Da cosa nasce cosa: il restauro di un'antica pietra attira un progetto didattico e questo viene condiviso mediante una mostra al pubblico; il tutto infine diventa libro che contiene una proposta di alto valore educativo. E tutto questo grazie ad una rete di collaborazioni che il liceo Giovanni Paolo I ha intessuto con soggetti istituzionali e privati di Venezia. Contributi di: Adriana Augusti, Natalino Bonazza, Anna Chiarelli, Fabrizio Favaro, Patrizia Fiasconaro, Anna Fornezza, Ettore Merkel, Leonardo Pasqualetto, Claudio Torresan.
L'arte romana ha soppiantato quella greca guidando la storia della creazione artistica verso una direzione nuova. Sfida, questa, storicamente difficilissima, dal momento che l'arte era intesa dai contemporanei come fenomeno propriamente greco, il che espose i Romani all'accusa di imitazione. Contrariamente ai Greci, gli artisti dell'Impero romano non cercarono di ricreare in maniera perfetta modelli presi dal mondo naturale, ma furono piuttosto interessati a rappresentare il mandato del sovrano, rappresentato dai filosofi romani come parte stessa del fato. Lo sviluppo graduale nel tempo dell'arte romana, di cui ogni passaggio resta per noi perfettamente tracciabile, condusse infine al grado di astrazione tipico dell'arte bizantina. Quando, dopo la morte di Cesare, il futuro Augusto, suo figlio adottivo, trionfò nella lotta per il potere sconfiggendo Marco Antonio nella battaglia di Azio il 2 settembre del 31 a.C, e successivamente diede una nuova costituzione allo Stato unificato (sotto l'influenza del suo consigliere Mecenate), l'arte romana trovò finalmente il proprio fondamento. Il Principato, nuova istituzione statale che si , rivelò decisiva per la nascita dell'arte di Roma, fu una felice combinazione di due forme di governo a prima vista incompatibili: repubblica e monarchia. Impulso fondamentale, in questo, è stata la scoperta del profilo di Mecenate (65-8 a.C), il quale recitò un ruolo fondamentale nella formazione dell'arte romana.
Come i grandi artisti, da Giotto a Saul Steinberg, hanno immaginato, disegnato, dipinto gli alberi. E come Pericoli li ha reinterpretati, nel suo album più personale.
Dire che questo libro "colma una lacuna" può sembrare un luogo comune, ma risponde come raramente a verità in questo caso. Infatti, all'interno della pur sterminata bibliografia sulla pittura fiorentina del '400 mancava un'opera, come la presente, che prendesse in esame, in stretta relazione tra loro, la realtà sociale, le teorie artistiche e la pittura dell'intero arco del secolo e soprattutto che ponesse sullo stesso piano di indagine sia i pittori più famosi che quelli meno conosciuti, restituendo il vero volto dell'arte pittorica a Firenze nel XV secolo, quando le grandi novità della nuova stagione umanistica convivono per tutto il periodo con la tradizione tardo trecentesca e di bottega.
Fu in Germania che, nel Quattrocento, l'invenzione della stampa, dell'incisione e della xilografia fornì al singolo la possibilità di diffondere le proprie idee in tutto il mondo. Proprio mediante le arti grafiche la Germania assurse al ruolo di grande potenza nel campo artistico, grazie principalmente all'attività di un artista che, benché famoso come pittore, divenne una figura internazionale solo per le sue doti di incisore e xilografo: Abrecht Dürer. Le sue stampe per più di un secolo costituirono il canone della perfezione grafica e servirono da modelli per infinite altre stampe, come pure per dipinti, sculture, smalti, arazzi, placche e porcellane, non solo in Germania, ma anche in Italia, in Francia, nei Paesi Bassi, in Russia, in Spagna e, indirettamente, persino in Persia. L'immagine di Dürer, come quella di quasi tutti i grandi, è cambiata secondo l'epoca e la mentalità in cui si è riflessa, ma sebbene le qualità distintive della sua innegabile grandezza furono variamente definite, questa grandezza fu riconosciuta subito e mai messa in dubbio. Con un testo di Erwin Panofsky.
«La storia è come un tessuto variopinto, con figurazioni e ornati irregolari: a volerlo tagliare secondo linee nette, se ne guastano i disegni, se ne scompongono i motivi, col rischio di renderli illeggibili. Cosí, scrivere una storia dell'arte in Europa dal 1300 al 1399 sarebbe un'impresa artificiale, che spezzerebbe assurdamente le carriere di molti artisti (...)».
Michele Tomasi, L'arte del Trecento in Europa
Il Trecento fu un secolo di notevoli cambiamenti nell'arte europea, molti dei quali destinati a un grande avvenire: se il ritratto inteso in senso moderno è in fase embrionale, un nuovo interesse per la natura prepara il terreno alla rappresentazione del paesaggio. La progettazione urbana acquista un'importanza fino ad allora sconosciuta, mentre si fa strada un concetto diverso del mestiere d'artista, da cui scaturirà la nostra idea di genio creatore. Nuovi committenti e acquirenti avanzano sulla scena, richiedendo la realizzazione tanto di oggetti originali quanto di temi inediti. Nuovi centri artistici s'impongono, come Avignone, Barcellona, Praga, Vienna.
