Capitalismo vs democrazia. Una battaglia che si combatte prima di tutto dentro ognuno di noi. Se la libertà individuale è un valore assoluto, altrettanto lo è la costruzione di un'identità sociale centrata su valori comuni nei quali tutti devono poter «essere» per autodeterminarsi. Ma fino a quando l'interesse individuale teso all'accumulazione illimitata prevarrà sui valori comuni le democrazie saranno fortemente a rischio. E in tale prospettiva che questo libro affronta la forte tensione esistente nelle società capitaliste animate da una competizione estrema e guidate da una logica razionale positivista, come una lotta tra lupi e agnelli. In tale scenario vengono individuate anche delle vie d'uscita, come un approccio fenomenologico all'economia per uscire dal positivismo economico, dove la relazione con la materialità è un concetto, un'idea, una funzione potenziale del nostro essere che si iscrive nella coscienza e definisce «la domanda di diritti umani e sociali». Per queste ragioni afferma che solo un cambio dell"«io» che si apre al mondo e costruisce il «noi», come flusso di coscienza comune, potrà permetterci di superare le società capitaliste che hanno ormai perduto ogni capacità di portare avanti una costruzione comunitaria.
La democrazia diretta invocata dai populisti rischia di sfociare nella dittatura della maggioranza. Il peggiore nemico del populismo sono i corpi intermedi della cosiddetta società civile: associazioni, partiti, sindacati, autorità indipendenti, amministrazioni pubbliche. La lucida analisi di una questione essenziale per il futuro del nostro mondo, e una proposta concreta sul tema dell'immigrazione.
«Stop all'austerity» è lo slogan da anni sulla bocca di tutti: politici - al governo e all'opposizione -, giornalisti, economisti. L'intento è sempre lo stesso: far passare il messaggio che le misure d'austerità siano fallaci, e addirittura dannose, per conquistare facili consensi. Risolvere la crisi sarebbe a portata di mano, basterebbe tornare a spendere risorse pubbliche, riappropriarsi della sovranità. Ma è davvero così? E, soprattutto, il rigore è stato realmente applicato in questi anni in paesi come l'Italia o la Francia? Veronica De Romanis sgombra il campo dai pregiudizi smontando tutti gli argomenti contro l'austerità, riassumibili nei sei aggettivi che spesso l'accompagnano: eccessiva, recessiva, imposta, ingiusta, inutile e responsabile dell'ascesa di forze populiste. Con esempi concreti e dati alla mano, l'autrice ne mostra i due volti. L'austerità «buona», nelle parole di Mario Draghi, «prevede meno tasse e una spesa concentrata su investimenti e infrastrutture», fa crescere e infatti non ha impedito ai leader che l'hanno praticata di vincere, come in Lettonia e nel Regno Unito, o di ottenere la maggioranza dei voti, in Portogallo e in Spagna. Quella «cattiva», al contrario, privilegia l'aumento delle tasse a scapito di tagli della spesa improduttiva e può alimentare il populismo. Una lettura utile per capire se l'Europa è stata davvero «rovinata dall'austerità», come ebbe a dire Alexis Tsipras, o se questa non rappresenti invece un'occasione per una politica che voglia combinare al meglio responsabilità verso le nuove generazioni e solidarietà verso i soggetti più deboli. Un passaggio necessario, soprattutto per un'economia quale quella italiana, dove il debito dello Stato è percepito come un numero privo di significato, ma è invece una pesante ipoteca sul futuro dei giovani.
