Figlia della buona borghesia americana, educata nella stessa scuola di Jackie Kennedy, Mimi Alford ha diciannove anni quando ottiene un lavoro estivo all'ufficio stampa della Casa Bianca: "Tutti sembravano rifulgere della gioia di far parte di qualcosa di speciale. Quella sensazione s'impadronì in fretta anche di me". È il giugno del 1962, nello Studio Ovale siede l'uomo che ha incarnato il mito dell'America liberal, icona dell'eterna giovinezza e celebre seduttore: John Fitzgerald Kennedy. Una nuotata in piscina, un cocktail di troppo, e JFK seduce la sua impiegata, vergine, inesperta e inebriata dalle sue attenzioni. Alla prima volta nella camera di Jackie ne seguono molte altre: anche dopo la fine del suo stage, tornata al college, Mimi comincia una doppia vita fatta di telefonate clandestine e improvvise convocazioni a Washington o richieste di accompagnare l'amante nei suoi viaggi. Non si fa illusioni ma avverte di essere, in qualche modo, necessaria a quest'uomo difficile, distaccato, potentissimo. Nei diciotto mesi della loro relazione ha la possibilità di conoscerne lati nascosti: la sua dipendenza dal sesso, certo, ma anche l'amore incondizionato per i figli, la paura della solitudine, l'ambizione smisurata. Poi, il 22 novembre 1963, davanti a un televisore, Mimi condivide con la Nazione intera il trauma dell'attentato di Dallas: la favola di Camelot finisce, all'improvviso e per sempre
Alzare gli occhi al cielo e osservare le stelle, interrogarsi sulla materia, il tempo e lo spazio, indagare il cosmo e il suo mistero - insomma, parlare con Margherita Hack - non è solo intrattenersi in un'amabile conversazione sull'astronomia ma, soprattutto, ricollocare la nostra posizione nel mondo: non solo in senso fisico, ma anche in rapporto al ruolo dell'uomo nell'universo. Tutto ciò significa, pertanto, osare un'interpretazione ulteriore per compiere qualche passo in più nella nostra dimensione umana. Una dimensione che - come si leggerà in questo volume - ha una relazione talmente diretta con la finitezza e il dato materiale di cui slamo tutti composti, da costringerci a una vera e propria opera di modestia: presupposto per affacciarci al "conosci te stesso" di socratica memoria con qualche elemento di presunzione in meno e, forse, un po' di consapevolezza in più.
Federico II di Svevia è stato sempre considerato uno dei personaggi più affascinanti della storia europea e uno dei principi medioevali che ancor oggi suscitano ammirazione.
Al di là della sua grandezza come precursore dello Stato moderno, Federico II fu celebre per il suo interesse per la cultura e per la natura. Dalla corte siciliana, infatti, nacque la poesia in lingua volgare, riconosciuta da Dante come un fenomeno di eccezionale portata. Pur fra i disagi della guerra, l'Imperatore svevo non dimenticò mai di coltivare i suoi interessi relativi alla scienza, alla poesia, all'astrologia, alla filosofia, alle religioni e alle leggi del buon governo.
Lo hanno chiamato "Stupor Mundi", lo stupore del mondo. Stupefacente, infatti, fu la pace con l?islam, da lui voluta nel 1229, dopo il sistematico rifiuto delle crociate. Per la sua tolleranza nei confronti dei musulmani Federico subì molte scomuniche papali, ma dimostrò che con l'Islam la pace era possibile.
