L'ottava parola del decalogo proclamata in Es 20, 16 (e in Dt 5, 20), secondo quella che ne appare la più adeguata traduzione dall'ebraico, vieta, propriamente, non di pronunciare falsa testimonianza, ma di rispondere come testimone di menzogna. Il senso autentico del precetto biblico, pur calato nel suo peculiare contesto giudiziario dischiude una "idea" di verità di tipo non teoretico-metafisico bensì pratico-sapienziale e storico-esistenziale, che intuisce nella dimensione relazionale della domanda e della risposta - ovvero nell'abisso della dia-logia e dell'alterità - l'essenza originaria e irrelativa della libertà, in cui menzogna e verità (a dispetto di accomodanti semplificazioni manicheistiche) si danno assieme, in un moto dialettico e contestuale di velamento e dis-velamento. Rispondere come testimone di menzogna non è solo violazione di una regola giuridica e di un comandamento, ma anche radicale contraddizione del vincolo di affidamento "credente" che informa tutta la Torah di cui JHWH, per primo, è testimone verace. La testimonianza fedele finisce sorprendentemente con il rivelarsi il luogo ove accade un atto di cura e di responsabilità verso il prossimo, che non è cosa diversa dall'amore.
L'autore propone una lettura che mette in luce i parallelismi tra il mondo della teologia, quello della fantasia e quello reale, evidenziando molte questioni chiave della vita umana e della fede cristiana.
Un comandamento contraddetto da millenni di storia poiché oggi come un tempo regna la convinzione che in determinate circostanze uccidere sia giusto e necessario. L'omicidio è una costante antropologica dello spirito umano, un marchio sanguinario della specie: Caino inaugura biblicamente la storia assassinando Abele. Ma cosa Caino uccide in Abele? L'individuo-persona, la discendenza secondo la concezione ebraica, la sacralità della vita secondo il cristianesimo, la "nuda vita" dello sterminio, quella considerata mero funzionamento biologico nelle attuali discussioni sul fine-vita? In queste domande sono i nodi di un comandamento su cui si scontrano oggi ragioni biopolitiche, teologiche e scientifiche. È possibile restituire uno statuto assoluto alla proibizione dell'omicidio?
L'interdetto di questo comandamento nella cultura biblica non vieta la produzione d'immagini, ma il loro uso improprio, la loro elevazione a divinità. Non si possono adorare altri dei e non si può adorare Dio al modo degli altri, ossia rendendolo immagine-feticcio. Non solo: le storiche dispute religiose in ambito cristiano su questo divieto hanno investito anche il tema della differenza fra l'autentico sacramento della presenza divina e il segno magico o superstizioso, come l'amuleto e il feticcio. Oggi il problema dell'idolatria non si è esaurito, ha solo trovato la sua metamorfosi banale nella proliferazione di nuove icone e idoli di massa prodotti dai media. Come distinguere ancora l'incanto dell'immagine sacra e artistica dalla perversione del feticcio?
Per gli uomini d’oggi spesso inviluppati nell’esasperata strumentalizzazione di una serietà insensata o nell’insensatezza di una mondanità asfittica, la libertà del gioco è una necessità redentrice. La gaia libertà dello spirito, lo slancio estroso e insieme altruistico, il disinganno rasserenato, l’incedere leggero che non s’impantana in un mondo spesso tragico sono i tratti dell’homo vere ludens. Per il cattolico, chiesa e grazia e azione liturgica sono preludio di quella libera serenità che brillerà nell’eterno gioco della visione divina.
“L’uomo è l’essere capace di amare”, scrivono i filosofi: ma che cosa significa amare? L’eros greco ci offre una prima risposta, raccontandoci la potenza di questo sentimento travolgente che ci fa innamorare e che cerca appassionatamente la felicità. Eppure l’eros può scivolare, e storicamente è accaduto, nello sfruttamento e nel dominio dell’altra o dell’altro, quando diventa l’unica forza affettiva della persona. L’autore ci presenta, nella prima parte del libro, le pagine bellissime della poesia greca e della riflessione platonica ed ellenistica che ci illustrano il fascino dell’eros.
