La rivoluzione russa è stata, in termini rilevanti, anche un confronto-scontro tra diverse prospettive intellettuali. In ragione della debole consistenza delle classi sociali, in particolare del "terzo stato", il ceto degli intellettuali, intelligencia, termine non a caso coniato in Russia, ha finito con lo svolgere un ruolo storico forse senza riscontri in altri contesti. In certi momenti è parso che in campo ci fossero solo gli intellettuali rivoluzionari e l'autocrazia, in un confronto senza esclusione di colpi. E sicuramente una rappresentazione schematica che deve essere articolata e resa più complessa per la presenza di altri attori: le masse contadine gettate nella grande storia dalla politica estera imperialistica dello zarismo, le prime concentrazioni operaie, la nascente industria, i fermenti artistici, la scomposizione della nobiltà, il formarsi di ceti professionali e tecnico-scientifici. Eppure le concezioni di fondo, tra di loro sempre più divergenti e inconciliabili, furono elaborate dagli intellettuali, teorici e pensatori russi, laici e religiosi, nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento, prima che la vittoria definitiva del bolscevismo e la creazione dell'URSS spazzassero via ogni possibilità di confronto, imprimendo al sistema una connotazione totalitaria, rivelatasi irriformabile. Non si trattò però solo di fratture, discontinuità e sconvolgimenti. Dentro la storia russa, sovietica, sino all'attuale era Putin, sono ben visibili forti elementi di continuità, l'incidenza operativa della lunga durata. Il soggetto principale, da questo punto di vista, è stata ed è sicuramente la Chiesa ortodossa, con tutto ciò che ne deriva sul piano della cultura e del potere, del costume e della mentalità. Con approcci differenti e diverse sensibilità, senza sovrapposizioni, i tre saggi che compongono questo volume interrogano uno degli eventi fondatori della storia e del mondo contemporaneo.
Nell'estate del 1941 le truppe tedesche invadono la Bielorussia e occupano la capitale, Minsk. Gli eroi di questo libro sono bambini e ragazzi bielorussi e russi che hanno vissuto la terribile quotidianità di quegli anni di guerra e sono cresciuti nell'orrore del più disumano dei conflitti, Pubblicato per la prima volta nel 1985 e censurato dal regime sovietico, "Gli ultimi testimoni" compare oggi nella sua versione definitiva, per raccontarci una storia diversa da quella ufficiale, letta attraverso i ricordi e gli occhi innocenti dei più piccoli. Le loro parole, che per semplicità e immediatezza hanno una forza evocativa ancora più sconvolgente, cancellano ogni ideologia e modificano il nostro sguardo sul mondo. Un bambino che è stato strappato alla sua famiglia e defraudato della sua infanzia resta ancora un bambino? Che interpretazione può dare della guerra, suo unico orizzonte di vita? Quali sono le immagini che più l'hanno segnato? Sono questi gli interrogativi a cui il premio Nobel Svetlana Aleksievic cerca di dare risposta attraverso le sue interviste. Ma la conclusione è che non c'è azione attuata per il bene universale che possa giustificare anche "una sola lacrima di bambino".
Una raccolta degli articoli comparsi su «la Repubblica» dal 1990 in poi, molti dei quali veri e propri «scoop» con notizie, curiosità e storie sorprendenti uscite in Germania dopo la fine della «rimozione» e sino ad allora ignorate dal pubblico italiano. Dall'infanzia e dalle curiose, intriganti vicende che portarono Hitler al potere, agli attentati, alle vendette e al suicidio finale. Le folli idee e le «gesta» di Göring, Goebbels, Eichmann. Le donne che amavano pazzamente il Führer, Schmitt, i Krupp, la regista Leni Riefenstahl, i detrattori più celebri, tra cui Thomas Mann, Hannah Arendt, Joseph Roth. E ancora le vittime, dagli omosessuali rinchiusi a Sachsenhausen a Primo Levi, a Walter Benjamin e ai suoi familiari. Infine il dibattito sul nazismo, da Syberberg a Ernst Nolte.
