Il testo della Lettera che papa Francesco ha scritto ai sacerdoti in occasione del 160° anniversario della morte del santo Curato d’Ars, patrono dei parroci del mondo. Il testo è suddiviso in quattro punti identificati da quattro parole chiave che il Pontefice rivolge ai destinatari: dolore, gratitudine, coraggio, lode.
Don Alessandro Pronzato una volta ha affermato che scrivere un libro in collaborazione è «un' esperienza che non rifarei più con nessuno» (salvo, ad esempio, un Luisito Bianchi o un padre Leonardo Sapienza). Sembra che, dopo la sua morte, questa sua affermazione si possa avverare. La morte di don Alessandro Pronzato è sopravvenuta il 25 settembre 2018 e, così, Mons. Leonardo Sapienza si è ritrovato con una grande quantità di scritti, di spunti, di semplici abbozzi che, con grande cura ha ordinato e completato, con la speranza di poter aggiungere questo libro agli oltre centotrenta che erano da lui stati scritti nel corso della sua lunga vita. La vita del prete è lieta o triste? L'essere prete rende felici, oppure impone limiti, doveri, oneri, che rendono triste e infelice la vita, o meno felice, meno piena di quella degli altri uomini? Come ci ricorda il Concilio Vaticano II, la vocazione sacerdotale è un invito alla beatitudine; e i sacerdoti lo devono far comprendere ai fedeli, con il ministero della parola e con la propria testimonianza di una vita in cui si rifletta chiaramente lo spirito di servizio e la vera gioia pasquale. Proprio in questo vuole aiutare la presente raccolta di riflessioni: meditare sul rapporto tra le difficoltà e le fatiche ministeriali e la possibilità, anzi il dovere della gioia cristiana, che per i sacerdoti diventa gioia ministeriale.
Le origini del monachesimo, come quelle della Chiesa, esercitano un fascino insostituibile non solo sugli ammiratori della vita monastica, ma su tutti i cristiani. È la primavera del monachesimo, la sua epoca idilliaca, carismatica, libera, spontanea. Tuttavia l'ammirazione dei grandi monaci delle origini spesso è accompagnata da una insufficiente conoscenza della loro vita, delle loro gesta, della loro spiritualità. García M. Colombàs colma proprio questa lacuna tracciando un quadro scientifico di figure come Antonio Pacomio, Simeone, Efrem, Basilio, Girolamo, Cassiano, Onorato e delle correnti monastiche di cui furono gli iniziatori. Scopriamo così che, già nel secolo, il monachesimo pre-benedettino aveva conosciuto un grande sviluppo istituzionale e spirituale.
Questo libro propone un corso di esercizi spirituali ideato a partire dalle attese manifestate da papa Francesco nella lettera per l'Anno della vita consacrata. La gioia, la capacità profetica, l'esperienza della comunione e l'attenzione per le periferie esistenziali riassumono le attese e i «sogni» del pontefice nei confronti dei religiosi. L'autore approfondisce queste aspettative e completa le meditazioni suggerendo alcuni testi biblici per orientare la preghiera.
Una summa che raccoglie le esortazioni di Papa Francesco ai sacerdoti nei primi cinque anni del suo pontificato, aggiornata ai discorsi pronunciati durante la giornata mondiale della Gioventù a fine gennaio 2019. Un vademecum di grande utilità soprattutto per i presbiteri, ma non solamente.
È stato detto che Maria di san Giuseppe - Salazar (1548-1603) è la prima grande scrittrice carmelitana dopo santa Teresa di Gesù, e non solo per motivi cronologici. In effetti, sarebbe difficile trovare un'interprete di Teresa più fedele e acuta, in particolare riguardo al suo insegnamento sulla vita religiosa. Nell'affrontare i temi del governo, della pratica dei voti e della formazione iniziale, sembra che prenda la parola per dare continuità all'insegnamento della santa Madre, che rischia altrimenti di essere dimenticato, male interpretato o deformato.
La Chiesa deve avere il coraggio di proporre ai giovani cristiani di oggi la "misura più alta della santità", santità che non esclude nessuno e che consiste nella perfezione della carità. I giovani, da parte loro, ci confermano che non sono solo le opere assistenziali a essere importanti per loro, ma il coinvolgimento diretto con le persone. Saremo un segno solo nel contatto diretto con le persone. È nell'incontro, infatti, che la vita consacrata ha ancora senso oggi. Per evangelizzare i giovani non esistono regole universali. La Chiesa deve saper riconoscere i loro bisogni, ascoltandone gli appelli, creando una Chiesa sempre più familiare, mettendone in risalto la dimensione fraterna. Le vocazioni sono in crisi, lo sappiamo, per questo è necessario pensare a una pastorale vocazionale che non miri solo al numero, ma che tenga conto del processo culturale in corso.
