Il compito di ogni uomo e donna sulla terra è quello di imparare a resistere alla grande tentazione di trasformare l'intera esistenza in una fossa di macerazione nella rabbia e nel rammarico. Nessun dolore e nessuna sofferenza sono per se stesse un inferno, per quanto le pene e le angosce lo facciano talora sentire e pensare, ma il rammarico lo è, il suo «verme non muore». Il libro di Giobbe è un vero compagno di viaggio per quanti sono toccati e, talora, segnati a fuoco dal mistero del dolore. Egli ha dovuto - e forse persino voluto - affrontare l'enigma del dolore sulla propria pelle. Sin dall'alba dei tempi, la sua figura si fa per noi insostituibile compagnia dei giorni, più spesso delle notti, rischiarate dall'unica luce del tenebroso dubbio in cui confluiscono tutte le nostre più sofferte domande. In questa rilettura epistolare del libro di Giobbe, Fratel MichaelDavide offre una meditazione che regala lucidità e serenità, per superare la rassegnazione e la rabbia che la sofferenza spesso porta con sé. Una delicata e profonda riflessione sull'arte di vivere (e di morire) che prende le mosse da una constatazione tanto semplice quanto rassicurante: Giobbe è nostro amico e possiamo parlare a cuore aperto con lui.
Le istituzioni di un popolo sono le forme di vita sociale che esso segue per abitudine, si dà con libera scelta o riceve da un’autorità. Esse sono intimamente legate non solo all’habitat in cui esso vive, ma anche alla sua storia. Per essere ben comprese, le istituzioni d’Israele devono venir confrontate con quelle dei popoli vicini, soprattutto della Mesopotamia, dell’Egitto e dell’Asia minore, di cui conserviamo una documentazione molto abbondante, ma anche, nonostante la scarsezza della nostra informazione, con quelle dei piccoli Stati della Siria e della Palestina, tra i quali Israele si è conquistato un territorio o che sono sorti nello stesso suo tempo e coi quali ha avuto contatti d’ogni genere. La presente opera offre soltanto le conclusioni di tutte queste ricerche. A modo d’introduzione e a causa delle loro tenaci sopravvivenze, essa espone innanzitutto i costumi nomadi e l’organizzazione delle tribù. Segue lo studio delle istituzioni familiari, civili e politiche e successivamente quello delle istituzioni militari e religiose. Il titolo dell’opera limita il suo argomento all’Antico Testamento; se si è citato talvolta il Nuovo, lo si è fatto solo a modo di aggiunta o per chiarimento. Nello studio dell’Antico Testamento stesso, le istituzioni occupano una posizione subordinata e il lettore potrà talvolta sentirsi assai lontano dal messaggio spirituale e dottrinale ch’egli cerca nella Bibbia. Tuttavia lo sfiora sempre e spesso lo tocca immediatamente. I costumi familiari, i riti funebri, lo statuto degli stranieri o degli schiavi, le concezioni sulla persona e sulla funzione del re, i rapporti stabiliti tra la legge, anche profana, e l’Alleanza con Dio, il modo di fare la guerra, tutto ciò porta il riflesso delle idee religiose e queste trovano nel culto e nella liturgia la loro espressione cosciente.
San Giuseppe è il più santo dei santi, tanto che san Gregorio nazianzeno (330-390) scrive: "il Signore ha riunito in Giuseppe come nel sole, tutta la luce e lo splendore degli altri santi tutti insieme". I testi apocrifi, raccolti, ci aiutano a comprendere meglio l'ambiente del primo cristianesimo e a collocare la vita di Giuseppe nel contesto della Galilea di I secolo, mettendo in luce l'umanità di un uomo che per volere di Dio è stato chiamato a prendersi cura di suo Figlio. L'apocrifo Storia di Giuseppe falegname del II-III secolo è l'unico scritto che parla della vita e della morte di Giuseppe, una pietra preziosa che arricchisce la corona dell'Incarnazione. In agonia Giuseppe, confortato da Gesù e Maria, fa la sua professione di fede: "O Gesù nazareno, Gesù mio consolatore, Gesù liberatore della mia anima. Gesù mio protettore. Gesù, nome soavissimo sulla mia bocca e su quella di tutti coloro che lo amano. Nella storia della devozione san Giuseppe è invocato come il Patrono della Chiesa universale e protettore dei poveri, esuli, dei padri e degli sposi.
