La prima guida che illustra i significati simbolici e le curiosità degli affreschi della Cupola di Santa Maria del Fiore. Un ciclo pittorico di oltre 3600 mq eseguito per volere del Granduca da due degli artisti più rinomati di fine Cinquecento: Giorgio Vasari e Federico Zuccari. Oltre 700 figure dipinte di cui 248 angeli, 235 anime, 21 personificazioni, 102 personaggi religiosi, 35 dannati, 13 ritratti, 23 putti e 12 animali.
Questo libro nasce dallo speciale fascino che nel tempo i labirinti hanno esercitato su Franco Maria Ricci. Pagina dopo pagina, grazie a una ricchissima ricognizione illustrata nell'arte, nel mito e nella storia, ne sfilano numerosi: nella forma delle conchiglie, nei mosaici pavimentali o incisi sulle monete, dipinti in miniature o in progetti di architettura e per giardini. Una ricca e raffinata collezione che segna l'atteso ritorno di Franco Maria Ricci all'editoria, curata con la stessa attenzione al dettaglio e alla qualità che ha segnato per cinquant'anni la sua attività. Un libro tributo a un luogo dalla storia millenaria in cui siamo invitati a perderci. Introduzione di Umberto Eco.
I monumenti e le opere d'arte custodite fra le strade e le sale dei musei romani raccontano l'eternità della capitale, la sua storia, le sue tappe dalla fondazione ai giorni d'oggi. Ilaria Beltramme, ripercorre i periodi salienti della città eterna attraverso le opere che meglio li hanno rappresentati e ne hanno espresso lo spirito. Dalla Roma degli etruschi e i suoi simboli, per passare a quella di Cesare, di Augusto e delle gens; e poi ancora, il Medioevo romano e la città papalina, il Rinascimento e le gesta dei papi del tempo, per arrivare alla Roma barocca, quella di Caravaggio e dei Barberini, e poi alla Roma settecentesca dei grandi architetti; per concludere poi con la Roma novecentesca e fascista e chiudere con l'età contemporanea, in cui parti della città sono in piena evoluzione, attraversando un peculiare momento di rinascita. Dalla Lupa capitolina alla Piramide Cestia, dalla Domus Aurea alla basilica di San Clemente, dai dipinti di Caravaggio all'opera di Borromini e Bernini, ripercorrendo i secoli fino ai nostri giorni, fatti di street art, di contaminazioni artistiche e di risveglio delle periferie.
Questo volume, edizione ampliata e aggiornata del precedente testo del 1973, presenta un ampio corpus scientifico sul Caravaggio. Le vicende biografiche che i nuovi documenti d'archivio hanno permesso di focalizzare, affiancati da un corredo fotografico che riproduce a colori l'opera pittorica completa, permette di restituire all'artista lombardo una fisionomia umana e culturale più vera, più attinente alla Storia e al trapasso dell'Umanesimo nella società della Riforma Cattolica. Uno studio complesso, frutto di lunghi anni di ricerca, che potenzia la portata intellettuale e rivoluzionaria dell'opera di Caravaggio, fino a metterne in luce da una parte il background nel naturalismo lombardo (veneto) e, dall'altra, l'esperienza personale, tragica e irripetibile, che s'innesta sull'adesione a una pittura secondo natura svolta nella tensione di una scelta d'arte, divenuta esigenza di vita, travolgente come una vocazione religiosa. Caravaggio riscopre infatti le premesse di una concezione aristotelica del dipingere per rinnovarle all'interno di una visione attuale della Fede esplicitata in lancinanti termini di realtà e sacralità dell'uomo a immagine e somiglianza di Dio. Una ricerca, quindi, che fa il punto su una personalità che i luoghi comuni della Storia e del mito nero (iniziati già nel corso della vita del pittore e contrabbandati fino a oggi) avevano trasformato in un criminale in fuga, ateo e iconoclasta, che in nulla corrisponde alla realtà obiettiva.
Non è vero che l'arte contemporanea non richieda più alcuna competenza tecnica e che si fondi sul principio provocatorio del ready-made. Al contrario, "mai come oggi non soltanto a un artista, ma a chiunque svolga un'attività inventiva, è concesso, anzi decisamente richiesto, di slittare tra competenze diverse: si dà forma a un pensiero con il continuo sovrapporsi di fattori. Il contraltare a questa libertà, tuttavia, è che si disponga di competenze varie e che si agisca in maniera precisa, progettata, realizzando le ipotesi di lavoro più varie con abilità specifiche". Anche per fare una crepa nel pavimento, un sole finto che abbronza davvero, una scatola nera nella quale il nostro corpo si disperde come nel vuoto (per citare tre opere gigantesche presentate alla Tate Modem di Londra, nell'ordine, di Doris Salcedo, Olafur Eliasson, Miroslaw Balka) occorre avere una coscienza e una dimestichezza dei propri mezzi che non è possibile improvvisare. Le nuove tecniche sembrano però avere almeno un aspetto in comune, quello del bricolage, che mette insieme materie e approcci differenti e che non mira alla durevolezza dell'opera. In ciò si rispecchia un'epoca in cui declina l'idea di storia come insieme sensato e in cui tendiamo a percepire il tempo come un flusso elastico, dominato dal frammento e dal caso. A partire da questi presupposti, Angela Vettese riflette su come sono cambiati i materiali e i linguaggi dell'arte contemporanea.
