Il giornalismo è morto? E, se è vivo, può essere ancora chiamato giornalismo? Uno dei nostri più bravi inviati in zone di guerra si interroga sul mestiere di dare notizie in questo tempo così veloce e spesso superficiale. Una professione che non solo cambia pelle, ma sta perdendo il suo senso e forse anche la sua etica. In una riflessione maturata a partire dall'esperienza personale Domenico Quirico svela senza sconti le cadute, le scorciatoie, il pressappochismo e a volte il cinismo che caratterizzano un settore sempre più alla rincorsa affannata dei lettori e sempre meno attento al racconto partecipe della realtà. Ecco allora il giornalismo del 'sentito dire', chiuso in redazione o anche nella finzione dorata degli 'alberghi dei giornalisti', vicini ma in realtà lontanissimi dalle zone d'azione. Un giornalismo fatto di collage di flash d'agenzia, notizie rintracciate su internet, articoli altrui scovati negli archivi. Un giornalismo travolto dall'immediatezza della rete e freddo, che si nasconde dietro le regole della neutralità. Invece, un altro modo di raccontare il presente è possibile, soprattutto il presente delle guerre, delle vittime, l'orrore, l'abbandono, scoprendovi squarci di umanità e anche di amore. Si tratta, dice Quirico, di 'tuffarsi nel pozzo', di annullare le distanze, di raccogliere su di sé l'odore terribile e vero della vita che, portato in superficie, diventerà racconto e storia, testimonianza che rimane e fa riflettere, muovere e commuovere.
Il primo libro al mondo che ci racconta le conseguenze future della nostra vita digitale. Se Internet, Facebook, Twitter, WhatsApp e i social network hanno completamente trasformato la vita, il modo di comunicare, le relazioni e gli affetti delle persone, perché non dovrebbero fare lo stesso con l'idea di morte, di immortalità, di lutto e di ricordo? Lo hanno già fatto, in realtà, come dimostrano la nostra quotidianità digitale e le ultime notizie tecnologiche: i profili commemorativi si alternano nelle nostre home ai profili attivi, mentre ci rifiutiamo di cancellare i contatti di persone care, e li custodiamo nelle rubriche dei telefoni; intanto, le manifestazioni di lutto collettivo virtuale diventano di celebrità in celebrità sempre più partecipate, spuntano i primi funerali trasmessi in streaming e si testano le prime chat che permettono di dialogare in tempo reale con amici morti. Superando la più sfrenata fantasia romanzesca, la tecnologia si è ormai spinta fino a quelle zone tradizionalmente considerate le più private e intime dell'esistenza umana, le più lontane dal caos e dall'informalità del web, dal chiasso dei social network. Cosa resterà, allora, della nostra vita online? Che fine faranno tutti i nostri dati - e-mail, tweet, status, fotografie e video - dopo la nostra morte? Rimarranno in cloud per sempre, intatti ed eterei, o si potrà ancora aspirare a un oblio delle informazioni? Che forme prenderà, in definitiva, la nostra eredità digitale? Da sempre attento agli aspetti più controversi della società dell'informazione, esperto di criminalità informatica e investigazioni digitali, Giovanni Ziccardi si inoltra senza timori nell'intricato rapporto tra morte e vita nel ciberspazio, tra diritto all'oblio e minacce (o desideri) d'immortalità tecnologica.
Perché online facciamo cose che non faremmo mai in altre circostanze e delle quali potremmo finire per pentirci? Quali sono le motivazioni che spingono a stringere legami di amicizia e anche d'amore in rete? A queste e ad altre domande risponde Patricia Wallace, indagando le questioni cruciali relative agli effetti di Internet sul comportamento umano, per esempio i motivi per cui agiamo in modo inusuale negli ambienti online e i modi nei quali i social media influenzano le nostre impressioni e le nostre relazioni personali. Attingendo agli ultimi risultati della ricerca, questa nuova edizione analizza le tendenze che si vanno affermando nell'uso della rete. Tre capitoli inediti hanno come tema lo sviluppo infantile, i giochi online, la privacy e la sorveglianza, e tra i nuovi argomenti emergono gli attacchi online, le dinamiche di gruppo, le proprietà della rete che creano dipendenza, le strategie per delineare il futuro di Internet.