La fonte delle gesta narrate è senz’altro il Libro della Genesi, ma il narratore nel raccontare fa leva sulla fantasia e perciò –come si esprime Origene– il racconto biblico è espresso in forma favolistica. Le verità della Sacra Scrittura vengono così comunicate nella forma più semplice e più gradita soprattutto ai fanciulli.
I midrashîm raccontano le meraviglie che Dio ha operato in favore del suo popolo Israele. Naturalmente il racconto segue il testo sacro però lo amplia, arricchendolo di sapienti osservazioni e illustrandolo con similitudini, paragoni e parabole.
Questa antologia ha un immenso valore pedagogico, perciò la raccomandiamo caldamente a genitori e maestri.
Lo stile di Isaia indulge spesso al paradosso, all'ironia, all'ambiguità. È uno stile oscuro, che può condannare il destinatario antico e moderno all'incomprensione e all'indurimento (cf. Is 6,10 e 29,9-12). Integrando attenzioni sincroniche e diacroniche, il presente studio indaga tale aspetto sinuoso della lingua isaiana, esplorandone le concrete forme espressive, nonché l'impatto che esse ebbero sulla tradizione posteriore, cristallizzata nel deposito scritturistico. Pur non ignorando le molteplici sfumature di oscurità rinvenibili nel corpus di riferimento (Is 1-39), la ricerca si concentra su un segmento preferenziale dello stesso, il c. 29. Il testo, infatti, è frequentemente chiamato in causa per il suo carattere enigmatico, contradditorio, ambiguo. Nel suo insieme, Is 29 è anzi paradigmatico dell'oscurità isaiana: dei fattori che la produssero, dei coefficienti espressivi in cui essa si declinò, degli strascichi che essa lasciò nella tradizione posteriore e, infine, dello straniamento che essa continua a produrre sul lettore. Dall'indagine emerge una recezione controversa dell'espressività poetica del profeta, bilanciata tra accoglienza e superamento dei paradossi di siffatta comunicazione. Al contempo, l'indagine offre un quadro complessivo dell'oscurità isaiana, evidenziando, in particolare, la funzione poetica dell'ambiguità, dell'ironia e di un uso straniante della metafora.
La Rivelazione scritta è costituita anche dai libri profetici, che possono essere paragonati a un tesoro racchiuso in cassaforte. I lettori che si avvicinano al testo profetico, frequentemente sperimentano qualche difficoltà per cogliere il messaggio trasmesso da Dio. Questo volume è un vademecum semplice e concreto per comprendere il prezioso senso racchiuso nelle pagine profetiche. I libri profetici hanno visto la luce molti secoli addietro, eppure, i loro contenuti sono adeguati anche ai tempi attuali. Il messaggio divino mette in evidenza la necessità di non sottostare supinamente al male e di reagire mediante la conversione, il ravvedimento, la purificazione. Le promesse di benevolenza, protezione e grazia, che il Signore trasmette al popolo ebraico, sono attuali anche per le donne e gli uomini del nostro tempo: sono un invito alla speranza, all'ottimismo e alla gioia.
La fonte delle gesta narrate è senz’altro il Libro della Genesi, ma il narratore nel raccontare fa leva sulla fantasia e perciò –come si esprime Origene– il racconto biblico è espresso in forma favolistica. Le verità della Sacra Scrittura vengono così comunicate nella forma più semplice e più gradita soprattutto ai fanciulli.
I midrashîm raccontano le meraviglie che Dio ha operato in favore del suo popolo Israele. Naturalmente il racconto segue il testo sacro però lo amplia, arricchendolo di sapienti osservazioni e illustrandolo con similitudini, paragoni e parabole.