Chi non ricorda le Lezioni americane di Italo Calvino? Chi non ricorda i suoi richiami alla chiarezza, alla leggerezza, alla rapidità, all'esattezza, alla visibilità, alla molteplicità? In un certo senso, le riflessioni di Furio Colombo contenute in questo libro sono le sue lezioni americane: una composta lectio di intelligenza dell'Italia attraverso lo spettro dell'esempio americano. Furio Colombo fa parte di quella borghesia illuminata che ciascuno vorrebbe tirare per la giacchetta, ma ognuno avverte inalienabile alle proprie categorie. Il suo percorso procede all'insegna di un marchio torinese che ne fa un maitre à penser difficilmente riconducibile a una specifica area ideologica e altrettanto poco indicabile come pensatore trasversale. Nessuna trasversalità, infatti, nel suo rivestire incarichi di volta in volta vicini all'area liberale di un Sartori o di un Montanelli oppure, viceversa, al centrosinistra di matrice antiberlusconiana. Piuttosto una linearità intesa a tener fermi i paletti di quella che qui chiamiamo, senza indugi - poiché a questo allude, in definitiva, la sua lectio - civiltà.
L'incontro con certi autori e con le loro opere assiduamente interpellate talora segna il passo dell'itinerario intellettuale di un grande pensatore. E, come in un circolo ermeneutico, accostandosi alle sue letture si svelano lati inediti dei suoi stessi interlocutori. È quanto accade nel Goethe di Schweitzer, qui tratteggiato in cinque saggi a lui dedicati. Come in una cartina di tornasole, secondo il curatore si riflette in questi testi un "nuovo umanesimo" comune ai due pensatori, che si declina quale appello alla vita unito a una profonda istanza morale, di giustizia. Un'attenzione al senso profondo dell'umanità elaborata da Schweitzer in contrappunto alla massificazione dell'uomo nel Ventesimo secolo, e traducibile in una "filosofia elementare" che "muove dagli interrogativi fondamentali del rapporto dell'uomo col mondo, del senso della vita e dell'essenza del bene". Con essa si rimette in gioco anche il significato di "natura" in Goethe, intesa non come ostacolo all'attività del pensiero, quanto piuttosto vincolo di quest'ultimo all'agire pratico.
Due amici: Alberto (Moravia), un ex bambino prodigio che fin da giovane ha dato un contributo fondamentale alla storia della letteratura europea, e il giovane narratore A. Insieme hanno scritto un libro a quattro mani in cui A. interroga Alberto sulla sua vita. Dopo questa esperienza le interviste sono diventate per A. un modo di vivere e di avere rapporti umani parallelo al suo lavoro di scrittore. Dopo l'inattesa scomparsa di Alberto, vissuta come un tradimento, A. incontrerà per caso Indro (Montanelli), maestro incontrastato del giornalismo che si pone per lui come un nuovo punto di riferimento assoluto. Sul confronto tra questi due grandi personaggi si gioca il destino psicologico e morale di A.
La linea di fondocampo è il posto più dimenticato del tennis. Lì posso dire e fare di tutto: il mondo mi guarda, ma nessuno mi raggiunge." Il tennis è lo sport più individuale di tutti e chi vuole emergere deve diventare una macchina fredda, egoista, sola contro il resto del mondo. Bisogna avere costanza nell'allenarsi, sapere rinunciare alle tentazioni, girare il mondo come una trottola, sopportare che chiunque si senta in diritto di esprimere giudizi su di te, anche a sproposito. E una vita di cui si vedono solo le luci, che invece ha anche moltissime ombre. Flavia Pennetta è una delle migliori tenniste del circuito, ma è rimasta una ragazza semplice, allegra, con una gran voglia di vivere. La prima professionista italiana a entrare nella top ten, la numero uno del doppio, con tre Fed Cup vinte, non ha mai smarrito la coscienza di sé e delle sue origini. In "Dritto al cuore" la Pennetta racconta la sua favola sportiva e personale. E la storia di una ragazzina che nasce in una bella famiglia del Sud con il tennis nel sangue, di un'adolescente che si diverte a fare il maschiaccio ma è molto sensibile all'amore, di un'aspirante tennista alta quanto la rete che affronta l'età del cambiamento lontana da casa, di una giocatrice che combatte su ogni palla e raggiunge i suoi obiettivi, di una donna che vuole vincere tutto, nello sport e nella vita privata. E che oggi si ritrova a un solo punto dal match.
