Arnold Esch ricostruisce uno degli snodi più importanti della storia di Roma: il passaggio dalla città del tardo Medioevo a quella, affascinante, del Rinascimento. Il secolo che inizia con il Grande Scisma (1378) e si chiude, in pieno Rinascimento, alla fine del pontificato di Sisto IV (1484) è un secolo decisivo: il papa diventa padrone della città ribelle e la vita sociale ed economica ruota sempre più intorno alla sua corte. Gli umanisti diffondono uno sguardo nuovo sull'antichità. La vita religiosa acquista sfumature inedite grazie ai pellegrini che accorrono in città negli anni santi e alla crescente pietà laica femminile. La vivace attività edilizia e l'intensa committenza artistica di papi e cardinali rinnovano l'aspetto di Roma e la sua attrattiva. La storia di Roma, in quanto capitale della cristianità, assume una dimensione ulteriore: è storia di una città e allo stesso tempo storia mondiale. Continuando la lunga tradizione della storiografia tedesca su Roma, Arnold Esch ripercorre con maestria questa trasformazione, che è insieme ecclesiastica, sociale, economica e culturale.
La famiglia sfugge da sempre alla morsa del diritto: è infatti una realtà tanto complessa che quest’ultimo cede all’idea di poterla regolare in tutti i suoi aspetti. Già i Romani avevano intuito questa problematica preferendo indirizzare la ‘mano visibile’ del diritto verso i suoi aspetti patrimoniali, sicuramente più immediati e tangibili. Se, per un verso, anche nelle costruzioni giuridiche successive molti elementi della famiglia non affrontano il ‘crisma’ della giuridicità, per l’altro, è vero che una parte importante di quella complessa realtà, fatta di interessi, aspettative, convinzioni e affetti che è appunto la famiglia, si riflette nella comprensione della dimensione patrimoniale che il diritto progressivamente ordina. Portare alla luce le strutture giuridico-patrimoniali e le loro trasformazioni nel corso di un arco temporale che va dai cambiamenti vissuti dalla famiglia romana all’inizio del primo Millennio d.C. sino alla ristrutturazione della famiglia avvenuta intorno al XII secolo, è l’obiettivo di questo volume. In particolare, sono state analizzate tre aree: la Penisola Iberica, l’Italica e il mondo bizantino – quest’ultimo spesso tralasciato dagli studi di storia del diritto europeo – allo scopo di cogliere lo ‘spirito’ comune delle loro strutture familiari. Proprio attraverso lo studio dalle sfere familiari e delle loro evoluzioni nel tempo e nello spazio è stato possibile avanzare nuove ipotesi interpretative intorno agli scambi patrimoniali tra famiglie.
Manuel Vial-Dumas è professore di Storia del diritto presso l’Universitat de Girona e la Universitat Oberta de Catalunya; è, inoltre, docente nel Corso di dottorato in Diritto dell’Universidad de Buenos Aires. È stato visiting researcher presso l’Università Nazionale Capodistriana di Atene e nell’Università degli Studi di Genova.
Le radici dell’Europa sono cristiane, e non può essere altrimenti: a partire dalla conversione dell’Impero Romano al cristianesimo, la fede ha rappresentato per il Vecchio Continente la salvezza e la ragione della sua crescita, influenzando e inglobando anche gli altri popoli a Nord del Mediterraneo. In questo saggio lo storico e polemista Belloc ribadisce la sua convinzione che ogni tentativo di spiegare gli accadimenti storici del continente europeo indipendentemente dalla prospettiva cattolica sia inutile. Lo smarrimento della comune fede cattolica, coincidente con la Riforma protestante, ha frantumato anche l’identità e l’unione politica dell’Europa, consegnandola ai nazionalismi. Solo così si spiegano il razionalismo del XVIII secolo, il materialismo del XIX e le guerre del XX: l’unica terapia che Belloc ritiene efficace per l’Europa è il ritorno alla fede che, attraverso la Chiesa cattolica, l’ha storicamente plasmata.
Nel 2013 Gino Bartali viene riconosciuto dallo Yad Vashem come Giusto fra le nazioni: da dopo la sua morte, infatti, si racconta che fra il 1943 e il 1944 "Ginettaccio", già vincitore di due Giri d'Italia e un Tour de France, abbia collaborato alla rete clandestina che consentì a molti ebrei di sfuggire alla deportazione. È una delle storie simbolo della Giornata della Memoria, eppure - priva com'è di documentazione e testimonianze dirette - non è solo storicamente infondata: è palesemente falsa. Ma com'è che abbiamo finito per crederci tutti? Alla fine del Novecento si è avviato un processo che oggi sembra compiuto: il divorzio fra storia e memoria. La ricostruzione del passato non è più compito esclusivo degli storici, ma si affida a memorie ripescate a distanza di decenni, a voci di seconda o terza mano, al sentito dire; le informazioni false, grazie alla rete, si rincorrono fuori dal ritmo prudente e meditativo della storia. E così può succedere che la favola del campione coraggioso che usa la sua bicicletta per salvare vite diventi, nell'immaginario degli italiani, una realtà.