Questa antologia ha un immenso valore pedagogico, perciò la raccomandiamo caldamente a genitori e maestri.
Il commento al libro del profeta Geremia costituisce l'ultima fatica esegetica di Girolamo. In questo scritto emerge l'interesse che lo Stridonense riserva al testo biblico: la traduzione dall'originale ebraico, ritenuto il testo da privilegiare, è continuamente confrontata con quella che prende le mosse dalla versione dei LXX alla quale viene riconosciuto comunque riconosciuto un certo valore. L'interpretazione si caratterizza per la spiccata tendenza a collocare la realizzazione delle profezie all'interno della storia: sia quella del popolo d'Israele che di Cristo o della Chiesa. La polemica contro i pelagiani emerge ogni volta che il testo profetico ne presenta l'occasione e si ritrova soprattutto nei prologhi ai singoli libri.
È la prima edizione a livello mondiale che riporta il testo latino critico e la traduzione in una lingua moderna. È anche la prima traduzione italiana. Finora esisteva solo la traduzione francese senza però il testo latino. Super Isaiam è il primo commento di san Tommaso alla Scrittura da noi conosciuto. Ma più che un commento è una spiegazione letterale del testo: ad litteram. È una esegesi del senso letterale del testo, ma costellata da note o collationes ricchissime per l'approfondimento del senso spirituale o mistico. E forse è proprio questa la cosa che maggiormente impressiona il lettore. Si tratta di note "marginali" quanto alla redazione, ma "essenziali" quanto alla possibilità che offrono di interpretare l'animo speculativo e contemplativo del loro autore. L'abilità speculativa consiste nel saper cogliere il riflesso che le immagini bibliche offrono per approfondire o esprimere la profondità delle verità rivelate. L'intensità contemplativa consiste nella passione del predicatore che sa sfruttare la densità delle immagini perché la memoria s'arricchisca di preziosi richiami meditativi. Introduzione, Traduzione e Note di Giuseppe Barzaghi. Testo latino critico dell'Edizione Leonina.
Nelle interpretazioni dei primi secoli, la comunità cristiana, quando ricorre all'episodio di Abramo alle querce di Mamre, è principalmente interessata al problema dell'identità di Cristo e al rapporto con le Scritture giudaiche; dopo la svolta costantiniana, la Chiesa cattolica ha ormai conseguito un ruolo considerevole anche nell'orientamento della vita sociale; in questo modo, alcuni scrittori, si appellano all'episodio di Abramo alle querce di Mamre per sollecitare l'accoglienza degli stranieri, in un contesto caratterizzato dalla paura per la pressione dei barbari sui confini imperiali. Il testo fa parte dell'innovativa collana "I Padri della Chiesa - Temi biblici", che si pone l'obiettivo di far conoscere l'interpretazione dei Padri della Chiesa sugli episodi o le figure più significativi dell'Antico e del Nuovo Testamento. La collana vede la collaborazione di Edizioni Nerbini con Edizioni Paoline, casa editrice tradizionalmente molto attenta alle pubblicazioni scientifiche di interese patristico.
Il gesto di Caino è senza pietà: uccide il fratello spargendo il suo sangue sulla terra. Non lascia speranza, non consente il dialogo, non ritarda la violenza efferata dell’odio. È da questo gesto che la storia dell’uomo ha inizio. Sappiamo che l’amore per il prossimo è l’ultima parola e la piú fondamentale a cui approda il logos biblico. Ma non è stata la sua prima parola. Essa viene dopo il gesto di Caino. Potremmo pensare che l’amore per il prossimo sia una risposta a questo gesto tremendo? Potremmo pensare che l’amore per il prossimo si possa raggiungere solo passando necessariamente attraverso il gesto distruttivo di Caino? Quello che è certo è che nella narrazione biblica l’amore per il prossimo viene dopo l’esperienza originaria dell’odio.