«Che fine hanno fatto i bambini?» chiedevano alcuni striscioni comparsi in diverse città italiane durante il primo lockdown, quando le scuole erano chiuse e i ragazzi erano spariti dal discorso pubblico. Quando il presidente del Consiglio e il comitato scientifico avevano dimenticato di decidere se un bambino, accompagnato, potesse fare almeno un giro intorno al palazzo, capire che il mondo non era scomparso, avere un'idea di quel che stava accadendo davvero. Annalisa Cuzzocrea, inviata di Repubblica, mamma di Carlo e Chiara, ha deciso di indagare sul perché bambini e i ragazzi non siano stati visti dal governo alle prese con l'emergenza Covid-19. Perché siano serviti mesi prima di rendersi conto di quanto pesante sarebbe stata la conseguenza della chiusura delle scuole, dell'isolamento nelle case, soprattutto per i più fragili e per chi vive in contesti difficili. Attraverso il dialogo con psicologi, scrittori, economisti, demografi, sociologi, registi, insegnanti, genitori, nel viaggio che la porta fino ai Quartieri spagnoli di Napoli e dentro la sezione nido del carcere di Rebibbia, l'autrice scopre le ragioni di fondo dell'invisibilità di infanzia e adolescenza nel nostro Paese. Dove le esigenze e i diritti dei più piccoli, dei più giovani, vengono sempre dopo. Messe dallo Stato a piè di lista, mentre troppo, quasi tutto, si delega alle famiglie di appartenenza. I bambini sono considerati "bagagli appresso" dei genitori, appendici affidate alle loro cure, non cittadini degli spazi che abitano, quasi mai pensati per chi ha meno di 18 anni. È solo un problema politico o è anche e soprattutto un problema culturale? Perché l'Italia stenta a vedere i suoi figli per quello che sono, e si limita a studiarli attraverso quello che consumano? Se tutto è affidato alla famiglia, cosa si fa dove l'ambiente d'origine non funziona, non aiuta, non permette di "fiorire"? "Che fine hanno fatto i bambini" è un testo necessario per capire cosa ci stiamo perdendo, come stiamo mettendo in pericolo il nostro futuro. E da dove bisogna ripartire. Un saggio a più voci, grazie ai contributi di Annalena Benini, Nadia Terranova, Giacomo Papi, Francesca Archibugi, Viola Ardone, Silvia Vegetti Finzi, Matteo Lancini, Chiara Saraceno, Alessandra Casarico, Alessandro Rosina, Wilma Mosca, Bruna Mazzoncini, Rachele Furfaro, Luigi Manconi.
Generalmente si è portati ad attribuire un significato positivo al cambiamento. Eppure cambiare il mondo non ha in sé alcun significato di valore. Dentro al cambiamento del mondo stanno i grandi progressi della scienza e della tecnologia, che migliorano il benessere dell'uomo e lo rendono maggiormente cosciente e capace di controllare quanto gli sta intorno; ma ci sono anche disastri ecologici, cambiamenti antropologici devastanti, genocidi consapevoli o inconsapevoli. Cambiare il mondo è un obiettivo o una pulsione fondamentale insita nell'uomo, che dobbiamo imparare a controllare e a indirizzare verso fini comuni? E, se di questo si tratta, abbiamo gli strumenti per capire come indirizzare il cambiamento?
Il libro, partendo da alcune riflessioni di Chiara Lubich che illuminano specifici aspetti della nostra vita relativi al benessere psico-fisico e alla salute ambientale, disegna attraverso riflessioni ed esperienze uno stile di vita capace di costituire una risposta costruttiva e pacificatrice alle sfide del presente, quali le malattie, la vecchiaia, l'inquinamento del pianeta, fino alle pandemie che ci troviamo ancora una volta ad affrontare.
Luigino Bruni continua il percorso iniziato del best seller "Il capitalismo e il sacro" rispondendo a nuovi interrogativi: che cosa del cristianesimo è entrato nel capitalismo? Che cosa è rimasto fuori? Come è entrato? Dai trenta denari a oggi, storia della contaminazione tra economia e religione. C'è un'importante tradizione di pensiero che ha letto il capitalismo come figlio del cristianesimo europeo e occidentale. Ma sebbene prima Marx e poi Benjamin avessero avanzato dubbi profondi sulla natura cristiana del capitalismo, il mito dello "spirito" cristiano del capitalismo ha retto per tutto il XX secolo. Eppure, quella tesi era in origine e resta ancora controversa e debole, in particolare se andiamo a interrogarla a monte (primi secoli cristiani) e non a valle (modernità), quando l'Europa ha formulato le sue prime promesse in rapporto all'economia. In realtà la nascita del capitalismo è stato un allontanamento dallo spirito evangelico, un abbandono della sua principale eredità: la gratuità. L'arte della gratuità non è entrata tra le competenze sviluppate dalla cultura capitalistica, che avendone intuita la natura sovversiva l'ha sostituita con la filantropia.
