Esiste un Messia nella Bibbia? La figura di questo essere redentore venuto a salvare l'umanità e ad aprire un'era di pace universale ha segnato profondamente il nostro immaginario collettivo. Ma come ha preso forma questa concezione? Da quali testi? In quali circostanze storiche, politiche e sociali? Dove si colloca Gesù nel contesto della speranza messianica del suo tempo in Giudea? Come tutte le grandi idee che hanno cambiato il corso dell'umanità, l'idea messianica ha la sua storia. È questa storia che l'autrice ricostruisce rivisitando l'interpretazione dei testi fondatori così come altri scritti antichi meno conosciuti che esprimono questa speranza.
I testi qui raccolti propongono alcune riflessioni su un tema di grande interesse religioso, culturale e storico: il messianismo. Essi, partendo da una appassionante esegesi del trattato b.Sanhedrin del Talmud, tentano una delimitazione concettuale (o filosofica) di questo fenomeno ed individuano nell’etica le condizioni preliminari dell’esperienza salvifica per l’uomo contemporaneo. L’idea messianica viene così ripensata al di là della classica contrapposizione tra visioni utopistiche metastoriche e realizzazioni intrastoriche. Levinas concepisce il messianismo − tratto “particolare” del popolo ebraico e della sua storia − come una struttura universale della “soggettività” e dell’umano in generale, che consiste nell’assunzione di responsabilità nei confronti del prossimo. Ogni uomo deve essere Messia se vuole essere pienamente uomo. E può esserlo ogni volta che ascolta la voce del comandamento etico e religioso che lo destina a servire l’altro uomo: che lo «destina a servire l’universo» e ad instaurare la giustizia.
EMMANUEL LEVINAS (1905-1995) è stato tra i più importanti filosofi della seconda metà del Novecento. Per Morcelliana ricordiamo: La violenza del volto (2010).
La religione degli ebrei, le forme che essa ha assunto nelle diverse epoche, la sua cosmologia, i suoi aspetti culturali, sociali, politici, il suo versante "magico" e quello "filosofico", le sue radici lontane e la sua attualità: una ricostruzione rigorosa e affascinante di una storia e di una cultura che costituiscono uno dei pilastri sui quali si fonda la nostra civiltà.
Re, saggio e architetto, e, più tardi, mago, profeta, esorcista e compositore, Salomone è una delle figure più complesse e famose della letteratura antica. Se le sue immagini più familiari sono ispirate da ciò che racconta di lui la Bibbia ebraica, meno conosciute sono le tradizioni su Salomone elaborate dal giudaismo rabbinico e i ricchi ricami narrativi costruiti dai Maestri ebrei. Le pagine di questo libro offrono per la prima volta al lettore italiano leggende rabbiniche tradotte dall'ebraico o dall'aramaico - oltre a tre saggi introduttivi che inquadrano la figura e la recezione di Salomone. Radicate nell'antico folklore di Israele, sono allo stesso tempo innovative perché forniscono nuove interpretazioni e prospettive sia degli episodi biblici sia dei loro protagonisti.
Oggi vediamo lo Stato di Israele come una realtà forte e costituita, ma la storia del popolo ebraico è lunga più di tremila anni. Partendo dalla rilettura in chiave "laica" della Bibbia, "Rumor" ci accompagna nello svolgersi degli avvenimenti storici e dei cambiamenti che inevitabilmente hanno portato alla popolazione ebraica, fino ad arrivare agli sviluppi più recenti. Questa rilettura consente al lettore di comprendere nel profondo l'attitudine e la resilienza di questo popolo, tanto da arrivare a "prendersi" da solo ciò che Dio gli aveva promesso. Nella parte finale poi l'autore ci conduce in un'analisi di massima delle caratteristiche e della struttura dello Stato ebraico (nei suoi risvolti politici, economici, industriali e culturali), permettendoci di conoscere al meglio la realtà odierna di uno degli Stati più moderni ed efficienti.