Franco Cardini e Sergio Valzania ci raccontano come si svolse l'operazione Dynamo: durante la Seconda guerra mondiale, in nove giorni 180.000 soldati inglesi e 140.000 soldati francesi e belgi furono evacuati dalle spiagge e dall'unico molo ancora operativo del porto di Dunkerque, nel Nord della Francia, sotto il costante bombardamento dell'artiglieria tedesca e della Luftwaffe. La decisione di abbandonare il territorio europeo era stata presa dopo che il 20 maggio le avanguardie corazzate tedesche avevano raggiunto la Manica nei pressi di Abbeville e l'intero esercito belga, le due migliori armate francesi e il BEF (il corpo di spedizione britannico) erano stati circondati, spalle al mare. Il loro destino sembrava segnato: una disperata resistenza e poi - esaurite le munizioni, i viveri e il carburante - la resa. Per riuscire in un'impresa di così vaste dimensioni in un contesto tanto ostile, l'ammiragliato inglese ricorse alla collaborazione di tutta la marineria portuale e da diporto britannica, che partecipò con entusiasmo e spirito di sacrificio all'operazione Dynamo con ogni tipo di imbarcazione disponibile, dando vita a una vera e propria epopea. Anche se Churchill ebbe a dire che «non si vincono le guerre con le evacuazioni», l'operazione venne comunque valutata un grande successo, superiore alle più rosee aspettative coltivate dal governo britannico nel momento in cui era stata decisa. I circa 240.000 inglesi inquadrati nelle sette divisioni che componevano il BEF costituivano infatti l'intero esercito inglese per quanto riguardava gli ufficiali, i sottufficiali di carriera e i soldati volontari. La loro perdita avrebbe forse privato la Gran Bretagna della possibilità di continuare da sola la guerra, dopo il collasso della Francia, dato che le sarebbero mancati i quadri di comando e gli istruttori per organizzare un esercito da opporre alle truppe dell'Asse. Quattro anni più tardi, con lo sbarco in Normandia, il 6 giugno, le truppe britanniche metteranno di nuovo piede in Europa per combattere i tedeschi e concludere vittoriosamente la Seconda guerra mondiale.
Giovanissimo incursore durante la Seconda guerra mondiale, dopo l'8 settembre partigiano sulle coste adriatiche, poi in Sicilia a caccia di latitanti nelle campagne dove spadroneggiava il bandito Giuliano, quindi a Milano alle prese con alcuni grandi delitti «mediatici» in una città in pieno boom economico. Per il generale Carlo Alberto dalla Chiesa questi furono gli esordi di una straordinaria carriera da comandante, sempre in prima linea nella lotta alla criminalità e al servizio dello Stato. Nella lunga battaglia contro la mafia, quando sfidò il sistema di potere dei boss e si scontrò con la loro capacità di «aggiustare» i processi ed evitare condanne, e poi negli anni bui del terrorismo, quando fu chiamato a guidare la ferma reazione delle istituzioni contro la minaccia eversiva delle Brigate rosse, il generale fu sempre sul campo accanto ai propri uomini, e unì carisma, intuito, coraggio a un metodo d'indagine che avrebbe fatto scuola. Marito e padre affettuoso, fine psicologo (i principali pentimenti di brigatisti furono merito suo), Carlo Alberto dalla Chiesa è stato, innanzitutto, un carabiniere. E il congedo dall'Arma, in occasione della sua nomina a prefetto di Palermo, fu un dolore che faticò a descrivere: scelto ancora una volta dalla politica come uomo della provvidenza, nella stagione più sanguinosa della guerra di mafia fu lasciato solo, quando Cosa nostra decise di eliminarlo perché in poco tempo aveva svelato interessi criminali che solo anni dopo sarebbero emersi con chiarezza dalle inchieste giudiziarie. Attingendo a rapporti e informative, visitando i luoghi che lo videro cogliere successi investigativi, tra pedinamenti e arresti, e soprattutto condividendo segreti operativi e retroscena inediti degli uomini che gli furono accanto, Andrea Galli ha ricostruito in queste pagine la vicenda umana e professionale del più famoso carabiniere d'Italia, trentacinque anni dopo il tragico attentato di via Carini a Palermo, il 3 settembre 1982, e insieme ha tracciato un racconto che, dal secondo dopoguerra a oggi, segue il filo rosso della drammatica e spesso misteriosa storia del nostro Paese, ripercorsa attraverso la biografia di un suo indimenticato protagonista chiamato a «essere al centro della fiducia e della credibilità dello Stato».