C'è una crisi di fiducia nei confronti della politica che attraversa il mondo occidentale. La rabbia e l'insoddisfazione per i partiti convenzionali e i loro leader aumentano di giorno in giorno. Il populismo e l'antipolitica trionfano sulla democrazia. Perché? Perché il nostro linguaggio è cambiato. Mark Thompson ha passato trent'anni alla Bbc, diventandone il direttore generale, per poi essere scelto come amministratore delegato del "New York Times": è, dunque, uno dei più titolati osservatori a livello mondiale dei media, della politica, della società ma, pur avendo un ruolo di primissimo piano nella sfera pubblica, non aveva mai scritto un libro. Ora ha deciso che è tempo di parlare di un argomento fondamentale per la democrazia occidentale: il cambiamento che ha investito la lingua del dibattito pubblico. In un mondo dell'informazione sempre più sconvolto dalle tecnologie digitali, in cui le notizie si rincorrono incessantemente e hanno una vita sempre più breve, i commenti sono sempre più a caldo e privi di approfondimento, chiunque possieda un cellulare dice la sua sui social network su qualsiasi argomento e la politica sembra incapace di affrontare i veri problemi del mondo, come si fa ad avere un luogo in cui discutere seriamente dei temi importanti, prendere decisioni in modo ponderato e condiviso, formare un'opinione pubblica? Nato da un ciclo di lezioni tenute a Oxford sulla retorica e nutrito di fatti, esperienze e dettagli di una vita passata al vertice assoluto dell'informazione mondiale, "La fine del dibattito pubblico" rappresenta un contributo di riflessione fondamentale sul mondo di oggi, uno sguardo acuto sull'erosione del linguaggio della sfera pubblica da parte di chi può misurarne le conseguenze.
Chi è davvero Vittorio Feltri, in assoluto il direttore che negli ultimi anni ha fatto più parlare di sé? In che modo riuscì a raddoppiare le vendite del "Giornale" dopo che Indro Montanelli l'aveva lasciato nel 1994? E perché trascorsi tre anni se ne andò a sua volta sbattendo la porta? Qual è il motivo per cui nel 2009 vi è ritornato? Ha applicato una ricetta segreta per salvare testate in crisi, come "L'Europeo" e "L'Indipendente", o per imporne di nuove in edicola, come "Libero"? C'era un unico modo per rispondere a questi e a molti altri interrogativi: costringerlo a raccontarsi nel suo stile scabro e privo di infingimenti. È quanto ha cercato di fare Stefano Lorenzetto, che di Feltri è stato vicedirettore vicario al "Giornale". Ne è uscito un dialogo serrato, ricco di particolari inediti, in cui il giornalista svela i retroscena delle sue campagne di stampa (da Affittopoli ai casi Boffo e Fini-Tulliani), narra splendori e miserie del "Corriere della Sera", distilla giudizi su politici e colleghi, parla dei giornalisti che ha amato di più (da Nino Nutrizio, che lo assunse alla "Notte", a Oriana Fallaci, che una notte si fece viva con lui dall'aldilà). E soprattutto si mette a nudo, svelando i suoi dubbi, i suoi tormenti, le sue idiosincrasie, i suoi affetti privati.