La biografia di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio continua a far discutere gli storici. Uno dei temi più appassionanti riguarda la sua appartenenza al Sovrano Militare Ordine di Malta (o Ordine di San Giovanni) e la sua permanenza nell'isola di Malta fino alla condanna per rissa e l'evasione. Come e perché il Caravaggio, condannato e ricercato per l'omicidio a Roma di Ranuccio Tomassoni e noto per la sua vita dissoluta, poté entrare a far parte del più autorevole consesso dell'Europa cristiana della fine del XVI secolo? Chi lo minacciò e perseguitò dopo la fuga da Malta? Furono i Cavalieri di quello che era stato il suo Ordine, oppure i fratelli dell'uomo che aveva ucciso a Roma? A queste domande, cui gli storici hanno fino ad ora prestato poca attenzione, risponde questo libro di Luigi G. de Anna, che si legge come un romanzo di avventure, ma si basa su un solido esame delle fonti storiche.
Perché per un cinquantennio le pareti della Basilica superiore rimasero bianche nonostante Francesco riposasse, in quella inferiore, dal 1230? Occorreva lodare il fondatore ma nello stesso tempo raccordare i suoi ideali di povertà assoluta agli stridenti cambiamenti avvenuti nel frattempo: i frati rifiutavano ormai il lavoro manuale, studiavano e volevano essere mantenuti dai fedeli. Secondo l'autrice, gli affreschi, legati l'uno all'altro, dipendono da un unico e coerente programma; fu realizzato però in tempi diversi, da Cimabue in poi, fino al ciclo dedicato al santo, dipinto sotto Nicola IV (1288-92), il primo papa francescano, ciclo che si basa sulla "Legenda maior" di Bonaventura. Ma un'altra sua opera è da tenere presente: le "Collationes in Hexaëmeron", Accettando in modo prudente ma deciso le previsioni di Gioacchino da Fiore e dello pseudo-Gioachino, si attua il raccordo fra posizioni inconciliabili. Francesco ha anticipato, come un prototipo, l'Ordine perfetto dei contemplativi che si concretizzerà solo in futuro, Ordine che non è ancora quello di Bonaventura. I suoi frati, preparandosi attraverso lo studio e la dotta predicazione, concorrono perciò attivamente a realizzare il progetto divino. In un volume illustrato, Chiara Frugoni, studiosa di Francesco e di iconologia francescana, offre un'inedita chiave interpretativa dell'intera Basilica superiore.
Un invito a contemplare, fra teologia e spiritualità, la storia della salvezza alla luce delle molte espressioni dell'arte. "Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio, questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell'immagine, l'immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola". È quanto ha scritto Joseph Ratzinger introducendo il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica. Le sue parole sono quanto mai attuali ed efficaci per spiegare il contenuto di questo studio che intreccia teologia e spiritualità. Un testo che ci aiuta a contemplare la storia della salvezza accompagnandoci ad alcuni artisti e a molte opere d'arte.
Perché santa Rita, donna di un piccolo paese umbro nascosto tra i monti, vissuta all'ombra del marito e poi di un convento nella prima metà del Quattrocento, è diventata così famosa? Lucetta Scaraffia risponde a questa domanda ricostruendo la storia della "santa degli impossibili" (come i devoti la chiamano per la grande potenza miracolosa) e soprattutto seguendo le tracce della sua strana ed eccezionale fortuna, a partire dal 1457, anno in cui compaiono le prime prove della devozione al suo corpo miracoloso, fino agli ultimi due secoli, quando Rita da Cascia, proclamata santa all'inizio del Novecento, diventa la protettrice delle donne delle città industriali. Nel condurre l'indagine, l'autrice intreccia i dati più strettamente religiosi con quelli sociali e culturali, come i conflitti tra città capoluogo e castelli del contado, le relazioni tra Cascia e lo Stato pontificio, l'intreccio tra i modelli cristiani di santità e la religiosità legata alla terra e ai culti femminili primitivi. Ne esce un ritratto inedito non solo della santa, ma di un modo di vivere il rapporto con il sacro. La grandissima e imprevista fortuna di santa Rita presso i devoti è legata, ci dice Lucetta Scaraffia, proprio agli elementi di ambiguità di questa peculiare figura: moglie obbediente e che sa soffrire in silenzio, Rita possiede anche una specie di onnipotenza magica, solo superficialmente cristianizzata e profondamente connessa all'atmosfera stregata dei suoi monti rocciosi.
