"L'insegnamento del disprezzo" (1962) è un'opera nella quale Jules Isaac torna sul tema delle radici cristiane dell'antisemitismo. Nel 1960 il suo "grido di angoscia" aveva raggiunto i vertici della Chiesa di Roma e dal suo incontro con Giovanni XXIII era nata l'idea di un documento che si sarebbe poi trasformato in "Nostra Aetate" (1965), la Dichiarazione del Concilio Vaticano II che ha dato inizio al dialogo ebraico-cristiano e interreligioso. Con quest'opera, che segue "Gesù e Israele" (1948) e "Genesi dell'antisemitismo" (1956), lo storico francese continua quella che per oltre vent'anni ha considerato la missione della sua vita, ovvero correggere l'insegnamento del disprezzo per trasformarlo nell'insegnamento della stima. Prefazione di Marco Cassuto Morselli.
In questo volume sono presenti spunti e intuizioni che nascono dallo studio e dall'esperienza di vita dell'autrice, Yarona Pinhas, elaborati attraverso una sintesi dei principali concetti della Cabbalà. Il testo è arricchito da tavole a colori realizzate da Letizia Ardillo che guidano alla contemplazione del testo, al sentire del cuore. Lo scopo del libro è di riportare l'attenzione al cuore come luogo del sentire integro, come l'epicentro della creazione e dell'uomo. Lì dove il cervello comunica nel locale, il cuore parla al globale. Il cervello pensa, ma il cuore sa.
Per duemila anni cristiani ed ebrei hanno dimenticato che Gesù non era soltanto di discendenza ebraica, ma a tutti gli effetti un buon ebreo in senso religioso. Un oblio che ha creato da entrambe le parti una polarizzazione tra "noi" e il "Cattivo-Altro", ma soprattutto ha avuto per conseguenza secoli di antiebraismo e la terribile frattura di Auschwitz. In un mondo sempre più globale, per Ágnes Heller è necessario «detotalizzare» il concetto di Verità: la "resurrezione" del Gesù ebreo, infatti, rende possibile l'ecumenismo, che «non solo tollera l'altra religione, ma cerca anche ciò che unisce una religione all'altra». "Gesù l'ebreo" è un testo «denso di speranza» che parla al nostro tempo polverizzato in posizioni inconciliabili, ed è capace di mettere in discussione ogni forma assoluta di pensiero e fondamentalismo. Prefazione di Vittoria Franco.
La riflessione di Schwarzschild sul divieto di idolatria - tema fondamentale per la fede e la prassi religiose del mondo ebraico - è un commento filosofico-rabbinico al precetto di non farsi alcuna immagine di Dio. È, però, anche un'applicazione di questo comando alla storia del sentimento religioso e della spiritualità, dal momento che farsi immagini costituisce un bisogno umano che, proprio perché tale, va sottomesso all'imperativo divino. Rinunciando a stigmatizzare le pur pericolose idolatrie del nostro mondo, Schwarzschild si concentra sulla "madre di tutte le idolatrie", quella religiosa, perché è l'idolatria che pretende di non esserlo, quella che si smercia per veritas e vera religio. Nell'approccio di questo originale pensatore ebraico, idolatra è chiunque creda o pensi che si possa eliminare la cesura tra divino e umano, tra idealità e realtà. La proibizione dell'idolatria diventa, in questa prospettiva, la formula negativa con cui si tutela la primaria e più alta verità della rivelazione divina e della riflessione razionale umana: esiste un Dio uno e unico, nel quale l'unità numerica sfuma e si trascende nella sua dimensione morale.
La domenica di Pasqua del 1475, il cadavere di un bambino di due anni di nome Simone fu trovato nella cantina di una famiglia ebraica a Trento. I magistrati della città arrestarono tutti gli uomini ebrei che vivevano nella città con l'accusa di omicidio rituale: l'uccisione di un bambino cristiano per utilizzarne il sangue nei riti religiosi ebraici. Sotto tortura, gli uomini confessarono e furono condannati a morte; le loro donne, che erano state tenute agli arresti domiciliari con i figli, avevano denunciato sempre sotto tortura gli uomini, e alla fine si convertirono al cristianesimo. Fu così che ebbe inizio il culto di Simonino, abolito dalla Chiesa solo nel 1965 dopo il Concilio. R. Po-chia Hsia ricostruisce in modo avvincente tutti gli aspetti di questa tragica, infame vicenda, tratteggiando i personaggi coinvolti, svelando gli intrighi politici nei rapporti tra papato e impero e inquadrando il processo agli ebrei di Trento nella più ampia prospettiva dell'antigiudaismo medievale.
