L'atto di mangiare implica la responsabilità di tutti e di ciascuno, attraverso una grande catena che va dalla Terra al piatto. Noi non siamo al centro del mondo. Le altre specie viventi - animali e vegetali - meritano lo stesso rispetto che riserviamo a noi stessi. Continuare a distruggerle, come stiamo facendo, significa condannarci a una morte certa, ben più di quanto non si creda. In questo libro, dove ha scelto di raccontare alcuni episodi della sua vita, Alain Ducasse ci propone alcune soluzioni concrete per riapprendere a mangiare. Nel corso di queste pagine incontrerete un curioso gesuita delle Filippine, un cuoco che serve delle carote al vapore a tutta New York, un orticoltore della banlieu, una coppia di piccoli produttori che, in Normandia, hanno creato un ecosistema unico nel suo genere. Il loro impegno, l'impegno di Ducasse, è anche il vostro. Perché mangiare è un atto civico.
«Trentanove è il numero simbolo di una generazione fallita o sull'orlo del fallimento. Una generazione fregata dai padri, che pure avevano consegnato l'illusione che a un'infanzia felice e a un'adolescenza bellamente turbolenta sarebbero seguiti anni di benessere, serenità, sollievo, pace. Una generazione che non genera figli, come impietosamente fotografato da tutte le rilevazioni statistiche. Trentanove è l'età media del Rassegnato.» Come siamo arrivati fin qui? Da dove ha origine quella che Mario Monti, da presidente del Consiglio, definì «generazione perduta»? Quali sono le responsabilità dei quarantenni di oggi e quali le colpe di una pessima visione politica e sociale nell'Italia degli ultimi cinquant'anni? Tommaso Labate, anagraficamente coinvolto in questa categoria vittima di un'inarrestabile parabola discendente, scava nel passato dei Rassegnàti per trovare la matrice della non-reazione, dell'inerzia, della sconfitta che segna il destino dei ventenni di vent'anni fa. Quelli a cui la dignità deve essere concessa per decreto. Dalle lotte (finte, sbagliate o troppo facili) degli anni Novanta a quelle individuali, quasi ombelicali di oggi, dalla crisi occupazionale a quella dei valori, I Rassegnàti è la cronaca precisa di un'occasione sprecata, di una partita persa all'ultimo rigore. Come quello di Baggio nella finale di USA 94, sparato alto sopra la traversa.
Perché qualcuno, si chiede Shakespeare, dovrebbe appoggiare un leader palesemente inadatto a governare, una persona pericolosa e impulsiva, malvagia e subdola, o indifferente alla verità? Perché, in alcuni casi, le prove di crudeltà non sono un deterrente, bensì un'attrattiva capace di trascinare seguaci soddisfatti? "Da questo momento," dichiara Macbeth "il primo moto dell'animo sarà / tutt'uno con il moto della mia mano." Ma allora le istituzioni che dovrebbero impedire alle persone comuni, e ancor più ai leader delle nazioni di agire sulla spinta di ogni impulso folle, dove sono? E quali sono i meccanismi psicologici che conducono una nazione a dimenticare i propri ideali e persino il proprio interesse? Nonostante siano passati secoli, i re e i contadini di Shakespeare gettano luce ancora oggi sul carattere delle masse e dei loro agitatori, trovando rinnovata chiarezza nelle osservazioni di Greenblatt. La fragilità improvvisa delle istituzioni, il disordine delle classi dirigenti e la rabbia populista come conseguenza della crisi economica sono tutti elementi per comprendere la politica moderna, ma anche quello spirito popolare di umanità che per Shakespeare rimase per sempre l'unica vera speranza, perché "si può soffocare, ma mai spegnere del tutto".
Qualcuno ha scritto che oggi abbiamo molti manager e pochi capi. Se ripuliamo la parola capo da tutte le incrostazioni negative, scopriamo il fascino e la complessità di questa figura. La scuola dei capi è un libro scritto quasi settant’anni fa – premiato dall’Accademia di Francia –, ma conserva una freschezza e attualità impressionanti. Non è un manuale. Sono pagine da centellinare perché hanno i sapori del vino d’annata. Le proponiamo a tutti coloro che vogliono imparare il segreto di essere capi.