Fin dal 1859, la storia d'Italia è costellata da un susseguirsi di episodi di violenza politica che hanno segnato nel tempo l'identità stessa del nostro paese. La ferocia di questi atti assume sempre una valenza comunicativa: a volte il mandante ha alle spalle una legittimazione statale, come il comandante militare in guerra o durante uno stato di assedio; altre volte opera senza una copertura istituzionale o in aperto conflitto con l'autorità costituita, come lo squadrista, il mafioso o il terrorista. In alcuni casi la violenza è entrata nella coscienza pubblica e si è radicata nella memoria collettiva attraverso le notizie sui media, le fotografie e i filmati o la raccolta di informazioni per le indagini e per i processi giudiziari. In altri casi, invece - come nelle fucilazioni 'disciplinari', nei massacri di civili ma anche negli stupri di guerra - la violenza è stata in gran parte nascosta finché un lavoro di ricostruzione storica e documentaria non l'ha riportata alla luce. David Forgacs, uno dei più originali e innovativi studiosi dell'Italia contemporanea, esamina dodici casi di violenza che si sono consumati nel nostro paese e nelle sue colonie tra il 1859 e il 2018. Il risultato è un libro che cambierà il modo di pensare non solo alla violenza ma anche alla storia italiana dell'ultimo secolo e mezzo.
Il cibo è uno straordinario strumento di comunicazione. È una forma di linguaggio che comunica idee e valori, caricando il gesto del mangiare di significati che pur cambiando nel tempo e nello spazio hanno sempre una straordinaria forza espressiva - quella che solo gli oggetti e le pratiche d'uso quotidiano possono avere. Questo libro descrive la dimensione politica del linguaggio alimentare, in due direzioni. Da un lato guarda al cibo come segno di appartenenza a una comunità, capace di definire l'identità di gruppi sociali, economici, culturali, religiosi - per ciò stesso assumendo una dimensione politica. Dall'altro guarda alle azioni promosse dai pubblici poteri per garantire sicurezza alimentare ai sudditi, o cittadini: politici sono quegli interventi; politici i 'discorsi' che li accompagnano, facendone veicolo di propaganda e di narrazioni collettive. Intrecciando e facendo interagire tali prospettive, il 'linguaggio del cibo' non si limita a esprimere il reale, ma contribuisce a crearlo - come tutte le forme di comunicazione. I saggi del volume si muovono liberamente nel tempo e nello spazio, attraversando i territori della storia, dell'antropologia, della semiotica, della filosofia, della storia dell'arte. Approcci diversi e complementari, che evidenziano le sorprendenti potenzialità della storia dell'alimentazione come chiave di accesso alla storia.
Esaltata e ricercata per le sue qualità religiose e intellettuali, temuta per la sua intraprendenza, accusata di tramare per la conquista del mondo, la Compagnia di Gesù è tra le espressioni più importanti di quel rinnovamento della Chiesa cattolica che nel Cinquecento seguì la crisi provocata dalla riforma protestante e che portò alla nascita di numerosi nuovi ordini religiosi. Espressione della forte personalità di Ignazio di Loyola, seppe interpretare al meglio le esigenze della società di antico regime impegnandosi nei campi più disparati, da quello educativo a quello missionario, a quello spirituale, mantenendo d'altra parte uno stretto legame con il potere politico. La dimensione universale progressivamente assunta dall'ordine lo rende ancora più interessante: attraverso la sua storia è possibile seguire l'evoluzione non solo dell'Europa moderna, ma anche di paesi come la Cina o il Paraguay, dove i gesuiti si stabilirono con successo e da dove riportarono ai contemporanei i loro resoconti di quei mondi lontani.