Il più autorevole e infaticabile tra i fautori cattolici del Ravvicinamento tra la Chiesa e il popolo ebraico, del superamento definitivo di incomprensioni, diffidenze, ostilità, fondate su credute ragioni religiose che hanno contribuito nel corso dei secoli al nascere dell'infausto fenomeno dell'antisemitismo, offre in questo libro la trama teologica della sua lunga opera e insieme il commento alla Dichiarazione conciliare sulla relazione della Chiesa con le religioni non cristiane; principalmente alla parte che si riferisce agli Ebrei (28 ottobre 1965). È un passo decisivo e irreversibile che la Chiesa ha compiuto, nell'approfondita fedeltà alla verità biblica, riconoscendo e proclamando che non si può parlare di una colpa collettiva del popolo ebraico, nella passione e morte di Cristo: non per tutti gli Ebrei palestinesi o della diaspora allora viventi, e tanto meno per quelli dei secoli successivi fino ai nostri giorni. È la vittoria della fede, nella sua formulazione esatta, purificata, sopra certe rappresentazioni e convinzioni volgari secondo cui il popolo ebraico è oggetto di una riprovazione o ripudio assoluto di Dio, e perciò soggiace a un destino di dannazione, e di persecuzione anche terrena, a giusto motivo. È l'assenso cordiale alla parola paolina secondo cui le "promesse di Dio sono irrevocabili" e perciò il Signore ha sempre cari gli Ebrei e si riserva, entro la fine dei tempi, di integrarli al suo popolo nuovo, che attende la gloria nella sua Parusia.
Paolo Sacchi, grande figura di ebraista e storico di fama internazionale, ben noto per la ricchezza del suo lavoro sulla Apocalittica e la "Bibbia dei Settanta", ritorna qui a interrogarsi su Gesù e dunque sui Vangeli. Focalizzandosi sul Vangelo di Marco, tenta di capire che cosa Marco abbia voluto dire mettendo in bocca a Gesù l'enigmatica e ancor oggi discussa espressione "Figlio dell'Uomo", che va intesa a partire dal rapporto dell'evangelista con la tradizione apocalittica: «Gesù si autorivela come Figlio dell'Uomo perché Dio lo rivela come Figlio di Dio». Tale rivelazione dà anche il significato all'Ultima Cena, dove Gesù stringe il suo Patto, con la promessa di risurrezione, con i discepoli e quindi con tutti gli uomini. Sono pagine che sorprendono il lettore, perché, come scrive l'autore, «nello scorrere degli anni ho amato sempre più Gesù. Ho studiato la sua vicenda con un entusiasmo particolare che vorrei comunicare al lettore con parole che, pur nella freddezza dell'esposizione, lo lasciassero trapelare».
L'autore illustra il sistema di potere dell'Israele biblico senza far velo sugli aspetti oggi meno comprensibili: le incessanti guerre e le intemperanze della vittoria, l'ordinamento penale di tremenda durezza, lo statuto familiare con il concubinato e il divorzio. Il tutto interpretato con un taglio storico-giuridico. È analizzata anche la meno nota legislazione sociale, sorprendentemente avanzata, con la tutela legale del povero, del salariato, del contraente debole, in una scala di valori che non ha eguali nel mondo antico. Filo conduttore è la pedagogia dei Profeti, con i loro tratti socio-psicologici tra ideali di democrazia teocratica e un profondo desiderio di apocalisse.
La persecuzione fascista contro gli ebrei fu una pagina tragica della storia italiana, a lungo rimossa dalla memoria collettiva. Si diffuse l'idea che la legislazione antiebraica fascista non fosse troppo dura e che la responsabilità degli arresti e delle deportazioni fosse esclusivamente dei nazisti. Solo con gli anni sono emersi la radicalità dell'antisemitismo fascista e il decisivo ruolo di Mussolini. Il settore da cui nel 1938 si avviò la politica persecutoria fu quello dell'istruzione, ritenuta il cardine attraverso cui plasmare la mentalità degli italiani, e un ruolo di primo piano, per elaborare e propugnare il razzismo di Stato, sarebbe stato occupato dall'università. Il libro ricostruisce l'applicazione della legislazione antiebraica all'Università di Milano, dove la svolta antisemita fascista colpì quaranta tra professori, aiuti e assistenti. In molti casi erano illustri studiosi, che avevano messo a disposizione della causa fascista il proprio sapere; personalità diverse, per età ed esperienze, le cui vite vennero tragicamente accomunate dalla persecuzione. L'autore ne ripercorre le storie, raccontando le loro carriere, l'adesione al fascismo e il rapporto con l'ebraismo; ma anche l'allontanamento dall'accademia, le scelte di vita, la ricerca della salvezza e il ritorno a guerra finita. Sono storie di privazione, di fuga, di resistenza e, purtroppo, anche di deportazione. Al termine del conflitto, molti decisero di riprendere il proprio posto, spesso al fianco di chi li aveva sostituiti, in una sorta di continuità con il passato. Così fu anche per gli studenti, il cui ritorno fu segnato dall'indifferenza con cui ripresero gli studi. Come nota Michele Sarfatti nella prefazione, il libro intreccia la storia generale alle storie dei singoli, mettendo in luce il processo di rimozione che ha caratterizzato la realtà italiana del dopoguerra e contribuendo così all'adozione di uno sguardo «democratico e sincero su quel passato». Presentazione di Massimo Castoldi.
