In un paese senza nome retto da leggi crudeli - uomini costretti a dimostrare il proprio coraggio nuotando nel fiume che scorre sotto il paese, persone seppellite negli alberi - un adolescente si ritrova all'improvviso orfano. Solo, dovrà imparare a destreggiarsi e a proteggersi dalla diffidenza dei suoi concittadini in un mondo claustrofobico che non comprende e non accetta. Finché un giorno anche in lui, come nelle montagne incontaminate che circondano il paese, non si risveglierà la "primavera", ovvero l'amore. Interpretato spesso come un'allegoria della vita in un regime totalitario, "La morte e la primavera" è un romanzo sul potere, l'esilio e la speranza che in una società conformista germoglia anche dal più piccolo gesto d'indipendenza.
Questo libro nasce dall’ispirazione contenuta nel titolo stesso dell’opera. La necessità di ricercare tasselli della nostra cristianità smarrita, invita ad un’importante riflessione a riguardo: la cristianità, intesa come popolo, gruppo di uomini che hanno smarrito la strada del loro esistere perché si sono allontanati dai principi morali e dai fondamenti della prima fede in Cristo, e la cristianità intesa come personaggi, elementi, fatti ed accadimenti che, nel corso dei tempi sono stati occultati, modificati e volutamente smarriti. Oggi, siamo intrappolati in una crisi profonda globale. È dunque impellente un risveglio spirituale, attraverso il recupero del significato dei messaggi profetici, dei padri della chiesa, e di tutti coloro che hanno vissuto per Cristo. C’è urgente bisogno di Luce delle menti, per un cambiamento epocale della nostra società, affinché essa riparta dalle intatte radici di un Cristianesimo autentico.
Lasciamoci abbracciare dalle storie di questo speciale libro che, pagina dopo pagina, richiama, in modo singolare, insegnamenti antichi atti a sciogliere le ferite e le sofferenze di questa vita, fornendo un significato trasformativo a tutto ciò; ma, soprattutto, richiama la nostra presa di coscienza che la cristianità smarrita ha a che fare con noi, poiché noi, come persone, ci siamo smarrite nei secoli, nel mondo subdolo della materia. Noi, smarriti nel buio delle inquietudini e dell’inconscio, noi smarriti nell’indifferenza e nel distacco, noi smarriti, incapaci di osservare la Luce che ogni giorno sorge all’orizzonte per illuminare la vita!
Paola Bizarri, è nata a Bologna nel 1959 e vive a Grizzana Morandi (BO). Ha lavorato e studiato all’estero come operatrice turistica e, da trent’anni, è impegnata nel campo delle medicine naturali: insieme al marito farmacologo e alla sorella biologa, ha creato una particolare metodica terapeutica. Nel 1994 ha conseguito il diploma di “Heilpratiker” a Zurigo, frequentando, successivamente, altri corsi di specializzazione in bioenergetica, floriterapia, alchimia, astrologia psicologica, melotesia e PNEI. Tiene conferenze e corsi di formazione in tutta Italia. Il suo maggiore impegno, oggi, è quello di divulgare i messaggi dell’Arcangelo Michele e di Maria Maddalena, attraverso conferenze e percorsi spirituali mirati a tutti coloro che sono alla ricerca della Via dello Spirito. Pellegrina di Terra Santa e cittadina onoraria di Gerusalemme, con una pluriennale conoscenza ed esperienza dei Luoghi Santi, organizza da diversi anni particolari pellegrinaggi accompagnati dai frati francescani. Con le Edizioni Segno ha già pubblicato “Il giardino di Magdala” (2019).