Il libro "Viva il Talmud, viva Mymonide, viva Israele" contiene venticinque brevi testi, distribuiti in tre sezioni, corrispondenti a tre diverse epoche: talmudica, medioevale, moderna e contemporanea. Il tema principale della prima sezione è dedicato al mondo del lavoro e alle sue dinamiche, ai diritti e ai doveri dei suoi protagonisti, ai mutati rapporti tra la campagna e l'urbanizzazione, il privato e il pubblico, la formazione dei monopoli, ecc. Altri temi vengono affrontati nel contesto dell'epoca in questione: il valore dello studio (talmud Torah) in rapporto a quello del lavoro, il confronto con l'altro, il rapporto tra la Torah di Israele e la Sapienza dei popoli. La seconda sezione contiene cinque testi su Maimonide, il grande maestro della tradizione ebraica medioevale, come filosofo della storia e come esegeta, come leader religioso e come pensatore speculativo. Seguono alcuni studi che hanno come tema il rapporto tra Israele e le genti, tra gli ebrei e i cristiani, tra le religioni monoteiste; la cittadinanza (sinaitica) e l'inclusione dello straniero. La terza sezione contiene testi su André Neher, una gloria dell'ebraismo francese del dopoguerra, dedicati alla tensione tra esegesi canonica e confessionale, scientifica ed esistenziale ebraica, con le tante implicazioni epistemologiche, filosofiche, politiche e soprattutto identitarie.
Fin dall'antichità gli ebrei non sono stati una grande potenza, eppure, la loro storia ha influenzato il mondo intero. La millenaria cultura ebraica è comprensibile solo tenendo conto delle relazioni con altri popoli ed altri ambienti: minoranze e maggioranze si sono influenzate a vicenda, senza che ciò annullasse la peculiarità ebraica, intrinsecamente contraddistinta da una costante dialettica tra universale e particolare. Nel corso del tempo, sono sorte così ricche elaborazioni culturali: dalla Bibbia al giudeo-ellenismo, dalle molteplici correnti ebraiche del primo secolo al Talmud, dalla qabbalah al chassidismo, dal sionismo alla variegata e spesso drammatica realtà attuale costituita dai due poli fondamentali dello Stato d'Israele e dalla diaspora. Questo libro a due voci è un racconto inedito e potente di una storia unica, lunga trenta secoli che, seppur segnata da fratture e conflitti, è stata in grado di produrre valori universali.
Il primo volume di questa nuova traduzione degli scritti rinvenuti nei pressi del Mar Morto raccoglie i «grandi testi» di Qumran, quelli venuti alla luce nei primi anni di scavo e meglio conservati, fra i più interessanti e i più densi di dati utili a un'analisi delle origini e dello sviluppo della comunità. L?edizione si articola in tre volumi, il secondo dei quali dedicato ai reperti frammentari, il terzo costituito da un'introduzione generale al contesto storico della comunità di Qumran e all'illustrazione analitica della sua letteratura. Opera di uno specialista affermato, la nuova traduzione mira a rendere gli scritti leggibili e comprensibili, affrontando in commento le non poche difficoltà testuali. Appunto il commento, ricco e puntuale, è ciò che più distingue questa raccolta da quelle che l'hanno preceduta sia in italiano sia in altre lingue.
Il Nuovo Testamento letto dagli Ebrei è un contributo innovativo allo studio dell'ambiente in cui nasce il cristianesimo. Un team di ottanta studiosi ebrei di fama mondiale getta nuova luce sul testo, sul suo sfondo giudaico, sulla sua ricezione in contesto ebraico lungo i secoli, offrendo informazioni di una qualità eccezionale, utili a una lettura criticamente consapevole del Nuovo Testamento. Nella prima parte del volume ciascun libro del Nuovo Testamento viene preceduto da una introduzione, con indicazioni per la lettura e informazioni specifiche sul modo in cui il libro si rapporta al giudaismo dell'epoca, e viene poi commentato versetto per versetto. Il commento è articolato in una ricca serie di note e in quasi novanta box tematici fuori testo, che mettono in risalto una grande quantità di rimandi e parallelismi testuali (Bibbia ebraica, rotoli del Mar Morto, Filone d'Alessandria e Flavio Giuseppe, scritti apocrifi, Midrashim, Targumim, Talmud...); ma si avvale anche di mappe e cartine, di tabelle e diagrammi riassuntivi. Nella seconda parte del volume il lavoro esegetico viene integrato da cinquantaquattro saggi monografici che delineano le prospettive ebraiche sul Nuovo Testamento. Sono straordinari materiali di consultazione organizzati per soggetto, in otto aree complessive, che vanno dalla storia ai vari aspetti della società ebraica, dai rapporti fra ebrei e gentili fino alle relazioni fra ebraismo e cristianesimo, colti nei loro versanti teologico, culturale, artistico...
