Alla fine del Seicento, Pierre Bayle sostenne con determinazione che era meglio essere atei, piuttosto che idolatri e superstiziosi, che era preferibile non avere una religione, piuttosto che una cattiva religione. Legata ad una appassionata difesa del principio di tolleranza, dei diritti della coscienza individuale, dell'autonomia morale, la società di atei teorizzata da Bayle si colloca agli antipodi dell'ateismo ideologico dei sistemi totalitari a noi più vicini. Questo libro non si limita a presentare la presa di posizione di Bayle e a studiarne le origini culturali, ma ricostruisce alcuni dei momenti della grande controversia sollevata dalle sue provocatorie tesi, che vide intervenire i massimi esponenti dell'età dei Lumi, da Montesquieu agli Enciclopedisti, da Rousseau a Kant. Ampio spazio è dato al contributo che il pensiero inglese, da Mandeville a Hume, portò, in sotterraneo dialogo con Bayle, sul problema delle origini e della funzione sociale della religione e sulla questione del rapporto fra ateismo e politica.
Un esperimento insolito e originale forma l'oggetto di questo libro di Giacomo Marramao: la messa a fuoco dei punti d'intersezione tra le genealogie filosofiche e le diagnosi radicali del Potere, del Comando e della Legge fornite, in tempi e contesti diversi, da due grandi scrittori mitteleuropei come Elias Canetti (attraverso un confronto costante con l'opera di Kafka) e Herta Müller (lungo l'asse che collega la figura del Lager alle esperienze di sorveglianza, isolamento e derelizione esistenziale presenti nelle stesse democrazie). Per afferrare il senso delle trasformazioni del potere occorre andare alle radici: all'arche o al principio che l'ha originato come fattore transculturale e trans-storico comune a tutte le società umane. Il potere non può essere soppresso: ogni tentativo di 'superarlo' - sopprimendo questa o quella forma del suo esercizio - non ha finora fatto che potenziarlo. Il potere deve essere, invece, sradicato, sovvertito nella sua logica costitutiva: la logica dell'identità, innervata nell'illimitatezza del desiderio e nella doppia scena paranoica della paura e della morte dell'altro. Tracciare una linea di frattura e di opposizione al potere significa, nel cuore del nostro presente globale, spostare il focus sui soggetti e sulla loro potenza di metamorfosi/rigenerazione. Ma ciò è possibile solo staccandosi dal rumore dell'attualità e riprendendo il filo interrotto di opere solitarie ed estreme.
Il saggio presenta e discute il progetto fenomenologico in una prospettiva insieme teoretica ed ermeneutica, che ne valorizza gli aspetti tuttora fecondi. La fenomenologia è ricostruita come ambizioso progetto di rifondazione delle coordinate in cui si gioca la condizione contemporanea, al centro del quale si colloca un'originale concezione etica e spirituale dei concetti di umanità, scienza e modernità. Lo studio prende sul serio la rivendicazione husserliana del carattere radicale del progetto fenomenologico e lo sollecita a giustificare i propri assunti e il proprio metodo rispetto alle critiche mosse dall'ermeneutica e dal pensiero linguistico e pragmatista
"Mentre ho voluto determinare i procedimenti di produzione del comico, ho cercato anche quale sia l'intenzione della società quando ride. Perché stupisce troppo il fatto che si rida, e che il metodo di spiegazione di cui parlavo più sopra non chiarisca questo piccolo mistero. Non vedo, per esempio, per qual motivo la "disarmonia", in quanto tale, dovrebbe suscitare in chi ne è testimone una manifestazione così specifica come il riso, mentre tante altre proprietà, qualità o difetti lasciano impassibili i muscoli del viso dello spettatore. È quindi ancora necessario cercare quale sia la causa particolare della disarmonia che crea l'effetto comico; e l'avremo realmente trovata solo se riusciremo a spiegare perchè, in tal caso, la società si senta tenuta a manifestarsi. Nella causa del comico ci deve pur essere qualcosa che attenta leggermente (ma che attenta specificatamente) alla vita sociale, poichè la società vi risponde con un gesto che ha tutta l'aria di una reazione difensiva, con un gesto che fa lievemente paura. È di tutto questo che ho voluto render conto." (Henri Bergson)
La filosofia della mente è un ramo della filosofia analitica e post-analitica che dalla Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l'Australia si è poi diffusa in tutto il mondo e in questi ultimi anni ha avuto una brusca impennata, soprattutto avendo stabilito relazioni importanti con le scienze cognitive. Sandro Nannini rivolge il suo studio sia allo studente che allo studioso specializzato, ricostruisce accuratamente l'intreccio che negli ultimi quarant'anni si è andato instaurando fra le teorie sull'anima, la mente o lo spirito della tradizione filosofica e gli studi sull'intelligenza naturale e artificiale condotti dagli scienziati cognitivi. Il lettore troverà una sintesi delle principali concezioni filosofiche sull'anima, la mente, l'io e lo spirito dall'antichità ai giorni nostri. Particolare attenzione è stata rivolta alle teorie che i filosofi hanno sostenuto riguardo al rapporto dell'anima con il corpo, nella convinzione che, nella maggior parte dei casi, è la natura attribuita a questo rapporto che rivela la concezione che si ha dell'anima stessa. Nella nuova edizione una particolare attenzione è rivolta a come le scienze cognitive e le neuroscienze stanno cambiando l'immagine che l'essere umano ha di se stesso.