In questo libro, frutto di lunghe conversazioni e di un'appassionata immersione nei ricordi di tutta una vita, il regista Jean Renoir è riuscito a raccontare, con lo stile rapido e ironico e insieme con la delicatezza che saranno poi la cifra del cinema di Truffaut, la storia di suo padre, fissandone per sempre, come solo un grande pittore avrebbe saputo fare, i gesti e i pensieri più quotidiani e segreti. Ma chi era veramente Pierre-Auguste Renoir? Quell'uomo semplice, sbrigativo, che nell'aspetto "aveva qualcosa di un vecchio arabo e molto di un contadino francese", che non poteva fare niente che non gli piacesse, che odiava sopra ogni cosa il progresso e aveva per la donna un culto incondizionato, restava per suo figlio un mistero. Un mistero che queste pagine non cercano di svelare ma solo di commentare: "Potrei scrivere dieci, cento libri sul mistero Renoir e non riuscirei a venirne a capo".
Si può imparare a disegnare - cioè a rappresentare il mondo come l'occhio lo vede - con un libro? John Ruskin, uno dei più dotati disegnatori di tutti i tempi, nonché uno dei massimi critici e teorici dell'arte, risponde senza esitare: sì. E per dimostrarlo scrive, fra il 1856 e il 1857, "Elementi di disegno". Da allora innumerevoli studenti, dilettanti e artisti di fama hanno letto questo manuale con pari ammirazione, e se l'autore proclamò di avervi trasfuso il metodo di Leonardo, Monet non esitò ad affermare, a quanto si dice, che nove decimi dell'impalcatura teorica dell'Impressionismo erano contenuti nelle sue pagine. Pagine che, presentandosi sotto forma di lettere a uno studente, prendono le mosse dagli "esercizi preliminari" - senza trascurare gli aspetti più pratici (che tipo di pennini da disegno comprare, come stendere le ombreggiature in modo perfettamente uniforme) - per poi affrontare il "disegno dal vero". Ruskin spiega, ammonisce, incoraggia, ha sempre in serbo il consiglio giusto, e anticipa con intuito infallibile il sorgere delle difficoltà, in un crescendo di complessità cui si accompagnano, grazie agli esercizi, i progressi dello studente-lettore. Finché il maestro giudica sia il momento di introdurlo ai segreti del colore - per dominarli, avverte, non basterebbe l'intera vita -, cui farà seguito l'ultima tappa dell'apprendistato: quella dedicata alla "composizione".
Questo volume presenta le due raccolte complete d’incisioni che Giovanni Battista Piranesi ha dedicato a Roma. Le tavole sono corredate da schede nelle quali l’autore fa il punto non sui rapporti tra Piranesi e l’architettura e l’archeologia del Settecento a Roma, ormai ben noti, ma tra questo grande incisore-architetto e la pittura, soprattutto vedutistica, del suo tempo. Le fonti documentarie attestano non solo i suoi studi di prospettiva, ma anche quelli presso Giovanni Battista Tiepolo in un temporaneo ritorno a Venezia (1745-1747) . Ma, al di là di questo, le vedute di Roma «secondo Piranesi» costituirono il veicolo ufficiale di conoscenza internazionale della Città Eterna, fino all’avvento della fotografia ottocentesca. La dimensione di cui l’architetto-incisore investe i monumenti romani è quella «eroica» della Storia che i viaggiatori colti e sensibili (come Goethe) vedevano presente ovunque, a testimoniare da una parte una irripetibile grandezza, dall’altra un degrado fisico e morale che non trovava argine negli estremi bagliori del prestigio della corte pontificia. Una città invasa dall’eterna luce del favore degli dèi, ma anche dalle gravi ombre degli uomini, che l’incisore esprime con la sicurezza di chi è abituato ad andare oltre la prospettiva, cavando dalle morsure degli acidi sulle lastre e degli inchiostri sui fogli di carta effetti di bianco abbacinante, neri, violetti, azzurrini, grigi, bruni vellutati e profondi, sì da gareggiare e da sollecitare, quasi, il confronto con la pittura vedutistica del Panini e da ampliare la propria sfera sensibile alle visioni arcadiche dell’Orizzonte, di Andrea Locatelli, di Paolo Anesi e al pericolante «paradiso» pastorale di Fragonard e Hubert Robert, il tutto sul filo di una liricità musicale quasi parallela ai versi di Metastasio.
Le due raccolte complete di incisioni che Giovanni Battista Piranesi ha dedicato a Roma
Dalla santità di San Pietro alla maestà dei palazzi dei potenti, dalle imponenti rovine dell’impero agli scorci delle chiese: le vedute di Giovanni Battista Piranesi rappresentarono, fino all’avvento della fotografia ottocentesca, il veicolo ufficiale di conoscenza internazionale dell’immagine della Città Eterna.
«Una città invasa dall’eterna luce del favore degli dèi, ma anche dalle grevi ombre degli uomini, che l’incisore veneziano esprime con la fantasia del “capriccio” e con la sicurezza di chi è abituato ad andare oltre la prospettiva, cavando dalle morsure degli acidi sulle lastre e dagli inchiostri sui fogli di carta, effetti di bianco abbacinante, neri, violetti, azzurrini, grigi, bruni vellutati e profondi.»
Maurizio Marini