Chi è, veramente, Gesù? Sappiamo cosa è diventato dopo la sua morte, in duemila anni di fede cristiana. Ma come lo considerano i contemporanei? Cosa pensano quando lo ascoltano parlare e mentre lo vedono agire? Poco prima della fine, egli pronuncia su di sé parole enigmatiche: «Io so da dove vengo, e dove vado. Voi, invece, non sapete da dove vengo e dove vado» (Gv 8,14). Può questo messaggio di un «re» ebreo illuminare anche l'origine e la meta della nostra vita? Attraverso un fitto e appassionato dialogo con i Vangeli, Giulio Busi traccia il profilo di un Gesù ribelle, assai diverso dall'immagine del buon pastore, mite e mansueto, trasmessa da gran parte della tradizione cristiana. È il Gesù della polemica e dell'invettiva. E, insieme, il Gesù visionario che sovverte e trascende ogni limite di spazio e di tempo, in continuo movimento tra il «qui» della sofferenza e della sopraffazione e il «là» della pace e della vita spirituale. A delinearsi con chiarezza in queste pagine è, in particolare, una «storia ebraica» del maestro di Nazaret. Per lui, infatti, gli ebrei non sono mai «loro» ma «noi». E se la sua ribellione s'indirizza anche contro l'élite religiosa giudaica, è pur sempre la ribellione di un ebreo, orgoglioso della propria appartenenza, che sa interpretare la Torah in modo straordinariamente raffinato, eppure libero, nuovo, creativo. Alla fine, Gesù è un re proscritto, su cui pende un ordine di arresto. Un rabbi itinerante braccato e costretto a nascondersi. Quando sale a Gerusalemme per l'ultima Pasqua, sa che verrà tradito, catturato, percosso, ucciso. I suoi si sbandano, rinnegano. Solo un gruppo di donne non lo lascia nell'ora più oscura. E soltanto una donna cerca il proprio maestro e per prima lo trova, all'alba, in un giardino, al di là della morte. Il giudaismo ha rifiutato il regno senza potere impersonato da Gesù. Il cristianesimo ha trasformato la missione errante dei primi discepoli ebrei, senza famiglia e senza averi, senza bagaglio e senza armi, in una realtà solida, ben costruita, capace di durare per millenni. Ma la ribellione di Gesù ancora continua.
Obiettivo di questo Dizionario Teologico degli scritti di Qumran è di illustrare la natura filologica e la valenza teologica del lessico costitutivo della letteratura rinvenuta nei pressi del Mar Morto. La grande varietà di orientamenti metodologici con cui vengono affrontate le problematiche connesse ai vari lemmi consente di esporre in termini esaurienti e articolati la ricezione, la ripresa e la continuazione o anche lo sviluppo dei diversi motivi e filoni teologici della cultura ebraica tradizionale nei secoli a cavallo dei tempi di Gesù, dal messianismo e dall'apocalittica all'ecclesiologia e alla vita comunitaria, come anche di singole figure di grande rilevanza storica e teologica, ad esempio, per limitarsi a questo volume, Melchisedek e Mosè, al quale viene dedicata una trentina quasi di colonne. Tra le voci di questo quarto volume ? racchiuse fra due lemmi d'importanza capitale per la configurazione istituzionale della comunità di Qumran, kôhên «sacerdote» e ma?kîl «istruttore» ? figurano lemmi di grande interesse sia istituzionale sia antropologico sia teologico, ad esempio mebaqqer «sorvegliante, ispettore», lêwî «Levi, levitico», mal'âk «messaggero», mamzêr «meticcio, bastardo», lêb, lêbâb «cuore» , mi?rajim «Egitto», milhâmâh «guerra», mi?wâh «precetto,comandamento», mût «morte», ecc.