«Una donna, una donna del diciottesimo secolo che ama la vita, i divertimenti, le distrazioni, come li ama e li ha sempre amati la gioventù della bellezza. Una donna un po' vivace, un po' pazzerella, un po' beffarda, un po' sventata, ma una donna onesta, pura, che non ha mai avuto - secondo l'espressione del principe di Ligne - che "una civetteria di Regina di piacere a tutti"». Poco amata, spesso vituperata, per lo più considerata frivola, gli storici non sono stati teneri con Maria Antonietta. Invece, i Goncourt hanno il grande merito di radicare la sua vita nel secolo in cui visse. La storia, per i due fratelli del naturalismo francese, deve scendere dal suo piedistallo di razionalità o di disegno della provvidenza. La raccontano dall'interno, dai sentimenti: essa diventa «inchiesta sull'uomo» e curiosità per i ritratti illustri. Rovistando nella immensa quantità di cronache e di vicende, per ricostruire il documento preciso di una esistenza. Così con Maria Antonietta, la giovane moglie di Luigi XVI, morta nel 1793 sulla ghigliottina, dopo il marito: ma mentre il re fu mandato al patibolo in carrozza coperta e a mani libere, lei vi fu trasportata sulla carretta con i capelli rozzamente tagliati e le mani legate. E oltre il giudizio sulla controversa sovrana - che è di piena assoluzione, tanto da conquistarle la simpatia immediata del lettore - ciò che conta per i due infaticabili eruditi dell'Ancien Régime è di entrare dentro le stanze e gli ambienti, nei momenti intimi di una corte decadente e feroce. «Cerchiamo di mostrare i caratteri, le abitudini, il modo di vivere dei principi e delle principesse coi quali ella deve vivere, le simpatie e le antipatie che necessariamente incontra. Questo quadro è importante per la giustizia storica».
Le tre parti che compongono questo libro ripercorrono la storia degli Stati Uniti dall'epoca della colonizzazione, attraverso la fondazione della nazione, sino alla guerra anglo-americana del 1812-1815. Nella prima parte, di Giuliana Iurlano, sono studiati i concetti basilari che, durante la lunga fase della colonizzazione e sulla scorta del pensiero di Spinoza, costituirono la base filosofica della Dichiarazione d'Indipendenza, con un accento particolare posto sul problema della continuità o rottura tra essa e la Costituzione americana. Nella seconda parte, sempre Giuliana Iurlano analizza il pensiero politico di George Washington e gli esordi della politica estera americana tra neutralità e impegno nello scenario internazionale, sino alla guerra contro i corsari islamici del Nord-Africa ai tempi di Thomas Jefferson. Nella terza parte, di Antonio Donno, si ricostruiscono infine le origini, gli sviluppi e le conclusioni della guerra tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti del 1812, che gli americani, alquanto enfaticamente, definirono la "seconda guerra d'indipendenza".