Dai retroscena sulla prima 'arma digitale' usata da hacker al soldo dei governi per sabotare un impianto industriale ai ricercatori di cyber-sicurezza finiti al centro di intrighi internazionali degni di James Bond; dai virus informatici usati per le estorsioni di massa fino al mercato sotterraneo dei dati personali degli utenti. "Guerre di Rete" racconta come Internet stia diventando sempre di più un luogo nel quale governi, agenzie, broker di attacchi informatici e cyber-criminali ora si contrappongono, ora si rimescolano in uno sfuggente gioco delle parti. A farne le spese sono soprattutto gli utenti normali - anche quelli che dicono « non ho nulla da nascondere» =, carne da cannone di un crescente scenario di (in)sicurezza informatica dove ai primi virus artigianali si sono sostituite articolate filiere cyber-criminali in continua ricerca di modelli di business e vittime da spolpare. In questo contesto emergono costantemente nuove domande. La crittografia è davvero un problema per l'antiterrorismo? Quali sono le frontiere della sorveglianza statale? Esiste davvero una contrapposizione tra privacy e sicurezza? Carola Frediani scava in alcune delle storie più significative di questo mondo nascosto, intervistando ricercatori, attivisti, hacker, cyber-criminali, incontrandoli nei loro raduni fisici e nelle loro chat.
II Triangolo delle Bermude, le teste di Modigliani, lo yeti; e ancora le catene di Sant'Antonio, i coccodrilli nelle fogne ... Sono tutte «bufale», storie, leggende, miti, creati e tramandati per ingannarci. Valutare queste informazioni non è facile: perché «Me le ha raccontate un amico» e «Se tutti le conoscono, non possono essere false!». Invece lo sono e saperle smascherare è fondamentale, perché non sono mai innocue Siete pronti a intraprendere un viaggio nel tempo e nello spazio? Ce ne sono di storiche, artistiche, linguistiche, mediatiche, geografiche, letterarie, perfino «paranormali». Nella prima parte del libro, le autrici esaminano le più note e curiose: come sono nate e diffuse, perché sono fasulle. Nella seconda, invitano insegnanti e ragazzi a scendere in campo e a diventare veri cacciatori di bufale, fornendo tutti gli strumenti e le spiegazioni per riconoscere le più famose e ricrearle con gli amici e i compagni di classe in esperimenti divertentissimi, a casa e a scuola: dai cerchi nel grano alle uova mummificate, dalle fate ritoccate alle predizioni astrologiche.
«L'avanzata della comunicazione digitale (cellulari, tablet, smartphone...) è inarrestabile, ormai l'invasione digitale è un dato di fatto. E per i nostri ragazzi una vita senza quelle appendici elettroniche non è vita. Questo il tema serio su cui ragioneremo nel nostro breve lavoro. Nella prima parte vedremo gli indubbi vantaggi di cui siamo debitori alla comunicazione digitale. Nella seconda parte andremo alla scoperta delle principali insidie anti-uomo nascoste in essa. Nella terza parte offriremo una serie di proposte operative per proteggerci da tali insidie e valorizzare la preziosa invenzione del linguaggio digitale ai fini della nostra sempre maggiore umanizzazione.» (dall'Introduzione)
Le nostre vite sono fatte di relazioni con gli altri: in famiglia, al lavoro, al bar, in palestra. È quindi essenziale comunicare bene con chi ci sta attorno per capire e farsi capire. Ma come migliorare la qualità dei nostri rapporti con gli altri? Quali sono le trappole e i segreti della comunicazione nella vita di ogni giorno? Esistono delle ricette per instaurare dei buoni rapporti umani? Giuseppe Falco risponde a questi interrogativi e fornisce degli strumenti semplici e immediatamente applicabili nella vita quotidiana per migliorare la qualità delle relazioni. Si tratta di abilità come: comunicare meglio con sé stessi, comprendere a fondo gli altri anche negli aspetti non verbali del comportamento, esprimere in modo chiaro e rispettoso il proprio punto di vista e saper risolvere o almeno gestire gli inevitabili conflitti interpersonali.