Dopo la caduta del Muro di Berlino e il fallimento del socialismo reale e della pianificazione statale centralizzata, l'economia capitalistica di mercato è diventata il modello dominante, se non esclusivo, di organizzazione delle società contemporanee. Ma, come dimostra la crisi finanziaria globale che da circa un decennio ha drammaticamente peggiorato le condizioni di vita di milioni di persone, la prevalenza del profitto e dell'interesse privato sembra disegnare scenari molto diversi da quello di una comunità fondata sul principio della pari dignità dei cittadini e sul patto sociale della riduzione delle ineguaglianze. Che fine ha fatto, in questi ultimi decenni, la ricerca del bene comune, che dovrebbe essere il compito e il fine di una società giusta? E in che modo la teoria economica può contribuire al concreto perseguimento di questo obiettivo? Per rispondere a queste domande, l'economista premio Nobel Jean Tirole propone al lettore non specialista un singolare percorso all'interno della scienza economica che consente di individuare le politiche e le istituzioni che possono promuovere il bene comune - il cui punto d'arrivo è l'acquisizione delle informazioni necessarie per affrontare efficacemente le grandi sfide del nostro tempo. Sotto la sua guida sicura, le tante questioni che interrogano oggi l'umanità - la rivoluzione digitale, con i nuovi modelli economici a cui dà vita, l'innovazione tecnologica, la concorrenza e la regolamentazione settoriale - emergono in una luce inedita e, al contempo, si rivelano potenziali strumenti per superare alcune diffuse criticità del contesto attuale. Le soluzioni, sostiene con forza Tirole, esistono. Prima fra tutte, comprendere a fondo la semplice verità che la somma degli interessi individuali degli agenti economici non si tramuta in bene comune, grazie alle sole virtù del mercato, ma perché ciò accada è indispensabile l'intervento correttivo di un'istanza pubblica e regolatrice.
I sistemi informatici di controllo remoto sono diventati indispensabili in qualsiasi tipologia di indagine: il progresso tecnicoscientifico e, purtroppo, il suo impiego per fini illeciti esigono una adeguata risposta da parte degli inquirenti che, per rimanere al passo con i tempi, si trovano a dover agire con strumenti idonei al mutato contesto sociale. Tale indefettibilità tecnico-operativa rende opportuno un approfondimento giuridico delle problematiche connesse all'utilizzabilità delle nuove tecnologie investigative, con specifico riferimento all'individuazione delle garanzie non superabili dalla tecnica: l'interprete è tenuto a verificare con rigore la compatibilità degli strumenti offerti dal progresso scientifico rispetto ai princìpi del processo penale, primo fra tutti la garanzia del diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Dopo un primo capitolo dedicato a precisare le capacità degli strumenti che la tecnica mette a disposizione dell'inquirente, si passano in rassegna i principali impieghi investigativi dei sistemi informatici di controllo remoto e si propone una classificazione di tali strumenti in rapporto ai beni giuridici che devono essere bilanciati con le esigenze di accertamento del fatto di reato, onde evidenziarne le problematiche giuridiche. In particolare, nella sezione prima del secondo capitolo si analizza il tema delle intercettazioni realizzate mediante captatore informatico alla luce della recente giurisprudenza di legittimità. La seconda sezione sarà dedicata alle c.d. perquisizioni on line, o perquisizioni da remoto, con particolare attenzione al tema della inutilizzabilità della prova atipica raccolta in spregio dei princìpi fondamentali desumibili dal sistema. La sezione terza tratta i profili problematici, ossia le videoriprese investigative e, più in generale, la c.d. on line surveillance effettuata mediante captatore informatico e si chiude con l'analisi di uno dei temi fondamentali che riguardano l'impiego del c.d. virus di Stato, ossia la natura transnazionale della prova informatica. Il terzo capitolo è una finestra aperta sulle esperienze di altri paesi già impegnati su questo tema, quali Germania, Francia, Spagna e Inghilterra. L'opera si chiude con un'analisi de iure condendo, e cioè con la formulazione di un progetto alternativo al disegno di legge in discussione in Parlamento.