Rendere non familiare ciò che ci è familiare e il suo contrario sembra essere uno dei fili rossi che attraversano l'intera opera di Zygmunt Bauman. Un compito difficile che può porsi solo colui che ha davanti agli occhi tutto l'uomo, che è capace di guardare al di là della propria specializzazione e leggere di filosofia e psicologia, di antropologia e storia, di arte e letteratura. Come scrive Peter Haffner nella sua prefazione, Bauman non è uomo dei dettagli, delle analisi e inchieste statistiche, delle cifre, dei nudi dati e dei sondaggi. Egli dipinge con pennellate larghe su una grande tela, offre una visione delle cose, lancia delle tesi che vogliono provocare discussione. Se aveva ragione Isaiah Berlin a distinguere due categorie di pensatori e scrittori rifacendosi a un antico detto del poeta greco Archiloco - «La volpe sa molte cose, ma il riccio sa una grande cosa» -, Zygmunt Bauman è insieme riccio e volpe.
Il concetto di identità presenta un carattere intrinsecamente problematico. Che cosa si intende davvero quando si parla di identità? Nel libro si tenta di dare risposta a tale domanda, a partire da vari punti di vista e con proposte di soluzione ai problemi che si annidano nell'uso sociale di questo concetto "equivoco". Ne deriva una visione sfaccettata della questione dell'identità, che resta sempre attuale e cruciale per gli studi antropologici, sociologici, filosofici. Gli autori sono membri di un gruppo di ricerca internazionale di cui faceva parte anche Ugo Fabietti, il quale ha dato un importante contributo alla riflessione sull'identità. Questo libro costituisce un confronto con il suo pensiero, ed è anche un modo per rimediare a una mancanza: il fatto che nessuno dei numerosi seminari organizzati annualmente dal gruppo sia mai stato dedicato specificamente al tema dell'identità, facendone oggetto di uno studio comune. Il gruppo si è allora riunito ancora una volta per riprendere il discorso e intervenire collettivamente sul tema. Il libro che ne deriva offre una pluralità di prospettive e conclusioni, un panorama ampio e variegato di idee in dialogo tra loro. Contributi di Ugo Fabietti, Francis Affergan, Silvana Borutti, Claude Calame, Mondher Kilani, Francesco Remotti.
Fu colonizzazione del Mezzogiorno o nascita di un Paese moderno? A centosessant'anni dall'Unità d'Italia, un'inchiesta storica che prende le distanze dal mito dell'impresa eroica e senza macchie ma ridimensiona soprattutto le ricostruzioni di un Meridione felice e florido sotto i Borbone, aggredito a tradimento dai Savoia. Il Regno delle due Sicilie era davvero una grande potenza economica in ascesa tra cantieristica, acciaierie, tessile e agroalimentare? Quali erano effettivamente il tenore di vita di un abitante del Regno e il suo livello di istruzione? E nell'impresa dei Mille quanti furono i patrioti di origine meridionale? Quanti i liberali che insorsero e si unirono ai garibaldini? Quale fu in quegli anni il vero ruolo della malavita organizzata e quello del brigantaggio? I capitoli controversi analizzati e «rivoltati» dall'autore sono molti: dai fatti di Fenestrelle agli incendi di Pontelandolfo e Casalduni sul cui fuoco continuano a soffiare i «neoborbonici». Tappe cruciali per sgombrare il campo dai molti equivoci di parte e comprendere come avvenne il processo di unificazione della Penisola e come si integrarono le regioni meridionali nel nuovo Stato unitario, come nacque la «questione meridionale» a fine Ottocento e come si è arrivati a quella di oggi.
Basta un niente: una canzone di cinquant'anni fa, un film ambientato a metà dell'Ottocento, una battuta di oggi - eccola che arriva, l'indignazione di giornata, passatempo mondiale, monopolizzatrice delle conversazioni e degli umori. Ogni mattina l'essere umano contemporaneo si sveglia e sa che, al mercato degli scandali passeggeri, troverà un offeso fresco di giornata, una nuova angolazione filosofica del diritto alla suscettibilità, un Robespierre della settimana. La morte del contesto, il prepotente feticismo della fragilità, per cui «poverino» è diventato l'unico approccio concesso, e l'epistemologia identitaria, per cui l'appartenenza prevale su qualunque curriculum di studioso, sono solo alcuni tra i fenomeni più evidenti e dirompenti degli ultimi anni, con effetti pericolosi e grotteschi che in altri secoli erano occasionale damnatio memoriae e ora sono quotidiana cancel culture. Guia Soncini si interroga sulle origini di quest'eterno presente in cui tutto ciò che non ci rispecchia alla perfezione sembra una violazione della nostra identità. Ricorda le opere che avevano previsto la dittatura del perbenismo, dal solito Orwell al romanzo di Philip Roth La macchia umana, «la matrice di tutti i disastri d'incomprensione e suscettibilità»; contesta il ruolo dei social come amplificatori di dissenso e indignazione; individua alcune preoccupanti implicazioni politiche: se a sinistra si perde la capacità di non considerare la fine del mondo ogni parola sbagliata, che ne sarà della libertà d'espressione? Rimarrà solo alla destra lo spazio per dire di tutto, e non passare le giornate a sentirsi feriti da ogni maleducazione? È ora di ricostruire come siamo arrivati fin qui. Al diritto di offenderci, al dovere di indignarci.