Non occorre la macchina del tempo per catapultarsi in un periodo remoto: è sufficiente una pozione magica fatta di acini spremuti. Grazie al vino, epoche storiche lontane rivivono. Rivivono le strade sterrate percorse da banditi a cavallo, i primi libri stampati, i personaggi del "Decameron", e a ritroso i baccanali dell'antica Roma, il vino delle nozze di Cana e quello del dio egizio Osiris, fino alla vite che Noè ha piantato dopo essere scampato al diluvio. Roberto Cipresso, winemaker, chiama vini d'emozione quelli che a ogni sorso raccontano una storia. E lui, come un cacciatore di tesori, ha solcato terre e mari, scavalcato muri di giardini abbandonati, si è addentrato nelle grotte sul monte Ararat, per cercare le viti più antiche, quelle dimenticate, i terreni meno battuti dai viticoltori, per riportare in vita vini che sono la quintessenza di storia umana e natura. È un viaggio attraverso il vino, un romanzo in cui si intrecciano passione, sapere, esperienze, opinioni schiette, strade da abbandonare e altre da imboccare. Non solo la poesia di vini insoliti, non scontati, preziosi perché inseguiti con la determinazione di un innamorato, ma anche l'illuminazione di come deve essere, e soprattutto come non deve essere, il vino che accompagna le nostre vite. Prefazione di Gianni Mura.
Poche figure nella storia della scienza moderna hanno il carisma di Enrico Fermi. E poche sono state altrettanto determinanti per gli sviluppi successivi della loro disciplina. Tuttavia, molti aspetti della sua biografia sono ancora poco indagati. Il libro di David N. Schwartz colma questo vuoto, anche grazie a fonti inedite ed esclusive, ricostruendo una vita che fu investita in pieno - e in una posizione di primo piano - dalle drammatiche turbolenze della storia del Novecento. La sua biografia si snoda attraverso due guerre mondiali in una parabola che va da Roma agli Stati Uniti passando per Stoccolma: il conferimento del Nobel nel 1938 fornisce a Fermi l'occasione per sfuggire alle leggi razziali, che avrebbero colpito la moglie Laura, ebrea. Tre anni dopo, un team dell'università di Chicago ottiene per la prima volta nella storia una reazione a catena: alla guida dell'esperimento c'è lui, che legherà per sempre il suo nome al famigerato «Progetto Manhattan». Una genialità precocissima, una carriera accademica folgorante, una lista di scoperte che hanno rivoluzionato la fisica moderna corrispondono a una figura privata, di marito e di padre, assai più controversa. Una biografia, la sua, fatta di luci e di ombre, che vanno dall'ambiguo rapporto con il fascismo all'altrettanto discussa adesione al progetto della bomba atomica. Senza cedere alle opposte tentazioni dell'apologia e dell'ipercritica, Schwartz delinea un personaggio enigmatico dai sensazionali meriti scientifici, che più di ogni altro riflette le complessità del suo tempo.
"La promessa della rivoluzione francese si è rivelata ingannevole, almeno rispetto all'uguaglianza, e una gran parte della mia ricerca gira intorno alle domande su cosa, in ultima analisi, non abbia funzionato in quella promessa." (L'autore)
Che cosa accomuna Leonardo da Vinci a X-Files, passando per H. P. Lovecraft, o Aristotele a Rabelais e a De André? La risposta si cela nelle pieghe di quella che Rudolf Wittkower chiamava «l'inesauribile storia dei mostri». Ma i mostri esistono realmente o sono solo proiezioni della nostra paura di non riconoscersi nell'altro? Quali caratteristiche dobbiamo attribuire ai viventi per definirli mostruosi? E come funziona la nascita di un mostro? Il libro ci propone un affascinante viaggio nelle vite di mostri famosi e sconosciuti, dove spesso non è il normale a determinare il mostro ma il contrario, in un gioco beffardo di specchi che si perde nella notte dei tempi. I mostri sono favole che servono a esorcizzare le nostre paure e ci fanno dono della nostra normalità.
Il 1968 è stato un anno spartiacque, segnato da molteplici eventi: dal Vietnam al Messico, dagli omicidi di Martin Luther King e di Bob Kennedy alle contestazioni studentesche. La rivoluzione è globale: a Roma, Parigi e Berlino centinaia di migliaia di persone manifestano nelle strade. A Città del Messico, il 3 ottobre, a piazza delle Tre Culture l'esercito spara sugli studenti uccidendone centinaia e ferendone migliaia. Il mondo dello sport non è da meno. Alle Olimpiadi messicane di quell'anno Bob Beamon salta 8,90 metri, Dick Fosbury rivoluziona il salto in alto, Tommie Smith nei 200 piani fissa sulla prima pista in tartan della storia il record del mondo a 19"85 e si fa immortalare sul podio insieme a John Carlos con il pugno guantato di nero, pagando a caro prezzo quel gesto. Ai Giochi stupiscono anche gli italiani: Giuseppe Gentile, Eddy Ottoz e Giacomo Crosa si fanno valere nell'atletica; Klaus Dibiasi stupisce il mondo nei tuffi. Questo libro di storia dello sport fa rivivere quell'anno e tutte le sue rivoluzioni. Prefazione di Italo Cucci e postfazione di Michele Maffei.