Un'Europa piccola, divisa, incerta. Senza un'idea che la tenga insieme ed esposta alle turbolenze che arrivano dagli altri continenti. La questione - con la nuova presidenza Trump - è più che mai aperta e urgente: siamo ancora protetti dall'ombrello militare americano? La risposta è in questo volume: la difesa comune europea non è più una scelta, piuttosto una necessità. Ma siamo in grado noi da soli di sostenerla? E come possiamo, garantendola, avanzare verso l'integrazione geopolitica del continente? Gli autori, ciascuno dal proprio punto di vista, offrono un'analisi indicando al contempo la direzione del percorso che dovrebbe portare a una vera integrazione. Da un'attenta rassegna degli strumenti militari europei oggi a disposizione, risulta di cruciale importanza lo sviluppo di un'industria militare più avanzata e diffusa per sopperire all'attuale situazione di grave debolezza. Il finanziamento di un esercito comune, oltre al forte valore simbolico, darebbe impulso a tutta l'economia e sarebbe l'unica condizione capace di garantire la creazione degli Stati Uniti d'Europa. Con una difesa forte e autonoma saremmo finalmente in grado di avere una politica estera comune, diversamente dovremo dipendere ancora dalla protezione americana e subire il nuovo ordine mondiale che si va profilando.
Non c'è stata alcuna "fine della storia", nessuna affermazione globale della democrazia liberale. Piuttosto, assistiamo a una grande regressione. Mentre lavoro, ricchezza e stabilità si assottigliano pericolosamente nelle società occidentali, la retorica della sicurezza prende il posto della rivendicazione dei diritti umani e civili e i principi di cooperazione transnazionale sono sostituiti da violenti appelli per il rafforzamento della sovranità degli stati, come "Make America Great Again!" e "Les Français d'abord!". I flussi migratori diretti verso i paesi dell'Unione europea aumentano giorno dopo giorno. La crisi economica, forse, non è mai finita. E improvvisamente ci troviamo di fronte alla necessità di misurarci con alcuni fenomeni che credevamo appartenere a un'epoca passata: l'ascesa di partiti nazionalisti come il Front National francese, l'imporsi di una demagogia come quella impersonata da Donald Trump, le tendenze autoritarie che attraversano l'Europa centrale e orientale, un'ondata di xenofobia e odio, la brutalizzazione del discorso pubblico, l'inversione protezionistica della Brexit. Di fronte a questi fenomeni dobbiamo prendere atto che tutti gli strumenti che consideravamo efficienti per affrontare le crisi si sono esauriti. È questa la denuncia di quindici grandi intellettuali da tutto il mondo, da Bauman a Zizek, da Arjun Appadurai a Paul Mason, che ragionano insieme per scoprire e analizzare le radici di questa involuzione, e cercano di inserirla nel suo contesto storico, di tracciare gli scenari possibili e di ideare le strategie per contrastare le tendenze inquietanti che stanno dando forma a un mondo nel quale non vogliamo vivere. Quindici voci diverse e autorevoli, riunite per la prima volta in un libro che fornisce le coordinate necessarie per orientarsi nel nostro tempo.
Finanza e tecnologia, lavoro e ambiente, disuguaglianza, povertà, crescita, welfare, imprese... I temi fondamentali dell'economia da Smith a Keynes, da Platone a Bauman, da Einaudi a Stiglitz.
Uno studio approfondito e rigoroso che, attraverso una lettura storica di lungo periodo, va a dimostrare come la famiglia interpretata nella sola chiave economicistica, come "società a responsabilità limitata", con tutte le funzioni (dalla fedeltà dei coniugi al desiderio di avere figli) relegate in un'ottica di mercato, ha un inevitabile destino: la progressiva disintegrazione. L'analisi si basa sul confronto di diversi modelli politico-istituzionali: dal socialismo al sistema capitalistico, con uno sguardo alla crisi attuale e alla finanziarizzazione dell'economia che ha ulteriormente sconvolto gli equilibri socio-demografici, insieme ai valori e alla bioetica. Ma se la famiglia rappresenta un valore (anche) economico, questo si fonda su beni e capacità non misurabili secondo i criteri dell'economia tradizionale. Per comprenderla, "l'impresa famiglia", bisogna tenere conto anche di concetti come dono, beni relazionali, capitale sociale, felicità.
