"I racconti sulle origini di Roma erano già antichi quando i primi autori della letteratura latina - storici come Fabio Pittore o poeti come Nevio provvidero a fissarli per la prima volta in forma scritta, nella seconda metà del III secolo a.C, e nei secoli successivi hanno continuato senza sosta a evolversi, modificarsi, arricchirsi. È solo il naufragio di questa amplissima produzione letteraria, della quale possediamo oggi soltanto una manciata di frammenti, ad aver artificialmente semplificato il quadro, inducendo l'erronea opinione che la variante infine affermatasi come standard fosse anche l'unica elaborata dalla cultura latina. In realtà, su quel segmento della propria vicenda più remota i Romani avevano lavorato per secoli: e come sempre accade nel caso del mito, questo lavoro aveva prodotto una miriade di varianti, di sviluppi rimasti isolati o invece di tradizioni parallele che convivevano fianco a fianco." (dall'introduzione di Mario Lentano)
I monumenti e le opere d'arte custodite fra le strade e le sale dei musei romani raccontano l'eternità della capitale, la sua storia, le sue tappe dalla fondazione ai giorni d'oggi. Ilaria Beltramme, ripercorre i periodi salienti della città eterna attraverso le opere che meglio li hanno rappresentati e ne hanno espresso lo spirito. Dalla Roma degli etruschi e i suoi simboli, per passare a quella di Cesare, di Augusto e delle gens; e poi ancora, il Medioevo romano e la città papalina, il Rinascimento e le gesta dei papi del tempo, per arrivare alla Roma barocca, quella di Caravaggio e dei Barberini, e poi alla Roma settecentesca dei grandi architetti; per concludere poi con la Roma novecentesca e fascista e chiudere con l'età contemporanea, in cui parti della città sono in piena evoluzione, attraversando un peculiare momento di rinascita. Dalla Lupa capitolina alla Piramide Cestia, dalla Domus Aurea alla basilica di San Clemente, dai dipinti di Caravaggio all'opera di Borromini e Bernini, ripercorrendo i secoli fino ai nostri giorni, fatti di street art, di contaminazioni artistiche e di risveglio delle periferie.
I gatti di Torre Argentina, i gatti della Piramide, i gatti di Tor Pignattara. Un simbolo, quello del felino, ormai entrato a pieno titolo nell'immaginario collettivo: basti pensare a calendari e cartoline che li ritraggono al sole su qualche monumento. Nella Roma antica il gatto era un compagno nella vita terrena e anche in quella oltre la morte. Alcuni reparti dell'esercito romano avevano sugli scudi il simbolo di gatti di colori differenti. Da qui giunsero alla Roma imperiale, dove il gatto domestico conobbe la definitiva affermazione e consacrazione. In un tempio, dove oggi sorge la chiesa di Santo Stefano del Cacco, venne rinvenuta la piccola statua della gatta che ancora oggi si può ammirare su un cornicione di Palazzo Grazioli, in via della Gatta. Arrivò poi il Medioevo, quando i gatti vennero associati alle streghe e con loro bruciati. La loro storia accompagna dunque quella dell'Urbe e non sono pochi i personaggi romani inseparabili dal loro amico a quattro zampe. Storia, aneddoti, fatti meno noti che raccontano il gatto romano e, con lui, anche il volto più scanzonato della nostra città.
La bellezza della città eterna è sotto gli occhi dei romani e di qualsiasi visitatore. Ma Roma è anche magia, mistero, esoterismo. E ci sono luoghi, ben nascosti o solo in parte visibili, che svelano invece questi suoi aspetti più oscuri. Fabrizio Falconi ci conduce in un viaggio attraverso dieci itinerari, raccontandoci leggende, curiosità, segreti, miti e tradizioni esoteriche di Roma. Un percorso alternativo, una sorta di iniziazione per scoprire un volto meno conosciuto della città, più impenetrabile, passando per i suoi sotterranei, le cappelle, le tombe, fino ad arrivare alle storie che in quei luoghi hanno preso forma: da quelle più leggendarie come i fantasmi di Villa Strohl Fern, all'interno del Parco di Villa Borghese, a quelle che sono state sotto i riflettori di stampa e televisione, come la famosa tomba dentro Sant'Apollinare...