Mo'èd Qatàn, l'espressione che dà il titolo al nostro trattato, significa "piccola festa" o "piccolo tempo stabilito". Si tratta dei giorni centrali delle feste di Pèsach e Sukkòt, che durano rispettivamente sette e otto giorni (otto e nove nella Diaspora) dei quali il primo e l'ultimo sono di festa solenne (Yom Tov); i restanti giorni delle due festività vanno sotto il nome di chol haMo'èd (lett. "profano della festa"), in italiano frequentemente indicati anche con l'espressione "mezzafesta". In questo periodo intermedio delle festività di Pèsach e Sukkòt è richiesto un equilibrio fra gli elementi che devono caratterizzare la festa e le esigenze della quotidianità. Nel cercare di stabilire quali attività lavorative siano permesse e quali no, il Talmud arriva alla conclusione che proprio ai Maestri è stato affidato il compito di sancire cosa sia lecito e cosa no. Non c'è dunque corrispondenza sistematica con le melakhòt (opere creative) che è proibito compiere di Shabbàt. Nemmeno si può dire che vi sia un diverso livello di intensità delle stesse, cioè che i divieti di chol haMo'èd possano ricondursi, pur con delle facilitazioni, alle stesse melakhòt di Shabbàt. Non è così, dato che di chol haMo'èd alcune melakhòt sono vietate, come lo scrivere, mentre altre sono permesse, come l'accendere il fuoco. Un criterio è rintracciabile nella prescrizione di evitare di affaticarsi eccessivamente di chol haMo'èd, cosa che potrebbe andare a detrimento della gioia, che in quei giorni deve invece essere pervasiva. Altra differenza importante tra Shabbàt e i giorni di festa da una parte e chol haMo'èd dall'altra è che i divieti vigenti in questo secondo caso non sono assoluti: opere a beneficio della collettività, circostanze di convenienza, occasioni che non si ripetono, situazioni di grande necessità possono costituire motivo di deroga ai divieti di chol haMo'èd, mentre non sarebbe la stessa cosa per lo Shabbàt. L'esigenza di trovare un equilibrio fra cose permesse e cose vietate nei giorni di mezza festa porta anche a limitare fortemente l'attività lavorativa in senso lato. I commentatori discutono se la proibizione di compiere melakhòt nei giorni di mezza festa sia di origine biblica o rabbinica. Anche chi sostiene che la base della regola sia di istituzione biblica concorda comunque sul fatto che i dettagli applicativi sono di origine rabbinica. Il trattato è denso di brani normativi mentre sono sporadici quelli aggadici. In modo apparentemente paradossale, il trattato Mo'èd Qatàn tratta abbondantemente di regole legate al lutto. L'argomento appare già nel cap. 1, quando si discute di tombe e sepolture, e diventa rilevante nel secondo capitolo proprio per una certa corrispondenza fra le attività che è vietato svolgere di chol haMo'èd e quelle vietate nei primi sette giorni di lutto; diventa infine preponderante e quasi esclusivo nel terzo e ultimo capitolo del trattato (a partire cioè dalla fine di p. 14a), che da quel punto in poi non tratta più dei giorni di chol haMo'èd. Ecco così che tale argomento, richiamato per un qualche collegamento con il tema principe del trattato, diviene il soggetto di quasi metà del trattato stesso. È interessante notare al riguardo che il lutto, almeno nella sua forma più stretta, quella che ha luogo nei primi sette giorni, è incompatibile con la festa e quindi non ha luogo durante chol haMo'èd: se il lutto è iniziato prima della festa, l'avvento della festa lo annulla; altrimenti, ad esempio nel caso di una persona che venga a mancare durante la festa, inizia soltanto a festa stessa terminata. Il trattato di Mo'èd Qatàn è breve, essendo composto da 28 fogli in tutto, e è diviso in tre capitoli. Con testo originale e traduzione italiana a fronte, note, commenti, illustrazioni, schede tematiche, norme di Halakhà, appendici e indici.