Intuitivamente e nell’uso comune utilizziamo le parole «complessità» e «complesso» per denotare qualcosa di difficilmente comprensibile, di cui non è scontato venirne a capo. Dietro questo concetto stanno in realtà molte idee diverse, formalizzate in matematica, in fisica e nelle scienze sociali. Nei vari ambiti si è cercato di precisare quali fenomeni possano essere definiti «complessi», e come il carattere della complessità possa essere misurato, se non addirittura compreso, individuando alcune «leggi».
Se ci si riferisce in modo specifico ai fenomeni sociali è possibile dare alcune risposte a domande come: Viviamo in un mondo più complesso che nel passato? E, se è così, di quali strumenti dobbiamo dotarci per capire e agire in presenza di questi fenomeni?
Sommario
Introduzione (E. Zaninotto). Abitare la complessità (C. Saraceno). Umanesimo proletario (L. Manicardi).
Note sull'autore
Chiara Saraceno, laureata in Filosofia, fino al 2008 è stata docente di Sociologia della famiglia alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino. Dal 2006 al 2011 è stata docente di ricerca al Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino. Attualmente è honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino.
Luciano Manicardi, laureato in Lettere classiche all’Università di Bologna, dal 2017 priore della comunità di Bose. Collabora a diverse riviste, tra cui Parola Spirito e Vita. Con EDB ha pubblicato, tra gli altri, La crisi dell’età di mezzo (2015).
In questo libro ci sono sette storie. Possono essere lette come sette indagini poliziesche che hanno per oggetto un animale. L'animale in questione non è necessariamente dei più esotici: si inizia con le talpe dal muso stellato, ma poi si trovano anche serpenti marini, toporagni, anguille elettriche e vespe. C'è sempre un mistero da risolvere, e c'è l'avventura della sua ingegnosa soluzione, che prende il lettore pagina dopo pagina, come accade in un poliziesco di qualità. Ma è solo quando si giunge alla soluzione del caso che si insinua davvero la meraviglia. Certi animali, anche comuni, visti da vicino mostrano adattamenti e strategie di vita che hanno del miracoloso. L'evoluzione ha scolpito col tempo comportamenti che lasciano letteralmente a bocca aperta, e il gusto della loro scoperta è impagabile. Di storia in storia, non solo impariamo dettagli stupefacenti sul mondo naturale, ma apprezziamo anche in maniera vivida l'eleganza e la creatività del metodo sperimentale. Kenneth Catania rende vivo e palpabile sotto i nostri occhi quel guizzo creativo che è sempre necessario mettere in campo se si vuole risolvere un enigma scientifico, perché la scienza è innanzitutto divertente e appagante, e il mondo naturale che svela è un vero miracolo di inventiva, una fonte continua di stupore e meraviglia.
L'odio sembra una realtà dominante nella storia dell'umanità e nel mondo globale, diviso e polarizzato. "Noi" si contrappone a "loro", percepiti non come singoli individui, ma come un gruppo nemico verso cui si nutre pregiudizio e intolleranza: stranieri, ebrei, rom, musulmani, donne, omosessuali, persone fragili... Ma la nostra mente è per natura ostile? il cervello è irrimediabilmente programmato per l'odio? Anche se meccanismi inconsci spingono gli esseri umani a percepire con paura le diversità, le neuroscienze descrivono menti empatiche, che si rispecchiano e si identificano con l'altro in modo innato. In realtà, sono le politiche dell'odio che costruiscono il nemico e ci manipolano. Le folle emotive rincorrono fake news e complottismi, le posizioni si polarizzano, la violenza può diventare estrema. Mutano continuamente le forme di odio collettivo: il razzismo da biologico diventa culturale, l'antisemitismo subisce pericolose metamorfosi, cambia l'aggressività contro le donne. Ma, in un mondo in cui sembra ancora prevalere il pregiudizio emotivo, odio, aggressività e reazioni ostili non sono inevitabili: è possibile contrastare il disimpegno morale e riscoprire il senso di un destino comune.
Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva. Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male. È con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità di essere pienamente noi stesse. Per ogni dislivello di diritti che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. Accade ogni volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca o architetta perché altrimenti «dovremmo dire anche farmacisto». Succede quando fate un bel lavoro, ma vi chiedono prima se siete mamma. Quando siete le uniche di cui non si pronuncia mai il cognome, se non con un articolo determinativo davanti. Quando si mettono a spiegarvi qualcosa che sapete già perfettamente, quando vi dicono di calmarvi, di farvi una risata, di smetterla di spaventare gli uomini con le vostre opinioni, di sorridere piuttosto, e soprattutto di star zitta. Questo libro è uno strumento che evidenzia il legame mortificante che esiste tra le ingiustizie che viviamo e le parole che sentiamo. Ha un'ambizione: che tra dieci anni una ragazza o un ragazzo, trovandolo su una bancarella, possa pensare sorridendo che per fortuna queste frasi non le dice più nessuno.