Questo volume presenta le due raccolte complete d’incisioni che Giovanni Battista Piranesi ha dedicato a Roma. Le tavole sono corredate da schede nelle quali l’autore fa il punto non sui rapporti tra Piranesi e l’architettura e l’archeologia del Settecento a Roma, ormai ben noti, ma tra questo grande incisore-architetto e la pittura, soprattutto vedutistica, del suo tempo. Le fonti documentarie attestano non solo i suoi studi di prospettiva, ma anche quelli presso Giovanni Battista Tiepolo in un temporaneo ritorno a Venezia (1745-1747) . Ma, al di là di questo, le vedute di Roma «secondo Piranesi» costituirono il veicolo ufficiale di conoscenza internazionale della Città Eterna, fino all’avvento della fotografia ottocentesca. La dimensione di cui l’architetto-incisore investe i monumenti romani è quella «eroica» della Storia che i viaggiatori colti e sensibili (come Goethe) vedevano presente ovunque, a testimoniare da una parte una irripetibile grandezza, dall’altra un degrado fisico e morale che non trovava argine negli estremi bagliori del prestigio della corte pontificia. Una città invasa dall’eterna luce del favore degli dèi, ma anche dalle gravi ombre degli uomini, che l’incisore esprime con la sicurezza di chi è abituato ad andare oltre la prospettiva, cavando dalle morsure degli acidi sulle lastre e degli inchiostri sui fogli di carta effetti di bianco abbacinante, neri, violetti, azzurrini, grigi, bruni vellutati e profondi, sì da gareggiare e da sollecitare, quasi, il confronto con la pittura vedutistica del Panini e da ampliare la propria sfera sensibile alle visioni arcadiche dell’Orizzonte, di Andrea Locatelli, di Paolo Anesi e al pericolante «paradiso» pastorale di Fragonard e Hubert Robert, il tutto sul filo di una liricità musicale quasi parallela ai versi di Metastasio.
Le due raccolte complete di incisioni che Giovanni Battista Piranesi ha dedicato a Roma
Dalla santità di San Pietro alla maestà dei palazzi dei potenti, dalle imponenti rovine dell’impero agli scorci delle chiese: le vedute di Giovanni Battista Piranesi rappresentarono, fino all’avvento della fotografia ottocentesca, il veicolo ufficiale di conoscenza internazionale dell’immagine della Città Eterna.
«Una città invasa dall’eterna luce del favore degli dèi, ma anche dalle grevi ombre degli uomini, che l’incisore veneziano esprime con la fantasia del “capriccio” e con la sicurezza di chi è abituato ad andare oltre la prospettiva, cavando dalle morsure degli acidi sulle lastre e dagli inchiostri sui fogli di carta, effetti di bianco abbacinante, neri, violetti, azzurrini, grigi, bruni vellutati e profondi.»
Maurizio Marini
Uomini e donne disposti a vendersi l'anima, il cuore, il sonno per una fotografia o un passaggio televisivo, un amore o un tradimento da rotocalco, un ingaggio o un'aragosta, un grammo di cocaina o uno di potere. Il mondo dei soldi e del cinema in un romanzo crudo e coinvolgente.
Il più importante archeologo italiano racconta il rito del fuoco pubblico che ha coronato la fondazione di Roma.
A Roma la dea del fuoco pubblico era Vesta. Il suo culto è stato istituito probabilmente da Romolo intorno alla metà dell’VIII secolo a.C. Due secoli dopo Roma incoraggia su questo fuoco pubblico un mito fondativo più cosmopolita: sarebbe stato portato nel Lazio da Enea, che lo avrebbe salvato da Troia in fiamme. Il fuoco dei Romani è stato spento e riacceso dalle vestali ogni primo giorno di marzo nel corso di 1150 anni. Le sei sacerdotesse, strappate da bambine alla famiglia, dovevano conservarsi illibate per almeno trent’anni. In compenso veniva loro riconosciuto un rango elevatissimo ed erano le sole donne che a Roma possedessero una piena capacità giuridica.
Andrea Carandini e la sua scuola hanno ricostruito il santuario di Vesta e parte del circondario, contribuendo in modo fondamentale alla comprensione del centro sacrale, istituzionale e culturale della città-stato. Grazie a uno scavo durato un trentennio è stato possibile analizzare la radura o lucus di Vesta, i luoghi di culto dei Lari, di Marte e Ops, di Giove Statore, e conoscere le capanne e le case delle vestali, dei re e dei massimi sacerdoti della città-stato.
Raccontare la storia di questo cuore urbano a un vasto pubblico è la ragione del libro. Non sarà più possibile una storia di Roma che ignori le scoperte di questo scavo condotto alla pendice settentrionale del Palatino.