Come scrive Pietro Maria Fragnelli nella Presentazione, leggere questa testimonianza viva di don Vincenzo de Florio (o padre Vicente, come lo chiamano in Brasile) significa imbattersi in un inguaribile innamorato che, a novant’anni suonati, vuole ancora cantare la sua canzone d’amore. Una canzone appassionata, senza rimpianti o tristezze. Non canta “Com’è triste Venezia”, il celebre motivo tornato alla ribalta per la morte del suo cantore e poeta, il novantenne Charles Aznavour, ma viene a dire alle sue lettrici e ai suoi lettori: “Com’è triste la vita” quando si allontana il soffio dello Spirito, il solo che può liberare dalle illusorie sicurezze umane e culturali, il solo che può portare fuori dai confini falsamente rassicuranti dei guadagni e delle strutture. Per don Vincenzo la vita è triste se non ci si innamora dei poveri, siano essi zingari o homeless, detenuti o senzaterra, senza radici o senza fede. È triste la vita se non incontra il Cristo povero, che si identifica con i poveri cristi di ogni latitudine.
Sommario
Mi improvvisai scrittore (P.M. Fragnelli). Mi presento. Premessa. I. Il bambino rubato dagli Zingari. 1. Storia del bambino rubato dagli Zingari. 2. La periferia fa crescere. 3. Bambino com’era, rimase rubato! 4. Da maestro a discepolo. 5. Don Tonino, mio fratello vescovo. 6. Le periferie ti convertono. II. Servo in periferie altre. 7. Rientro imprevisto. 8. In periferia sino alla fine del mondo. 9. Vita condivisa con i prediletti. 10. Brasile: vita semplice, ma in schiavitù. 11. Obbligo di fermata. 12. Servo inutile.
Note sull'autore
Vincenzo De Florio, prete pugliese, è stato parroco in Brasile, cappellano di Sinti e Rom, vicario generale nella Diocesi di Castellaneta e volontario nella casa circondariale e di reclusione di Taranto. Ha pubblicato: Zingaro mio fratello (Paoline 1986), Mi basta che tu mi vuoi bene (Paoline 2012) e Se non diventerete come bambini (Pensa MultiMedia 2016).
Pietro Maria Fragnelli è vescovo di Trapani.
Il commento alle cinque lettere – Rallegratevi, Scrutate, Contemplate, Annunciate e Per vino nuovo in otri nuovi – indirizzate ai consacrati e alle consacrate nell’anno a loro dedicato e hanno segnato le varie fasi dell’anno della Vita Consacrata a partire dal 2014-2015. Le lettere sono ispirate agli insegnamenti di papa Francesco e offrono una rilettura della vita consacrata alla luce del magistero pontificio del XXI secolo.
Non è facile capire la natura del vincolo che lega i religiosi al loro stato di vita se prima non viene colta a pieno la nozione di professione dei consigli evangelici e la loro funzione. In questo studio vengono proposti diversi elementi di riflessione sull'obbedienza religiosa, tenendo conto della sua dimensione cristocentrica, della valenza comunitaria, del significato di autorità al servizio dei consacrati e delle conseguenze degli atti di disobbedienza. Nell'intenzione di definire una configurazione credibile e condivisa del "consiglio evangelico dell'obbedienza", l'autore presenta l'obbedienza come un valore attraente in sé, che nulla toglie alla persona e alla sua libertà in Cristo. In questa prospettiva, le dimensioni antropologiche, giuridiche e sociologiche di una virtù essenziale per la vita consacrata trovano una loro armonizzazione - in particolare leggendo la normativa del canone 601 -, evidenziando il valore della dimensione comunitaria dell'esercizio dell'autorità, riconosciuta anche come volontaria adesione da parte dei religiosi.
SE I SACERDOTI ASCOLTASSERO I LAICI…
Intervista a Valentino Salvoldi per Radio Vaticana
- “Ne scelse Dodici”. Il titolo del suo recente libro, e l’immagine dell’“Ultima Cena” in copertina, non lasciano spazio a equivoci. Si parla dei sacerdoti, ma in quale prospettiva?