"Chi si metterà a leggere queste pagine, forse sarà un po' spiazzato, almeno all'inizio. Forse non ritroverà subito la Barbara d'Urso che è abituato a conoscere dalla televisione e dai giornali. Imparerà invece a conoscere Carmelita, la bambina che ero, l'adolescente che sono stata, e poi la giovane donna che ha imparato a mordere la vita, a cadere, a rialzarsi, a fallire, a vincere. Quando ho cominciato a scrivere questo libro, non avevo idea di quello che mi aspettava. Un libro su di me. Che non fosse, però, la mia autobiografia. Che ci vuole, mi sono detta? Ci vuole molto, moltissimo dolore. Per me tutto questo è stato importante, ma difficilissimo. Talmente difficile da dover chiedere un aiuto, un grande aiuto, all'unica persona che poteva darmelo: mia madre, la mia adorata mamma, che mi ha lasciata quando avevo solo undici anni, dopo una malattia devastante durata più di tre anni. Ho chiesto aiuto a lei, cui mi rivolgo in una lunga lettera appassionata e dolorosa, a tratti, divertita e allegra, in altri." Barbara d'Urso non si era mai messa così tanto in gioco. Questo libro commovente e intenso porta alla luce le sue ferite più intime, i suoi dolori più segreti. Ma mai la sofferenza è fine a se stessa: in ogni pagina, anche la più tragica, passa una vena di forza, la spinta a reagire, a tirare su la testa, a guardarsi intorno e poi dentro di sé, e a sorridere. A tenere sempre viva la speranza che qualunque cosa accada, alla fine poi esce sempre il sole.
"Mario Mori, generale dei Carabinieri. All'opinione pubblica il mio nome probabilmente dirà qualcosa. Evocherà dei ricordi, vicende per certi aspetti anche spiacevoli di cui si è molto scritto sui giornali e parlato nelle aule giudiziarie. La mia, però, è una storia lunga. Da raccontare. E quella di un militare e dei suoi uomini che hanno combattuto per quarantanni terrorismo e mafia. Nei reparti d'eccellenza dell'Arma. E ai vertici dell'intelligence, quei Servizi segreti in Italia sempre così chiacchierati." Scritta con Giovanni Fasanella, questa è la straordinaria storia "professionale" di un uomo che è stato al centro di tutti i grandi eventi italiani. Ufficiale del controspionaggio al SID, il Servizio segreto militare nei primi anni Settanta, nei nuclei speciali comandati dal generale Dalla Chiesa dopo il delitto Moro, comandante della sezione Anticrimine a Roma durante gli anni di piombo, Mori è stato uno dei protagonisti della lotta al terrorismo. A metà degli anni Ottanta è a Palermo, con Falcone e Borsellino, a combattere la mafia; nel 1998 diventa comandante del ROS, il reparto speciale dei Carabinieri, che aveva contribuito a creare. Uscito dall'Arma, dirigerà infine il sisde, il Servizio segreto italiano, che ritrova un ruolo decisivo per la sicurezza nazionale dopo i fatti dell'll settembre. Nel corso della sua lunga carriera ha combattuto il terrorismo, arrestato Riina, messo a punto nuove tecniche d'investigazione, gestito infiltrati, ascoltato pentiti."