Combinando una prosa accessibile con un'analisi economica raffinata, Stiglitz e Greenwald spiegano perché è importante eliminare il divario di conoscenza, se si vuole ridurre il divario nello sviluppo. Da tempo si è riconosciuto che un miglioramento degli standard di vita deriva dai progressi nella tecnologia e non dall'accumulazione di capitale. Ciò che separa veramente i Paesi sviluppati dagli altri non è solo un divario nelle risorse o nella produzione ma un divario nella conoscenza. La velocità in base a cui i Paesi in via di sviluppo crescono è funzione della velocità con cui riescono a colmare tale divario. Gli autori illuminano il significato di questa intuizione per la teoria economica e le politiche di intervento necessarie. Ci spiegano perché la produzione di conoscenza differisce da quella degli altri beni e perché le economie di mercato generalmente non producono e trasmettono conoscenze in modo efficiente. Ridurre il divario delle conoscenze e aiutare tutti i Paesi ad allungare il passo sono elementi centrali per la crescita e lo sviluppo.
La maggior parte della gente crede che la domesticazione degli animali e la coltivazione abbiano alla fine permesso agli esseri umani di stabilirsi, formando villaggi, città e stati agrari, rendendo così possibile la civiltà, la legge, l'ordine pubblico e un modo di vivere presumibilmente sicuro. Tuttavia, le prove archeologiche e storiche mettono in discussione questa narrazione. I primi stati agrari nacquero da un accumulo di domesticazioni: prima del fuoco, poi delle piante, del bestiame, ma anche delle persone assoggettate allo stato, dei prigionieri e infine delle donne all'interno della famiglia patriarcale, tutti elementi che possono essere considerati un modo per ottenere il controllo sulla riproduzione. James C. Scott analizza il motivo per cui per un periodo l'uomo evitò la sedentarietà e l'agricoltura con l'aratro, sfruttando i vantaggi della sussistenza mobile; considera le epidemie di malattie imprevedibili derivate dalla concentrazione di piante, animali domestici, granaglie; e spiega perché tutti i primi stati si basarono su miglio, cereali e schiavismo. Affrontando infine il tema della vita al di fuori dello stato, la vita dei «barbari», spesso piú facile, libera e sana di quella all'interno della civiltà.
Il 7 giugno 2017 è entrato in vigore il "decreto vaccini" che ha reso obbligatorie dodici vaccinazioni per l'età pediatrica (poi ridotte a dieci), pena l'esclusione dagli asili e sanzioni pecuniarie per i genitori. Il decreto è stato emesso sull'onda dell'allarme seguito al calo delle vaccinazioni, di alcuni decessi causati dal morbillo e della crescente esposizione mediatica dei cosiddetti "no-vax". Ma l'allarme era giustificato in quelle proporzioni? Già prima del provvedimento, a non vaccinare i propri figli era una sparuta minoranza e le malattie più gravi contro cui ci si vaccina erano sparite nel nostro Paese. Intervenire estendendo e rinforzando l'obbligatorietà è stata la scelta giusta? E costringere i medici ad accettare senza condizioni il nuovo calendario vaccinale, anche con la minaccia della radiazione, ha giovato all'autorevolezza e all'indipendenza della professione sanitaria? Che cosa implicano, dal punto di vista etico e politico, queste imposizioni? Portando l'analisi dalla situazione italiana a quella internazionale dei mercati farmaceutici e della regolazione, gli autori denunciano la tendenza a ridurre la complessità e l'evoluzione delle conoscenze scientifiche a verità dogmatiche con cui dividere, discriminare e governare la società. Nel caso dei vaccini e della salute, come già in quello dell'economia e delle politiche contemporanee in generale, la presunta natura "tecnica" e "inevitabile" delle decisioni erode sempre più pericolosamente gli spazi della democrazia. Prefazione di Giancarlo Pizza.