Innanzitutto questo libro può essere utile non solo ai sacerdoti, ma anche ai laici. In particolare il primo capitolo, dove parlo del comune bisogno di “stare con Cristo”, della necessità di stare aggrappati a Lui e di continuare la formazione integrale fino al termine della nostra vita. Il testo è frutto dell’esperienza di tanti anni d’aggiornamento dei formatori del clero, soprattutto in Africa e in Asia. Si rivolge ai ministri ordinati: parlo del diacono permanente, che non deve essere una specie di sacrista o un addetto alla liturgia, ma al ministero della carità e dell’evangelizzazione. Parlo dei preti chiamati a essere collaboratori della gioia dei fedeli. Presento il vescovo come primo responsabile dell’evangelizzazione non solo della sua diocesi, ma di tutta la terra.
Come vede il sacerdote, oggi?
Sublime la sua originaria scelta di essere un dono per tutti, la sua consacrazione alla felicità umana, la sua determinazione a essere l’uomo di tutti e per tutti ministro di pace – plenipotenziario del Principe della pace –, la sua coscienza che farsi sacerdote «non significa mettersi una divisa fuori, ma un tormento dentro», accettando di diventare «il ministro della pazienza di Dio», disposto a essere «il più amato e il più odiato degli uomini, il più incarnato e il più trascendente, il fratello più vicino e l’unico avversario». E la sua grandezza consiste nel «lusso di poter amare tutti». È un uomo che rinuncia a fare l’amore per essere amore, ministro di un Dio che si definisce Amore.
In che senso vede il sacerdote come un uomo che “ha un tormento dentro”?
Si tratta del tormento di non essere santo e di essere lui stesso lontano dall’ideale che propone agli altri. Il tormento di vedere le chiese sempre più vuote…svuotate sia dal secolarismo, sia dal fatto che troppi cristiani non abbiano ancora compreso a fondo il mistero dell’eucaristia. Il tormento di sapere che nel mondo esistono cinque miliardi di persone che non hanno ancora sentito parlare di Cristo. Il tormento di essere circondato da pochi laici che, spesso, sono più “clericali” dei preti. Il tormento di non poter esercitare il ministero sacerdotale, perché richiesto di interessarsi di realtà che dovrebbero essere di competenza dei laici o dei diaconi permanenti. Il tormento di celebrare confessioni – per quei pochi che ancora si confessano – che non rispecchiano l’ideale proposto anche dal Vaticano II: “Confessione di lode”; “confessione della propria vita”; “Confessione di fede”…
In questa situazione, i sacerdoti che cosa dovrebbero fare?
Circondarsi di persone valide; ascoltare i laici, non gli “Yes men”, ma quelli che sanno essere voce critica, illuminata dall’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI; non essere autoreferenziali, come continua a ripetere papa Francesco.
- “Ne scelse Dodici”: che cosa comportò per gli apostoli questa scelta? Soprattutto, che cosa comporta ai “chiamati” di oggi?
La vocazione al ministero ordinato comporta la scelta di “stare con Gesù” per approfondire la conoscenza del Maestro, familiarizzare con la sua persona, amare la sua parola: i Vangeli. Ciò implica la capacità di desiderare il silenzio, scegliere il deserto (in ebraico “deserto” si dice “Midbar”: luogo della “Dabar”, la Parola), farsi aiutare nel discernimento della propria vocazione, studiare – e molto – perché una mezza scienza è pericolosa e allontana dal clero quanti si aspettano dall’uomo di Dio accoglienza, ascolto e coinvolgimento nel sacro. Si aspettano liturgie che non siano rappresentazioni, ma attualizzazioni del Mistero. Non un ricordo, ma un memoriale della morte e risurrezione del Signore. In ogni Eucaristia Cristo muore e risorge. E noi con Lui.
- Ci sono differenze tra la formazione sacerdotale impartita in Europa e quella proposta in Africa e in Asia, dove ha svolto gran parte del suo servizio sacerdotale?
Difficile fare paragoni per situazioni radicalmente diverse: in Europa i seminari si svuotano; i pochissimi seminaristi rimasti sono coccolati finché sono studenti, ma, diventati preti, sono abbandonati a sé stessi. Spesso sono soli e non pochi si sentono figli di nessuno. Nell’America Latina, che lamenta un’estrema scarsità di clero, si fanno esperimenti per formare i futuri preti non in seminari, ma nelle parrocchie, visitati periodicamente da formatori e docenti. L’Asia è impenetrabile alla nostra comprensione (ho visitato una dozzina di stati asiatici e non temo di riportare ciò che affermava un mio collega di Propaganda Fide: «Sono stato in missione per venticinque anni in Cina, e ho concluso che non ho capito nulla dei Cinesi»). In Africa i seminari sono stracolmi e abbisognerebbero di professori visitatori dall’Occidente. I preti africani, poi, avrebbero fin troppo da lavorare nella loro terra, prima di venire in Occidente a “tappare i buchi”. Non è una disgrazia se alcune parrocchie non hanno il parroco residenziale: la scarsità di preti europei potrebbe essere un’opportunità data ai laici di prendersi le loro responsabilità. Come battezzati, siamo tutti profeti, sacerdoti, re e missionari.
