Bruno Munari (Milano, 1907-1998), pittore, designer e sperimentatore di nuove forme d'arte, ha segnato una svolta fondamentale nella storia del design in Italia e nel mondo. In questo libro affronta un tema di grande attualità, quello della separazione sempre maggiore tra l'arte pura e la produzione d'arte legata all'esigenza della grande industria e dei consumi di massa.
La "Scuola di Atene" che Raffaello compose nella sua maturità è espressione di un concetto (la filosofia) e di un'altissima realizzazione pittorica e compositiva. Stupefatta e ammirata, la corte papale riconobbe in quell'affresco il sublimarsi delle virtù cui la tradizione occidentale assegnava il primato. Most sostiene che la fonte principale del quadro sia un testo scritto, il "Protagora", che solenne struttura archittettonica dell'insieme, si può individuare un insistito richiamo a elementi etruschi in accordo con il gusto predominante dell'epoca. Questi particolari consentono una lettura nuova e più completa dell'affresco fino a domandarsi quali siano i limiti interpretativi di una simile indagine.
"L'arte all'ordine del giorno" è un espressione formulata da Raffaello Giolli, una delle più lucide intelligenze critiche degli anni trenta, per segnalare la portata etica e sociale, oltre che estetica, della "questione delle arti" nel periodo che porta dal consenso al regime fascista alla svolta degli anni quaranta. L'espressione viene qui utilizzata per sottolineare non solo la rilevanza del mondo artistico nella cultura italiana degli anni trenta, ma anche la centralità della problematica artistica nel periodo dell'immediato dopoguerra.
Questo libro porta una nuova luce sugli orientamenti culturali di Vicino Orsini e sugli avventurosi significati delle sculture del suo giardino, alla luce di romanzi esoterici come "Il sogno di Polifilo" e dei poemi cavallereschi, dall'"Orlando Furioso" alla "Gerusalemme Liberata" o all'"Aminta" di Bernardo Tasso. Un continuo riscontro di brani poetici e di invenzioni iconografiche immerge il Sacro Bosco in una zona di incontro tra arte e letteratura, fra le più colorite e vivaci del Rinascimento italiano.
"Sono qui raccolti, per la prima volta convenientemente illustrati, alcuni dei saggi da me scritti nel decennio felice 1980-1990. Da un altro uomo, quindi, per il quale l'arte era soltanto fonte di godimento e non ragione di preoccupazione e di incertezza per il suo destino. Non mi riferisco, naturalmente, all'arte contemporanea a cui sempre minor necessità, almeno nelle forme tradizionali, si viene attribuendo di anno in anno. Mi riferisco alla conservazione di quella antica, sottoposta a restauri e a manomissioni che ne disperdono, assai frequentemente, l'aura e l'identità". (Dall'introduzione)
Nel 1986 l'editore Franco Maria Ricci sottopose allo sguardo di Giorgio Manganelli immagini disparate: tabacchiere e stemmi come celebri quadri e affreschi, vetri preziosi e fotografie, disegni e frammenti di templi. Immobile al suo tavolo di scrittore, Manganelli elaborava prosa sulla base di queste immagini, scriveva cronache di visite immaginarie come un nuovo Diderot che ci offra resoconti di sempre innovativi Salons.
L'arte contemporanea può ancora essere "grande"? Molti ne dubitano: il mondo dell'arte sembra infatti dominato da interessi mercantili che riducono l'arte alla produzione e alla promozione di opere da sfruttare economicamente. In questo documentato volume, che costituisce un utile strumento di aggiornamento sulla problematica attuale dell'arte, Mario Perniola discute con competenza e familiarità le tendenze artistiche (posthuman, realismo psicotico, arte estrema) e i movimenti culturali (postmoderno, cyber-punk) più recenti e più provocatori.
Il libro è un processo alla figura convenzionale dell'artista. In esso Gimpel ripercorre la storia di coloro che costruivano o dipingevano immagini, studiandone i rapporti di dipendenza economica, lo status sociale, la progressiva acquisizione di prestigio, lungo un percorso che coincide con quello dell'affermazione della civiltà borghese. La religione dell'arte nell'economia capitalistica, il bello come valore economico, l'artista come pedina di un gioco che ha come fine il profitto. Una storia che ha i suoi inizi con Giotto, "primo pittore borghese", e che, dopo la nascita della "religione del bello" in età moderna, culmina con l'evoluzione romantica della figura dell'artista.