Nonostante la civiltà e la cultura europea affondino le radici nella tradizione ebraico-cristiana, le vicende del popolo ebraico e le sue esperienze accumulate nell'arco di alcuni millenni sono poco conosciute. Attorno alla figura dell'ebreo, ancora e nonostante il tragico passato - o forse proprio a causa di esso - si aggirano i fantasmi del pregiudizio o del sospetto. Eppure il pensiero elaborato dai rabbini e dai filosofi ebrei è molto originale e fecondo; il mondo ebraico è ricco, articolato, spesso contradditorio e solo attraverso la conoscenza se ne possono cogliere gli aspetti apparentemente paradossali. «Essere ebrei - scrivono Riccardo Calimani e Giacomo Kahn - è doppiamente difficile: è difficile essere se stessi, è difficile essere accettati. È un problema stimolante che offre motivi di riflessione. Costanti e sempre nuovi».
"Muss. Ritratto di un dittatore", è un documento prezioso per comprendere il complesso e spesso conflittuale rapporto di Malaparte con il fascismo. La sua stesura, iniziata durante la permanenza di Malaparte a Parigi, ha occupato un lasso di tempo di venti anni, dal 1931 fino ai primi anni Cinquanta. Proprio questa lunga gestazione è il miglior indice del travagliato rapporto di Malaparte con il regime e più ancora con la figura di Mussolini. Previsto inizialmente come una biografia di Mussolini con il titolo "Il Caporal Mussolini", il saggio si è in realtà sviluppato come un'analisi critica del fascismo, che a Malaparte appariva nei suoi tratti di stato di polizia come l'ultimo portato della Controriforma. Oltre che sul rapporto dello scrittore con il fascismo, le pagine di Muss sono interessanti proprio per l'acuto giudizio critico di Malaparte anche sul nascente nazismo, visto come un primo esempio di dittatura moderna capace di indurre il popolo a credere che «il dittatore moderno sia un essere soprannaturale». Non deve dunque sorprendere che poco dopo il suo ritorno in Italia Malaparte venisse arrestato nel 1933, su denuncia di Italo Balbo, con l'accusa di avere svolto all'estero attività antifasciste, e inviato al confino sino al 1934, quando venne riabilitato dallo stesso Mussolini. Lo scritto "Il grande imbecille" completa questo volume.
Tombe reali di Amarna, Egitto. Il fascio luminoso della torcia accarezza la parete grezza. «Nefertiti avrebbe dovuto trovarsi qui» borbotta Zahi Hawass davanti al loculo scavato nell'arenaria, desolatamente vuoto, aggrottando le sopracciglia cespugliose. «Invece non c'è proprio nulla.» La Regina del Nilo è scomparsa senza lasciare tracce. Dopo oltre tremila anni il suo corpo non è stato ancora rinvenuto. Di lei ci resta il magnifico busto di pietra con la corona blu, conservato a Berlino, ideale di bellezza femminile. «Signora della gioia, piena d'amore», Nefertiti era adorata dal popolo, moglie amatissima del faraone «eretico» Akhenaton - che nel XIV secolo a.C. sfidò i potenti sacerdoti di Tebe e si votò al culto dell'unico dio Aton, il Sole -, con lui fondò la città di Amarna, nel cuore del deserto, e alla sua morte salì forse al trono come un vero faraone, con il nome di Smenkhara. L'affascinante ed enigmatica sovrana rimane però uno dei tanti misteri ancora sepolti sotto le sabbie dell'Egitto, forse il più avvincente: dov'è la sua tomba? In molti l'hanno cercata, senza successo. L'ultimo in ordine di tempo è l'archeologo britannico Nicholas Reeves, secondo cui la regina delle regine giace in una cripta segreta nella Valle dei Re, dentro la tomba del figliastro Tutankhamon, il Faraone d'oro, nascosta dietro una parete con il suo favoloso tesoro... L'archeologo Zahi Hawass e il regista Brando Quilici, ci raccontano l'avventura archeologica sulle tracce di Nefertiti intervallandola con aneddoti di viaggio e di avventure sottoterra tra mummie, pipistrelli, serpenti «importuni» e germi letali. Per «braccare» la Bella del Nilo viene schierato un vero arsenale tecnologico, anche se, come sostiene Hawass, «un radar da solo non ha mai scoperto niente in Egitto»: servono l'esperienza e il fiuto dell'archeologo, più una buona dose di fortuna. «Nefertiti, se ci sei, stiamo arrivando.»