Abbracciando in uno sguardo unitario buona parte del continente europeo, questo volume offre alcune chiavi di lettura per decifrare i capolavori di un'epoca di sfolgorante varietà, prestando particolare attenzione agli uomini e alle donne che hanno fabbricato, usato, osservato le opere d'arte. Artisti ancor oggi celebri, come Giotto o Giovanni Pisano, o straordinari maestri ormai anonimi, sovrani o suore, vescovi o mercanti vollero gli edifici, le sculture, i dipinti, ma anche gli oggetti preziosi - arazzi e ricami, avori e oreficerie - che ancora ci parlano dei loro bisogni, desideri, paure e convincimenti, continuando a suscitare la nostra ammirazione.
Nella notte tra il 17 e 18 di ottobre del 1969 svaniva per sempre, rubata con inaudita semplicità, la "Natività" di Caravaggio, opera magnifica e tra le più importanti dell'ultimo periodo del Maestro, e l'unica dipinta durante l'incerto soggiorno del pittore a Palermo. Il quadro di grandi dimensioni copriva una parete del mistico e festoso Oratorio di San Lorenzo ed era incastonato nei "teatrini", che ornavano tutto il complesso, dell'altro sommo Giacomo Serpotta. Opera d'arte immensa, dunque, non solo il dipinto, ma nel complesso il luogo in cui si inseriva. Il danno del furto fu inestimabile. E riassunse agli occhi dell'opinione pubblica più civile un'immagine di violenza, di incuria ambientale, di negligenza delle autorità. Un'immagine simbolo dell'inerte decadenza in cui era stata irretita una città una volta orgogliosa. Di questa sorta di stupro alla città, Scarlini ricostruisce la cronaca per moltissimi aspetti controversa: non si è mai conosciuto l'esecutore e il mandante, mai si è chiarita la fine del quadro; tanto meno s'è individuato il movente dell'atto: se causato semplicemente da sete di guadagno o di possesso, oppure parte di una strategia più difficile da decifrare, di destabilizzazione se non di umiliazione inferta allo stato o volta a suggellare iconograficamente un dominio indicibile.
"Carol Rama dipinge dentiere e sessi femminili e maschili, l'eros e l'inconscio, il suicidio del padre e i disturbi nervosi della madre, scandalizzando la cultura ufficiale, che la riconoscerà solo quando avrà compiuto settant'anni. Carla Accardi traccia segni e costruisce geometrie, unica donna nel gruppo dei pittori astratti vicino al Partito comunista. Giosetta Fioroni raffigura volti femminili e costruisce teatrini, anticipa il reality chiudendo in una stanza un'attrice da osservare attraverso lo spioncino, divide la vita con un grande scrittore, è amica dei poeti e dei pittori maledetti di piazza del Popolo, attraversa il dolore senza mai perdere la gioia di creare. Marisa Merz usa l'alluminio, la cera, il sale, con i ferri da calza tesse il rame e il nylon, guarda alla natura e alla fabbrica. A ottantun anni è una regina dell'arte internazionale ma rimane chiusa nel suo silenzio e nel suo enigma." Rachele Ferrario ricostruisce le storie di queste grandi artiste, che hanno cercato la libertà nella vita e nella sperimentazione e hanno saputo affrancare il loro lavoro dal luogo comune dell'"arte al femminile", e ci offre nel contempo uno scorcio dell'effervescente vita culturale dei primi decenni del dopoguerra: dai salotti torinesi (con Giorgio Manganelli, Edoardo Sanguineti e il giovane Calvino) alla Roma del Caffè Rosati, dei galleristi, dei registi e degli attori, fino alla Parigi di Tristan Tzara e Alberto Giacometti.
Primi di luglio 1610... Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) sta risalendo il Tirreno in direzione di Roma. Giunto a Palo viene arrestato e messo in cella con un ragazzo tredicenne al quale confida la propria vita e illustra le proprie opere, «quasi mettendole in scena ad una ad una». Un capolavoro di Caravaggio non è una carezza di colori delicati, ma un pugno nello stomaco; non è un sussurro, ma un urlo assordante, un taglio netto e cruento, un dito che entra in profondità nella carne. Questo libro racconta con grande acutezza di sguardo l'opera caravaggesca, suddivisa nelle cinque stanze di una ideale mostra. Lo spettatore è invitato ad entrare dentro la scena per diventarne partecipe perché in essa si mostra e accade il dramma dell'esistenza. Dramma, non tragedia, però, perché nel buio delle cose sempre irrompe da una misteriosa sorgente la luce della grazia.