Ai più giovani il nome Feltrinelli evoca anzitutto una catena di librerie e poi la casa editrice che pubblica libri di successo, soprattutto di narrativa. Per le generazioni meno giovani il nome è associato ad alcuni grandi casi editoriali, come "Il Gattopardo" o "Il dottor Zivago", nonché a un drammatico evento storico, la morte del fondatore della casa editrice, Giangiacomo Feltrinelli, nel 1972. Questo libro non si occupa di quella Feltrinelli e accenna appena a Giangiacomo. Si arresta infatti alla Seconda guerra mondiale, quando la famiglia Feltrinelli era considerata una delle più importanti del capitalismo italiano, a fianco degli Agnelli, Pirelli, Volpi, Orlando, Breda, Falck, Cantoni, Donegani: grandi famiglie che avevano legato il proprio nome alla nascita di una nuova Italia, che avevano saputo trasformare, in poco più di un paio di generazioni, un paese fondamentalmente agricolo in una moderna nazione industriale. Quando molti dei nomi più altisonanti del nascente capitalismo industriale italiano muovevano i primi passi sulla scena economica del paese, i Feltrinelli avevano già alle spalle quaranta o cinquant'anni di storia, costellati di successi e iniziative in diversi settori economici. Frutto di una ricerca condotta in vari paesi europei e in una trentina di archivi, primo fra tutti quello della famiglia, questo libro illustra la storia di tre generazioni di Feltrinelli e delle attività economiche che hanno consentito loro di raggiungere le vette del capitalismo italiano ed europeo.
Tullio Pericoli è uno dei maggiori artisti italiani. La sua storia è densa e variegata, il suo tratto essenziale ed elegante. L'arrivo a Milano, nel 1961 in tasca ha un'affettuosa lettera di Zavattini - inaugura una stagione fortunata. I disegni per "Il Giorno", poi per "Linus", "la Repubblica", "L'Espresso", il lungo e fecondo sodalizio con Emanuele Pirella, rivelano anno dopo anno un talento particolare, sempre sorretto da un'ironia fresca, che si afferma con forza anche all'estero. La pittura, il vero amore di una vita, si dispiega poi sulle tele, e protagonisti diventano i paesaggi conosciuti all'inizio e poi amati per sempre, ammirati e trasformati nei colori, densi di sinuosità e stupori. Con divertita complicità, Silvia Ballestra ce ne racconta la vita, la complessità di artista, la condizione di intellettuale, fra incontri importanti, suggestioni letterarie, rievocazioni, confessioni, analisi, scegliendo - con sensibilità di scrittrice a lui vicina per origine e inclinazione - di ripercorrerne i molteplici passaggi e snodi con, sullo sfondo, la Milano dell'industria culturale dal boom sino a oggi. Un viaggio che la scrittrice, con la sua inconfondibile voce, compie dentro e fuori lo studio di Tullio Pericoli, fra i tavoli magici e i ritratti di scrittori celebri in tutto il mondo, spaziando dalle pagine di giornale alle gallerie d'arte, ai colli ascolani, accompagnata dai ricordi del protagonista.
Che Sergio Zavoli raccontasse la sua vita, attraversata da protagonista negli anni più felici della radio e della televisione, oltre che con le prove del suo talento di scrittore e poeta, lo si chiedeva da tempo. Ed ecco un libro che, in un gioco di continui rimandi temporali, tematici e psicologici, unisce alla tensione del racconto la saldezza dello stile e alla versatilità della narrazione il puntiglio del documento, confermando, così, estro e rigore. Già il titolo rivela non solo un legame, ma addirittura una sorta di contiguità tra gli anni dell'adolescenza, della giovinezza e della maturità con il momento in cui l'autore si decide "a rastrellare dentro se stesso", per dirla con le sue parole, "il ragazzo che io fui": un rincorrersi, edito e inedito, di memoria e Storia, l'alternarsi di questioni rare e quotidiane, di argomenti concreti e interiori, di tonalità elegiache, ironiche, dure, tutto segnato dai dilemmi di una contemporaneità splendida e tragica, che si misura con l'arcano privilegio di esservi nati e il grave obbligo di viverla. Ne è emerso un lungo capitolo della nostra vita, ricostruito e indagato attraverso "una ricchezza ispirata dall'immaginazione autenticata dalla realtà", così si espresse Carlo Bo, aggiungendo: "È evidente - in tanta parte di ciò che questo "maestro di scenari e interrogazioni" scrive, mostra e dice - il disegno di tenere dentro il quadrato della lucentezza, anche espressiva e stilistica...".