Questo testo di Pierre Hadot presenta i temi più cari al grande studioso recentemente scomparso: l'idea di natura, il modello filosofico di felicità, la figura del saggio nell'antichità. Con la lucidità che gli è propria, Hadot dimostra inoltre come, per gli antichi, la filosofia fosse un sistema di vita, che permetteva all'adepto di trovare il proprio posto nella città e nel mondo. Ne risulta una riflessione attuale sul valore sociale, oltre che etico, della filosofia.
Ci sono momenti in cui un uomo pensa che la sua vita non abbia valore. Ce ne sono altri in cui si pensa che non abbia più valore la vita di nessuno. Per molti di noi questo è un momento come il secondo. È questo, vivere oggi in Italia. È questa erosione di speranza, di coraggio e di slancio creativo a ridurre in cenere i nostri giorni. E forse a ridurre anche la crescita del PIL. Con il tono appassionato di un'orazione civile, Roberta De Monticelli mette a fuoco con esattezza il cuore della tragedia che stiamo vivendo, e mostra come dal buon uso della nostra indignazione possa risultare una rifondazione, un progetto per una nuova civiltà.
La filosofia è trama di vita e di concetti, è testimonianza, di un pensiero vivente che attiva con un vivere-con, una costante sunousia, una convivenza nel pensare. La creazione di idee è filosofia se trascina e alimenta una prossimità estranea, se agita l'incontro tra vite pensanti. Il volume intende testimoniare, di un percorso filosofico, esperienza vissute, confronti reali, scambi amicali, pensieri in comune, provando a restituire una stratigrafia di trasformazioni personali di idee, domande, disposizioni, attenzioni, selezioni.
"L'aspirazione alla libertà si mostra come il vero stimolo per lo sforzo della conoscenza scientifica, essa si mostra ugualmente e anche più chiaramente negli stimoli che costituiscono non solo l'agire del singolo, ma anche e soprattutto quei movimenti politici e sociali, la cui successione costituisce la concreta storia umana" (dalla Prefazione di Bernhard Casper). Il presente volume offre un'analisi del concetto di libertà nel pensiero di Franz Rosenzweig attraverso la sua opera principale, "La stella della redenzione", e gli scritti minori composti dall'autore. Primo studio dedicato a questo tema nella bibliografìa rosenzweighiana internazionale, il testo si articola in due parti: la prima presenta la libertà formale - di Dio e dell'uomo - così come viene descritta nella Parte Prima della "Stella". A questa libertà, intesa come assoluto libero arbitrio, scevro da ogni legame con l'altro da sé, si contrappone la seconda parte del volume, volta ad analizzare la Parte Seconda della "Stella". Ci si trova qui di fronte a una "fenomenologia della libertà vissuta", ossia a uno studio della libertà concreta, declinata - dal punto di vista di Dio - attraverso le categorie di creazione, rivelazione e redenzione e dal punto di vista umano attraverso una dinamica di chiamata, ascolto e risposta che pone la libertà dell'uomo sempre all'interno di un orizzonte relazionale e che apre alla responsabilità verso l'altro uomo e verso il mondo. Prefazione di Bernhard Casper.
La liberazione della donna e della generazione non può essere vera senza una seria riflessione antropologica ed etica. Ma il tortuoso cammino che tale liberazione ha percorso e sta percorrendo, enfatizzando in modo unilaterale la volontà soggettiva, ha rischiato di perdere l'etica per strada: un'etica smarrita della liberazione, nel duplice senso di un'etica che non sa più dove andare, confusa, e di un'etica che è stata persa, a volte per assenza di pensiero. Sono passati poco più di tre decenni dalla nascita di Louise Brown e le biotecnologie legate alla generazione umana sono ormai vissute e rappresentate solo nella loro dimensione tecnico-pratica. Cercando di ricostruire criticamente la storia del pensiero femminile che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo delle nuove tecnologie riproduttive, questo testo prende in esame l'apporto di Simone de Beauvoir, mettendo in luce la ricaduta del suo pensiero sull'interpretazione delle nuove biotecnologie e sulla traiettoria della comprensione del rapporto tra maternità e libertà. Il filo conduttore scelto è quello della relazione - tra i generi, col proprio corpo, tra gli esseri umani -, prospettiva e punto di partenza fecondo per la comprensione dei beni in gioco nella procreazione umana.
Si vive in un mondo fatto di regole e molte nemmeno conosciute. Comunemente si parla di regole religiose, morali, etiche, giuridiche per giungere a quelle di quotidiano uso come le regole di educazione. Ma quale ne sia la fonte e lo scopo e soprattutto se sia ipotizzabile una loro comune origine, è questione complessa e poco affrontata. In questo libro, con linguaggio asciutto si cerca di dare una risposta al quesito giungendo alla conclusione che la tradizionale suddivisione delle regole è frutto più di una superficiale qualificazione che di una sostanziale diversità della loro natura. Forse tale impostazione serve a renderle meglio comprensibili ai più, ma diviene elevato il rischio che molte di esse vengano o non comprese o respinte solo perché erroneamente considerate appartenenti ad un mondo estraneo. Invece, da una attenta analisi si nota che le regole prive di etichetta sono concatenate da una rigorosa logica riconducibile ad una visione unitaria della realtà a sua volta ben governata da princìpi. Questi ultimi, contenuti nelle regole che li sintetizzano donando loro esecutività, sono tutti finalizzati al raggiungimento di un unico ed onnicomprensivo scopo finale.