Crisi delle ideologie, crisi dei partiti, individualismo sfrenato... Questo è l'ambiente - ben noto - in cui ci muoviamo: una società liquida, dove non sempre è facile trovare una stella polare (anche se è facile trovare tante stelle e stellette). Di questa società troviamo qui i volti più familiari: le maschere della politica, le ossessioni mediatiche di visibilità che tutti (o quasi) sembriamo condividere, la vita simbiotica coi nostri telefonini, la mala educazione. E naturalmente molto altro, che Umberto Eco ha raccontato regolarmente nelle sue Bustine di Minerva. È una società, la società liquida, in cui il non senso sembra talora prendere il sopravvento sulla razionalità, con irripetibili effetti comici certo, ma con conseguenze non propriamente rassicuranti. Confusione, sconnessione, profluvi di parole, spesso troppo tangenti ai luoghi comuni. "Pape Satàn, pape Satàn aleppe", diceva Dante nell'"Inferno"(VII, 1), tra meraviglia, dolore, ira, minaccia, e forse ironia.
Il fenomeno del cyberbullismo è in costante aumento, ma la causa di questo tipo di azioni scorrette e nocive va spesso ricercata all'esterno del cyberspazio, attraverso un paziente lavoro di ascolto del singolo e di attenzione all'ambiente circostante. Adolescenti digitali non si limita a fornire una semplice casistica o delle regolette buone per ogni occasione, ma traccia invece un percorso che offre al formatore o al genitore una griglia per modulare in maniera più consapevole i propri interventi formativi. Tale percorso si snoda attraverso quattro fasi: ascolto, simbolizzazione, riappropriazione e fase autonormante. L'obiettivo è fornire a genitori e formatori gli strumenti adatti a intervenire in prima persona, senza - ove possibile - l'aiuto di figure esterne, e permettere loro di condurre i ragazzi a individuare autonomamente delle strategie d'uscita.
La capacità di parlare in pubblico è un'arte antica quanto il linguaggio. Uomini e donne si riunivano intorno al fuoco per ascoltare storie che sapessero farli viaggiare nel tempo e nello spazio. I bravi narratori riuscivano a creare immagini, suscitare speranze, ispirare sogni nella mente di chi li ascoltava. Dal piccolo accampamento iniziale all'iperconnesso mondo contemporaneo, il potere dell'oralità è cresciuto a dismisura, così come la responsabilità di chi sale su un palco e condivide le proprie idee. E la «condivisione delle idee per il bene di tutti» è la missione che il TED si è dato. Nato negli anni Ottanta come programma annuale di conferenze inerenti tecnologia, intrattenimento e design (TED è l'acronimo di Technology, Entertainment, Design), sotto la guida di Chris Anderson, che dal 2001 ne è il curatore, il TED è diventato un'organizzazione mediática dedicata alla diffusione delle idee a livello globale. Con la messa online dei video delle sue conferenze, a partire dal 2006, le TED Conference raggiungono oggi il miliardo di visualizzazioni ogni anno. Fedele alla filosofia del TED, con questo manuale Anderson vuole condividere con il mondo l'idea che più gli sta a cuore: il modo migliore per veicolare le idee. E lo fa non solo svelando i trucchi per diventare eccellenti oratori - provare il discorso all'infinito, suscitare empatia, indossare gli abiti giusti - ma proponendo una nuova concezione del parlare in pubblico. Perché non esiste un unico «modello TED Talk» a cui ispirarsi: ogni oratore è unico, e così ogni discorso. Ma chi prende la parola deve imporsi di essere solo uno strumento: deve mettere in secondo piano l'atavica paura di una figuraccia, e lasciare che a salire sul palco sia un'idea in grado di essere d'ispirazione agli altri. Che si tratti di un ragazzino keniota che ha inventato un modo per tenere i leoni lontani dalla fattoria dei genitori, o l'istrionico Sir Ken Robinson che taccia il moderno sistema scolastico di uccidere la creatività nei bambini, oppure Monica Lewinskv che racconta il suo lungo percorso per riuscire a superare il trauma della vergogna, non è il «chi» ciò che conta, ma il «cosa». E, naturalmente, il «come».