Nel 1899, ricordando i suoi soggiorni in Italia, Lev Tolstoj scriveva alla moglie: «Firenze, è vero, anche a me piace per la modestia e la gradevolezza. Al mio tempo - tuttavia - d'improvviso si cominciò a sciupare: era diventata capitale». Molti dei viaggiatori stranieri che in quegli anni intraprendevano il grand tour lungo le strade italiane rimanevano interdetti davanti ai cantieri che affollavano il centro storico. Osservando gli sventramenti degli stretti vicoli fiorentini, Ruskin rimpiangeva la Firenze immobile di alcuni anni prima, quando era ancora possibile attraversare le stesse strade percorse da Dante. La trasformazione aveva preso il via con l'unità d'Italia, quando i politici sabaudi avevano deciso di spostare temporaneamente la capitale da Torino a Firenze, nella speranza di stabilirla un giorno a Roma, ancora da conquistare. Il ruolo di capitale, seppure provvisoria, aveva reso necessari cambiamenti strutturali che minacciavano l'antica pianta della città: le mura medievali furono abbattute e al loro posto nacquero ariosi boulevard e interi quartieri sorsero a ridosso della città vecchia. Le trasformazioni di Firenze tuttavia non sono paragonabili a quelle che coinvolsero Roma. Dal 1871 le vie dell'Urbe sono invase di calcinacci e ponteggi, mucchi di pozzolana rossa e muraglie di detriti, lastre di travertino e polvere. I borghi del centro demoliti o ridisegnati, gli enormi spazi verdi delle ville patrizie all'interno delle mura - caratteristica peculiare della geografia urbana di Roma - venduti e edificati. Quella che era la provinciale e immobile città dei papi cominciò a crescere a dismisura, senza controllo. Utilizzando le testimonianze e i diari dei viaggiatori del tempo, Attilio Brilli insegue la capitale nel suo viaggio da Torino a Roma, attraverso Firenze, e ci restituisce la cronaca avvincente di un momento decisivo della storia italiana: la nascita di una società moderna, espressione di una nuova classe sociale, che avrebbe cambiato nel profondo la fisionomia delle grandi città italiane.
«Se nessuno avrà mai il coraggio di contrastare il nazionalsocialismo, questo sistema non crollerà mai!». È il 4 ottobre del 1944 e la giovane recluta delle SS, il sudtirolese Josef Mayr-Nusser, ha appena gridato la sua obiezione di coscienza di cristiano alla dittatura: «Signor maresciallo maggiore, io non posso giurare a Hitler». I compagni tentano di convincerlo a tornare sui suoi passi e a salvarsi la vita. Niente da fare: «Intorno a noi c'è il buio - aveva scritto già alla metà degli anni Trenta -, il buio della miscredenza, dell'indifferenza, del disprezzo e della persecuzione. Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma efficace». Il padre di famiglia e presidente della sezione giovanile dell'Azione cattolica di Bolzano viene arrestato, e nel febbraio del '45 sarà condannato a morte e avviato a Dachau. Ma non ci arriverà mai. Il treno della morte è costretto a stazionare a Erlangen a causa di un bombardamento alleato. Josef, stremato per le privazioni e per un edema polmonare, il 24 febbraio 1945 muore sul carro bestiame con in mano il vangelo e il messale. Un libro bellissimo ma, ancor più, necessario. Un libro da proporre nelle scuole medie e in quelle superiori a ragazzi che sono stufi di lezioni «buonistiche» non sostenute da testimonianze coraggiose (dalla premessa di Ettore Masina). Con contributi di Albert Mayr, Ettore Masina, Paolo Bill Valente Scheda storica del Sudtirolo a cura di Leopold Stuerer.