Tutto comincia con un testamento. Al momento di spartire l'eredità fra i quattro figli, una coppia di anziani decide di lasciare le due case al mare alle due figlie minori, mentre Bård e Bergljot, il fratello e la sorella maggiori, vengono tagliati fuori. Se Bård vive questo gesto come un'ultima ingiustizia, Bergljot aveva già messo una croce sull'idea di una possibile eredità, avendo troncato i rapporti con la famiglia ventitré anni prima. Cosa spinge una donna a una scelta così crudele? Bård e Bergljot non hanno avuto la stessa infanzia delle loro sorelle. Bård e Bergljot condividono il più doloroso dei segreti. Il confronto attorno alla divisione dell'eredità sarà l'occasione per rompere il silenzio, per raccontare la storia che i familiari per anni hanno rifiutato di sentire. Per dividere con loro l'eredità - o il fardello - che hanno ricevuto dalla famiglia. Per dire l'indicibile.
Ciao, io sono Violetta, e con i miei amici del quartiere sto preparando una grande festa. Qui vivono famiglie molto diverse, ma c'è una cosa che ci rende simili: tutti ci vogliamo un mondo di bene e ci aiutiamo a vicenda! Vuoi unirti anche tu alla nostra festa? A proposito, non è che per caso hai visto dove si è cacciato Spazzola? Quel cane birichino ne combina sempre di tutti i colori! Età di lettura: da 5 anni,
Il Game è un territorio che abbiamo fondato, dove ci ritroviamo quando usiamo uno smartphone, scarichiamo una app o giochiamo a un videogame. Sembra un luogo divertente nel quale entrare e da cui uscire tutte le volte che vogliamo, ma le sue regole non sono così semplici. Per abitarlo senza paura e migliorarlo, lo navigheremo dagli anni della sua fondazione fino alle soglie del futuro. Scopriremo come lo abbiamo generato e ci prepareremo così alla prossima mossa. Siete pronti a partire?
Sorta di autobiografia collettiva, L'amore non basta racconta un'esistenza fuori dal comune. Don Luigi Ciotti è infatti un sacerdote che non si limita alla cura delle anime ma si batte per una maggiore giustizia sociale, per una società dove tutti, a partire dai più fragili, siano riconosciuti nella loro libertà e dignità di persone. Un sacerdote che vive il Vangelo senza dimenticare la Costituzione, le responsabilità e i doveri dell'essere cittadini. Una fede vissuta nello sforzo di saldare strada e dottrina, Terra e Cielo, dunque immersa nella storia degli esclusi e dei dimenticati: il povero e il tossicomane, il detenuto e il minore, la prostituta e il malato, l'immigrato e la vittima di mafia. Una fede come ricerca e non come rifugio. Don Luigi Ciotti parla di se stesso attraverso dubbi e inquietudini, restituendoci la sua vita come autentica incarnazione del "noi", perché costituita dalla miriade di incontri che l'hanno segnata e trasformata. Tuttavia, attraverso il lavoro del Gruppo Abele in soccorso degli ultimi e l'esperienza di Libera contro le mafie, racconta in controluce le vicende cruciali della recente storia del nostro Paese, ponendo al centro quei problemi che la classe politica non ha mai affrontato alla radice, a cominciare dalla mafia e dalla droga, a causa della corruzione, abusi di potere e calcolate negligenze. Complici l'indifferenza e l'inerzia di una massa acritica e consumatrice, piegata agli idoli del mercato.
L'opuscolo "I lontani" appartiene a una delle stagioni più feconde della riflessione di don Primo Mazzolari. È la seconda metà degli anni Trenta, quando si concentrano molte delle pagine del prete di Bozzolo dedicate alla Chiesa, al suo rapporto con il mondo e all'evangelizzazione. Dopo la bufera caduta su La più bella avventura, dove la figura del prodigo già lanciava il tema, e la condanna da parte del Sant'Uffizio (5 febbraio 1935), Mazzolari non si dà per vinto. Non è difficile immaginare che per lui sia in gioco un modello di Chiesa proprio a partire dallo sguardo sui lontani. È in questo contesto che trova luce il libretto, nato come articolo pubblicato sulla rivista Segni dei Tempi nel 1938 e poi divenuto un testo a sé, dedicato «alle anime sofferenti e audaci».