L'Europa, diversamente dagli Stati Uniti, non si è ancora del tutto ripresa dalle intemperie della crisi soprattutto per l'incompletezza del suo disegno istituzionale; al suo interno l'Italia è l'anello debole (Grecia a parte) che può costituire un rischio sistemico per l'intera area. Il senso di frustrazione per lo status quo alimenta la tentazione di andarsene, nell'illusione di poter scaricare sull'Europa le colpe di un male tutto italiano. In realtà il destino dell'Italia e quello dell'Europa sono strettamente collegati: solo agendo con una coraggiosa azione riformatrice l'Italia può ritrovare un suo ruolo da protagonista e insieme contribuire al completamento del progetto europeo.
Il modello economico oggi prevalente ha aiutato miliardi di persone a migliorare le proprie condizioni di vita. Tuttavia, questi risultati sono stati ottenuti imponendo un prezzo altissimo ai sistemi naturali prima e a quelli sociali dopo. Da un lato, inquinamento, cambiamenti climatici e distruzione della biodiversità; dall'altro, livelli di diseguaglianza che non hanno probabilmente uguali nella storia dell'umanità e che, assieme alle crisi innescate dal sistema finanziario, contribuiscono a dare forza ai movimenti populisti che incendiano gran parte dei paesi dell'Occidente. È chiaro che qualcosa non funziona, e che l'economia deve essere aggiornata alle realtà del XXI secolo. Per farlo, Kate Raworth ricostruisce la storia delle teorie che stanno alla base dell'attuale paradigma economico, ne evidenzia i presupposti nascosti e con grande sagacia li smonta pezzo per pezzo. Dopo aver fatto piazza pulita di teorie che, pur risalendo all'Ottocento continuano a essere insegnate ancora oggi, Raworth presenta l'economia della ciambella, che attinge alle ultime acquisizioni dell'economia comportamentale, ecologica e femminista, e a quelle delle scienze del sistema Terra. Indica sette passaggi chiave per liberarci dalla nostra dipendenza dalla crescita, riprogettare il denaro, la finanza e il mondo degli affari e per metterli al servizio delle persone. In questo modo, si può arrivare a un'economia circolare capace di rigenerare i sistemi naturali e di redistribuire le risorse, consentendo a tutti di vivere una vita dignitosa in uno spazio sicuro ed equo. Ricco di storie e prospettive sorprendenti, attento alle realtà profonde degli esseri umani, "L'economia della ciambella" è un'opportunità per imparare a pensare come economisti del XXI secolo.
Nel 2010 la crisi finanziaria globale del 2008 si è trasformata in una «eurocrisi» che pare lontana dal placarsi, soprattutto per i paesi che condividono la moneta comune euro - l'eurozona. Qui il premio Nobel Joseph E. Stiglitz demolisce il consenso prevalente sulle ragioni che hanno messo all'angolo l'Europa, criticando i campioni dell'austerità e proponendo soluzioni concrete ai problemi legati all'euro. La crisi ne ha infatti messo in luce i limiti. La stagnazione nell'eurozona e le sue fosche prospettive di ripresa sono un diretto risultato della sua sfida fondamentale: la pretesa di far condividere a un gruppo di paesi molto diversi un'unica valuta comune. L'euro è nato imperfetto, con un'integrazione economica che andava piú veloce di quella politica. L'attuale assetto monetario promuove la divergenza piuttosto che la convergenza. L'euro può essere salvato? Dopo aver messo a nudo il mal concepito mandato della Banca centrale europea volto al controllo dell'inflazione, spiegando come le politiche dell'eurozona, specie nei confronti dei paesi in crisi, abbiano ulteriormente esacerbato i difetti della sua progettazione, Stiglitz delinea queste tre possibili vie di uscita: riforme fondamentali della struttura dell'eurozona e politiche economiche da imporre ai paesi membri; un abbandono controllato dell'esperimento dell'euro come unica valuta; oppure un coraggioso nuovo sistema che ha chiamato «l'euro flessibile».