- In questo libro lei guarda alla crisi dei sacerdoti come a un “tempo di grazia”. In forza di che cosa può dirlo?
L’ideogramma cinese della parola “crisi” si legge: “opportunità”… Il credente sa che tutto è grazia e che lo Spirito Santo continua ad animare la Chiesa. Inoltre, Cristo ha affermato: «Le potenze degli inferi non prevarranno». Nel mondo il male non prevarrà sul bene. Questa la nostra fede: la crisi europea potrebbe convertirsi in un’opportunità per gli altri continenti.
- Ma il sacerdote ha rilevanza nella società di oggi?
Ovunque ho sperimentato che soprattutto i giovani avvertono la nostalgia di Dio. E se un uomo di Dio è disposto all’ascolto e al dialogo, la gente non guarda all’orologio quando parla con lui.
Ho vissuto questo in molti stati, incontrando gente lungo la strada e giovani anche nelle discoteche. L’avevo sperimentato pure in Russia, negli anni Settanta, quando l’ateismo veniva imposto dallo Stato. Ho visto che chi cerca di strappare Dio dal cuore dell’uomo, assieme a Dio gli strappa il cuore. Ma l’uomo di Dio può riaccendere la nostalgia dell’Eterno. Il comunismo è svanito, mentre la nostalgia di Dio è rimasta.
- «Non siate showman», ha raccomandato papa Francesco ai preti di Roma. E sempre a loro, lo scorso Giovedì Santo, ha ribadito: «Non siamo distributori di olio in bottiglia. Ungiamo distribuendo noi stessi». Si tratta di semplici richiami spirituali o è la richiesta di un cambiamento di vita?
Showmen: ho già detto che molti sacerdoti, sull’altare, fanno rappresentazioni e non attualizzazioni del Mistero. Il cambiamento di vita richiesto dal Papa consiste nel non essere ingessati, rigidi, formalisti. Se celebrassimo messe adatte per diverse categorie di persone e gruppi di età, se invece di guardare alle finanze della parrocchia facessimo vivere esperienze forti ai giovani (Terra Santa, santuari, deserto), allora ci sarebbe un vero rinnovamento. Non c’è bisogno di suggerire a un innamorato di andare a trovare la sua ragazza… Se le messe fossero vissute bene, dovremmo chiamare i vigili urbani a regolare il flusso dei fedeli in chiesa!
- Scegliere i poveri, le periferie, non è poi tanto facile da attuare, soprattutto per i sacerdoti più anziani! Richiede preparazione. Nei seminari c’è attenzione a quanto chiede papa Francesco?
Nei seminari dell’Occidente non manca nulla agli studenti; la loro situazione si ribalta dopo l’ordinazione. Nei numerosi seminari che di volta in volta visito, non manco di prospettare il tipo di formazione che ho ricevuto nel Seminario Romano, con i tre grandi amori: l’Eucaristia, la Madonna, il Papa (il tutto in una atmosfera di preghiera quasi monacale, silenzio e studio). Insisto poi sulla formazione permanente che dovrebbe essere più incentrata sulla vita spirituale, sull’amore al silenzio, sullo studio della Bibbia, della dottrina sociale della Chiesa e dei documenti ufficiali della stessa. Sarebbe interessante chiedere quanti abbiano letto, dell’esortazione apostolica Christus vivit, non la sintesi di Avvenire, ma il testo integrale… Sarebbe utile, infine, richiedere ai seminaristi di lavorare – almeno per tre anni – tra i poveri, nelle periferie, prima del diaconato. Qualcuno deciderà di uscire dal seminario? Non è una tragedia. Il mondo non ha bisogno di tanti sacerdoti. Non tanti, ma santi. Santi che siano collaboratori della gioia dei fedeli, come suggerisce san Paolo.
“Ne scelse Dodici…”. Per una formazione permanente del clero,
Editrice Rogate, Roma 2019