Il tema di questo trattato è la festa di Sukkòt. Questa festa, delle "capanne" o dei "tabernacoli", come veniva chiamata anticamente in italiano, è la terza, dopo Pèsach e Shavu'òt, delle tre feste di pellegrinaggio prescritte dalla Torà. È una festa che dura sette giorni, iniziando il 15 del mese di tishrì, cinque giorni dopo il giorno di Kippùr, con una appendice di un ottavo giorno finale di festa, Sheminì 'Atzèret. Nella sua istituzione biblica questa festa si caratterizza per due regole principali. La prima è quella della sukkà, la capanna: Nelle capanne (sukkòt) risiederete per sette giorni, ogni cittadino in Israele risiederà nelle capanne. Affinché le vostre generazioni sappiano che ho fatto dimorare i figli d'Israele nelle capanne quando li feci uscire dalla Terra d'Egitto (Lev. 23:42). La regola della capanna consiste nell'obbligo di trasferirsi nei giorni della festa dalla propria abitazione in una abitazione temporanea, il cui elemento distintivo è un tetto, che deve essere di materiale vegetale staccato dal terreno dove è cresciuto, che non sia stato ancora trasformato in un kelì, ossia in un recipiente o oggetto lavorato. Il motivo di questa regola è specificato nella Torà, e è quello di ricordare che quando gli ebrei uscirono dall'Egitto dimorarono in capanne, abitazioni precarie, e vi rimasero per i quaranta anni di peregrinazioni nel deserto prima dell'ingresso nella Terra promessa. L'altra regola, quella degli arba'à minìm, le quattro specie, è semplicemente prescritta ma non motivata: E prenderete per voi nel primo giorno il frutto dell'albero di bell'aspetto, rami di palma, ramo dell'albero dal fogliame fitto e salici di fiume, e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni (Lev. 23:40). La regola consiste nel prendere quattro specie vegetali, che la tradizione specificherà essere un cedro, un ramo di palma, due di salice e tre di mirto, e agitarle nelle giornate festive. Un'ampia tradizione successiva ha cercato di interpretare il senso di questa regola, che certamente si basa sul rapporto con il mondo vegetale e rappresenta l'unione di realtà differenti (che nelle varie interpretazioni simboliche possono essere le parti anatomiche di un essere umano, o le componenti di una comunità, o gli aspetti delle manifestazioni della realtà divina). La festa di Sukkòt si colloca in un momento particolare dell'anno, anticipando l'arrivo della attesa stagione delle piogge, e chiude il ciclo agricolo annuale; nel suo simbolismo comprende un legame con la terra e l'agricoltura, e un richiamo storico generico al periodo della permanenza nel deserto. Quindi, per molti aspetti, sottolineati proprio dal simbolo della capanna, è il momento in cui si riflette sulla debolezza e sulla precarietà dell'esistenza. Su questi temi, il trattato presenta numerose storie e leggende, suggestive e pregne di significato.
Alle porte di Dio giunge chi è povero, bisognoso della gran luce di Dio. Alle porte di Dio il mendico di Dio si sofferma, bussando leggermente per ottenere il pane e l'acqua di Dio per la sua fame e la sua sete di Dio. Chi cammina incontro a Dio cammina verso Iddio e sa che la fine di ogni tappa è l'inizio di una tappa che chiama un altro inizio. Ogni mattina Dio è nuovo, un Dio in cui l'uomo si rinnova all'infinito. Qualsiasi evento apparentemente straordinario narrato in questo libro è di secondaria importanza nella storia della mia conversione. Questa conversione fu motivata dall'amore di Gesù Cristo, un amore che derivò dalle mie meditazioni sulle Scritture.
Il "Dizionario Teologico degli scritti di Qumran" prende in considerazione nella sua integrità il lessico dei manoscritti rinvenuti nei pressi del Mar Morto attorno alla metà del secolo scorso e ne illustra la semantica da una prospettiva primariamente teologica. Dopo la fase di ricostruzione, deciframento ed edizione del corpus integrale degli scritti qumranici, questo dizionario persegue il duplice intento di mettere a disposizione del grande pubblico i risultati raggiunti dalla ricerca più recente sulla letteratura portata alla luce nelle grotte di Qumran, e insieme di fornire allo studioso e allo specialista dati imprescindibili per qualsiasi lavoro che si concepisca saldamente radicato ai testi. Sempre più chiaramente va emergendo la grande varietà del giudaismo dei tempi di Gesù, e in questa prospettiva il Dizionario Teologico degli scritti di Qumran consente di comprendere in modo più puntuale lo sviluppo delle relazioni fra i grandi gruppi e raggruppamenti del giudaismo antico, in modo particolare il sacerdozio veterotestamentario e giudaico fino ai sadducei dell'età neotestamentaria. Da ?e?ed/???îd a k?bôd, passando per ji?r?'?l, questo terzo volume si distingue per Tutta una serie di voci di rilievo, ad esempio ??kam (sapiente), ??sab (calcolare, progettare), ??m?' (purità), ecc.