«Del grande intellettuale sardo non vedevamo che "la testa", lo storico degli intellettuali, l'analista delle tre "quistioni" del Mezzogiorno d'Italia (il Napoletano, la "quistione siciliana", la "quistione sarda"), lo studioso originale del capitalismo americano, il teorico dell'"egemonia", cioè del socialismo innervato di consenso. Poco sapevamo della sua vita, la famiglia, l'infanzia in Sardegna, i primi studi, il breve processo di formazione, e poi l'integrazione a Torino, il ruolo effettivo nel Congresso di Livorno (1921), i veridici rapporti (dopo l'arresto) con Togliatti, la rottura con i comunisti incarcerati a Turi, l'eterodossia rispetto a Stalin. Pensai allora che l'operazione di aggiungere "gambe e corpo" alla "testa" - così da avere di Gramsci il ritratto intero - potesse non essere fuori dalla portata del cronista ostinato.» Così Giuseppe Fiori dà avvio al ritratto di Gramsci «a figura intera, con i tuffi del sangue e della carne». Pubblicata per la prima volta nel 1966 e tradotta in dodici lingue, questa biografia sconvolse l'ortodossia comunista, che di Gramsci vedeva o voleva far vedere solo «la testa», e da allora non è mai invecchiata, anzi in un certo senso ha ricevuto sempre nuova freschezza dai materiali inediti su Gramsci via via ritrovati. Introduzione di Alberto Asor Rosa.
Amsterdam, un sabato mattina del novembre 1942. Mamma Lena dà un bacio in fronte a Salo che sta entrando a scuola e gli dice: «A stasera e fai il bravo». A sei anni quelle parole sono i titoli di coda della vita serena di Salo Muller, che in questo libro racconta il suo inferno, dai contorni non ancora definiti a quell'età, e forse per questo ancora più doloroso. Mamma Lena e papà Louis sono vittime di uno dei tanti rastrellamenti voluti dalle SS in Olanda: finiscono deportati ad Auschwitz e Salo resta orfano. La resistenza olandese lo nasconde, lo aiuta a trovare alloggi di fortuna e famiglie che si fanno carico di lui. Alla fine della guerra lo attende una nuova partenza in un mondo libero: lo accolgono gli zii e dopo problemi di salute e di adattamento, trova la sua strada diventando fisioterapista dell'Ajax di Johan Cruijff, negli anni d'oro dal 1960 al 1972. Ma la pienezza della sua vita diventa la testimonianza: "Com'è possibile che sia accaduto? È una domanda che mi assilla ancora oggi. ... Ora però è giunto il momento di condividere questa storia, la storia della mia vita. Servirà a qualcosa? ...Non so rispondere, ma devo condividerla una volta per tutte".
La prima guerra mondiale in Italia segna uno snodo della storia del progressivo inserimento dei cattolici nella vicenda umana, sociale e politica del paese. Incertezze, divisioni e conflitti alla fine misero capo anche a nuovi equilibri e punti di convergenza diversi da prima della guerra, dalla quale il cattolicesimo italiano uscì profondamente modificato: se nel 1914 il movimento cattolico aborriva la stessa espressione "partito", nel 1919 nacque il Partito popolare italiano, di chiare ascendenze cristiane, che alle elezioni politiche divenne il secondo partito di massa del paese. Il libro identifica alcuni passaggi cruciali di questo mutamento, individuandone gli effetti nel breve periodo della drammatica crisi post bellica, ma anche le tracce di una influenza più lungamente distesa nella storia successiva.
L'amicizia fra Alcide Gasperi e Stefano Jacini, nata durante il ventennio fascista, divenne uno dei legami più significativi mantenuti dal politico trentino con la passata esperienza del Partito Popolare. Questo volume ne ripercorre l'itinerario attraverso il dialogo intrapreso dai due cattolici antifascisti nel comune «esilio in patria». La solidarietà dimostrata dal cattolico-liberale lombardo nei confronti del futuro presidente del Consiglio - incarcerato dal regime nel 1927 e, dal 1929, bibliotecario vaticano - si trasformò in una collaborazione culturale che diede origine a riflessioni e pubblicazioni storiche di ampio respiro sui rapporti fra cattolicesimo e libertà nella contemporaneità otto-novecentesca. Costretti a vivere «nella storia» dalla forzata inattività politica, De Gasperi e Jacini riemersero dall'isolamento con il ripensamento autocritico della tradizione popolare culminato nella fondazione della Democrazia Cristiana postfascista. Il volume è arricchito dal carteggio degasperiano con Jacini, in larga parte inedito, fra il 1923 e il 1943.
Quarta edizione del Napoleone di Luigi Mascilli Migliorini, vincitore del Grand Prix della Fondation Napoléon, diventato in questi anni una delle maggiori biografie del grande personaggio. Un libro affascinante, un rinnovato, esaustivo contributo alla conoscenza di una delle piú appassionanti figure della storia, in cui la trattazione, resa avvincente dal riferimento a particolari aneddotici e ad autorevoli fonti letterarie, piuttosto che celebrare il politico o l'uomo d'armi, narra la storia dell'uomo, "spettatore e attore" della propria esistenza nel quadro storico in cui ha vissuto.