Due versetti di Paolo - 1Corinti 15,3 e Romani 3,25 - sono al centro di questa ricerca di storia delle idee. Se legati assieme, essi affermano che Gesù è morto per i peccati degli uomini e che la sua morte fu sacrificio espiatorio. Queste frasi vanno lette all'interno dell'intero corpus paolino, dove emerge anche un'altra cristologia, basata sul rapporto di contrapposizione tra il primo Adamo e l'ultimo Adamo, che si caratterizza per la sua obbedienza. In altri termini, con il metodo storico-critico la morte di Cristo non fu sacrificale, né in remissione dei peccati, mentre ciò si può affermare con il metodo tipologico. Poiché Paolo non utilizzerà mai più la frase di 1Corinti 15,3 e Romani 3,25 non è altro che una trasposizione del linguaggio del sacrificio del kippur sul sangue di Cristo, ne segue che questi è come il Propiziatorio, per la giustificazione di tutti gli uomini.
Solo in sedici versetti dei Vangeli Maria parla in modo esplicito. Si tratta in tutto di 154 parole greche (compresi gli articoli, i pronomi, le particelle) delle quali ben 102 occupate dall'inno del Magnificat. Se stiamo al dettato testuale, le frasi che Maria pronuncia sono sei: due all'annunciazione dell'angelo Gabriele; una più vasta nella visita ad Elisabetta; una nel tempio di Gerusalemme davanti al figlio dodicenne in compagnia dei dottori della Legge; due, infine a Cana durante le nozze. Eppure un altro episodio si aggiunge a questo elenco. Dal Golgota, Gesù morente interpella direttamente sua Madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Maria, in questo caso, tace, ma il suo è un silenzio eloquente, un «sì» muto ma efficace, la sua settima, estrema parola, tacita ma decisiva perché la introduce in una nuova maternità.
Tutti credono in qualcosa, a qualcuno, perché è impossibile vivere altrimenti. Eppure oggi sembra difficile proporre il «credere» oltre un superficiale ottimismo che non richiede autentiche adesioni o cambiamenti e un velato cinismo che riveste tutto di una nota di grigio. La fede del credente come la fede del non credente affrontano insieme questa nebbia, cercando una via che permetta la fiducia come assenso al mondo. Questi due modi di credere possono essere diversi sotto molti aspetti, ma accolgono e combattono la medesima sfida. Il monaco Enzo Bianchi e la filosofa Laura Boella non si sottraggono al confronto e cercano di mostrare come, al di là delle differenze, tutti possono e devono chiedersi quale fede, quale credito vogliono dare alla vita e all'amore. Introduzione di Andrea Decarli.
Nessuno può vivere senza avere una madre. Non solo nel senso che tutti veniamo da un grembo materno, ma ancor di più perché tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia spazio, che accetti di farsi scomodare da noi quel tanto che serve per avere un luogo dove stare. Si tratta di qualcosa di così fondamentale che si potrebbe addirittura dire il contrario: nessuno può vivere davvero senza essere una madre. Per avere una vita degna e ricca, tutti aspiriamo ad essere generativi nei molti modi, non solo biologici, che la vita ci offre. Imparare il gesto della madre è perciò un compito e una sfida per tutti. Una filosofa e un teologo riflettono su questo miracolo dell'esistenza, capace di sorprendere, spiazzare, dilatare i propri confini e di coinvolgere l'altro e il nuovo, di combattere la paura della morte e invitare a camminare nella vita. Introduzione di Lucia Rodler.
Con l'armistizio del settembre 1943 e il conseguente rovesciamento delle alleanze, i militari italiani si ritrovarono nemici degli ex alleati tedeschi. Salvo quelli, pochi, che accettarono di affiancarsi ai tedeschi e confluire nell'esercito della neonata repubblica di Salò, oltre mezzo milione di soldati italiani furono deportati in campi di concentramento nazisti. Nel libro, una completa e approfondita descrizione dell'esperienza di prigionia degli Imi, gli internati militari italiani in Germania: l'atteggiamento tedesco, le direttive per la loro gestione come forza lavoro nell'industria bellica, le condizioni materiali di vita e di lavoro, dalla caduta di Mussolini al rientro in patria dopo la fine della guerra.