanta. Nella diocesi di Vigevano (PV) scrive le prime pagine del suo ministero sacerdotale. Poi in Francia, negli Stati Uniti e in Inghilterra si dilatano i suoi orizzonti: si dedica alla cura degli emigrati italiani. A Roma sperimenta l’universalità della Chiesa con il servizio nella curia romana e raffina la sua missione mostrandosi un grande italiano: in piena occupazione tedesca, rischia per salvare ebrei e perseguitati politici, diventa l’anima del CLN. Negli anni del dopoguerra non c’è governo alla cui formazione non abbia discretamente contribuito, favorendo l’unità tra le forze politiche. Infine, a Pieve del Cairo si consuma, nella vivida fantasia della carità, l’avventura di questo zelante sacerdote, vissuto tra i rovi e i conflitti del tempo, ma sempre vicino al popolo.
Il premio Motta della bontà, assegnato a Marcello Candia nel 1970 per la sua azione missionaria, lo aveva definito: Uomo dal cuore d'oro. Il libro ripercorre la vita (1916-1983) del ricco industriale di Milano, che ha dato tutto ciò che aveva per i poveri dell'Amazzonia. Nel 1965, dopo aver liquidato l'attività, si trasferisce a Macapà, in Brasile, dove costruisce un ospedale poi donato ai Camilliani per garantirne la continuità dopo la sua morte. Successivamente si trasferisce a Marituba, dove si dedica alla cura dei lebbrosi. Nel 1982 istituisce la Fondazione Dottor Marcello Candia, tuttora operante. Nel 1983 rientra malato dal Brasile e muore a Milano il 31 agosto. Il libro, con uno stile agile e profondo, mette in rilievo le sue innumerevoli attività e soprattutto la sua «statura» umana e spirituale.