Keep calm e passeggia per Roma accompagna il lettore attraverso brevi escursioni alla scoperta di dettagli e curiosità insolite che solo una città così ricca di storia come l'urbe è capace di offrire. Percorsi esperienziali per conoscere Roma più da vicino, ponendo l'accento sulla calma che una passeggiata ispira e concentrandosi per lo più su ciò che si ammira camminando per strada, lasciando scorrere le bellezze della città eterna davanti a noi. Non solo monumenti, chiese e palazzi ma anche scorci, atmosfere e personaggi. Centro e periferia, rioni storici e quartieri alla moda, palazzi secolari e aree verdi: l'urbe si svela davanti ai nostri occhi nei suoi mille volti, accompagnando il nostro passo.
Scovare quello che la gente si racconta è impresa difficile perché il romano è allusivo, ermetico, sfuggente e, se preso "di petto", diventa violento come il "greve" d'una volta: è strafottente, carnale, con la battuta facile, la voglia di vivere e di morire addosso. Eppure le leggende ci sono. Cecilia Gatto Trocchi le ha evocate, ha investigato fra la gente e nelle biblioteche, nel labirinto della città e in quello della sua memoria perché è e si sente "romana de Roma".
Città metafisica e volgare, Roma inghiotte in sé la parola e lascia che siano gli “altri” a parlare di lei: Goethe, Stendhal, Gregorovius, Shelley…
Il popolo romano, amante del gesto teatrale e della parolaccia, sembra che in prima persona non voglia parlare. Per lui parlano il Berneri, il Belli, Pasquino, Trilussa, Pasolini o il Papa. Tuffata da secoli nella miseria e nella presunzione, la plebe di Roma ha creato per sé e solo per sé una potenza della parola, una genialità di linguaggio che con grandiosa barbarie esplode in sintesi di un realismo volgare e immaginifico del tutto speciale. Scovare quello che la gente si racconta è impresa difficile perché il romano è allusivo, ermetico, sfuggente: è strafottente, carnale, con la battuta facile, la voglia di vivere e di morire addosso. Eppure le leggende ci sono. Cecilia Gatto Trocchi le ha evocate, ha “investigato” tra la gente e nelle biblioteche, nel labirinto della città e in quello della sua memoria. Ha prestato alle tradizioni popolari la sua voce e la sua sensibilità, dipingendo un insolito affresco fiabesco e magico della Città Eterna.
Miti, storie e misteri di una città rivisitati dalla fantasia popolare
Tra le leggende e i racconti:
L’arte della memoria
Leggende religiose popolari
San Giovanni Boccadoro
Prete Olivo, la morte e il diavolo
Storie di fantasmi
Notte di Carnevale. La leggenda di Beatrice Cenci
Donna Olimpia
Racconti leggendari
La Papessa
Un amore di Lucrezia Borgia
Er grevetto de li Monti
Artemisia
Il Marchese del Grillo
Storie del ghetto di Roma
La principessa di Giudea
La leggenda del papa ebreo
La fata Morgana
Il cicoriaro e la regina incantata
Aladino a Roma
La principessa e la tripparola
Bellezza Orsini, fattucchiera in Roma
La sora Berenice
Nato come linguaggio popolare, fondato sulla tradizione orale, il romanesco si consolidò nel tempo assumendo una sua specifica fisionomia. Il dialetto romano, da sempre amato e odiato, si caratterizza per le sue espressioni colorite e schiette, allegre e divertentissime. È un vernacolo soprattutto parlato, ma anche sancito per iscritto da alcuni grandi della letteratura italiana, si pensi a Gioachino Belli o a Trilussa. Questo volume propone una selezione dei proverbi e modi di dire romaneschi raggruppati per argomento: l'amore, le donne, i peccati, i soldi o la fortuna, insieme a un accurato, prezioso, e a questo punto indispensabile, dizionario.
Roma è di fronte a un bivio: continuare a espandersi in maniera incontrollata, sfrangiandosi nella perdita d'identità e nel dominio di interessi privati, oppure ripensare il senso di un luogo unico al mondo, ripartendo dalle periferie per rigenerare l'esistente. Per offrire un contributo alla progettazione futura, il testo indaga il mutevole significato che la città ha assunto dalle sue origini a oggi, sotto particolari aspetti: la multiforme presenza dell'acqua, il simbolismo geometrico degli assetti territoriali, il segno delle differenze sociali impresso neli'edificato abitativo, il valore degli spazi pubblici sempre più ridotti dal consumo di suolo. Chiave per la costruzione di un nuovo senso del luogo potrebbe essere la "convivenza responsabile", non solo della città storica con le moderne periferie, ma anche tra le differenti etnie e culture che convivono in una metropoli sempre pronta all'accoglienza, sulla scia di quella vocazione all'inclusione che le sue origini, al di là del mito, confermano.