Il lettore viene poi condotto, con un linguaggio facile ed accessibile, alla scoperta di una rivelazione, quella cristiana, che ha sconvolto gli schemi precedenti, aprendoci un orizzonte di donazione di sé, di altruismo e di perdono, che nessun uomo avrebbe mai immaginato. La storia dei primi tre secoli del cristianesimo viene raccontata in modo sorprendente e nuovo, alla luce delle più recenti acquisizioni sociologiche, che spiegheranno come e perchè il nuovo modo di amare si sia affermato e diffuso in tutto l’impero romano, nonostante trecento anni di persecuzioni.
Alla fine del viaggio il lettore potrà così riconoscere come l’amore cristiano non abbia mortificato l’eros, ma ne abbia completato ed esteso le potenzialità, aprendolo ad un orizzonte più vasto. Ha svelato che Dio stesso è la fonte dell’amore, restituendo così alla nostra civiltà il suo volto veramente umano.
Autore del best seller Il Codice svelato, arrivato a otto edizioni, Marco Fasol si è laureato in filosofia all’Università Cattolica di Milano e si è diplomato in scienze religiose presso lo Studio Teologico San Pietro Martire di Verona. Insegna storia e filosofia nei licei classico e scientifico “Alle Stimate” di Verona. Il Codice svelato (Fede & Cultura, 2006) è un testo in cui l’autore difende l’autenticità storica dei vangeli, con una serrata critica delle fantasie del Codice da Vinci. Questa tematica è stata sviluppata anche nel saggio successivo I Vangeli di Giuda, le verità nascoste dei vangeli apocrifi gnostici (Fede & Cultura, 2007). In collaborazione con la studiosa Corona Perer, ha scritto un saggio sulle prove scientifiche e storiche della Sindone, dal titolo L’uomo della Sindone, un’immagine tra scienza e mistero. Affianca all’attività di docente quella di saggista e conferenziere.
Bibbia e filosofia, Gerusalemme e Atene: di questi due universi concettuali, senza i quali non si comprenderebbe nulla della cultura occidentale, il primo è quello più rimosso e ignorato a causa dell’antigiudaismo cristiano e soprattutto a causa del fenomeno della «ellenizzazione» che ha letto le scritture ebraiche con il logos greco. Proponendo una «teologia dell’ebraismo», come vuole il sottotitolo del saggio, l’autore di queste pagine individua nel concetto di «natura» la forza seducente dell’ellenizzazione e restituisce priorità alla categoria biblica dell’alleanza o relazione di alterità irriducibilmente altra: «Relazione di alterità è quella che disegna tra Dio e l’uomo un genere di rapporto dove l’iniziativa divina ha il carattere di chiamata e il suo effetto è il sorgere davanti a Dio dell’uomo non come sua partecipazione ma come suo interlocutore, come interpellato a dare una risposta. Così l’uomo […] viene promosso a partner di Dio, che gli affida la cura del mondo, a luogo-tenente di Dio, che lo incarica del buon governo della creazione» (dalla Presentazione di Armido Rizzi).
Carmine Di Sante si è specializzato in Scienze liturgiche al Pontificio Istituto S. Anselmo di Roma, si è laureato in psicologia all’Università La Sapienza di Roma e ha lavorato come teologo dal 1980 al 2000 al SIDIC di Roma.
«Il mio dialogo con il buddhismo mi ha reso un cristiano buddhista? O un buddhista cristiano?
Sono un cristiano che ha capito più profondamente la propria identità con l’aiuto del buddhismo? O forse sono diventato un buddhista che conserva
ancora delle vestigia cristiane?»
Il racconto di un’odissea religiosa, una profonda riflessione teologica, una testimonianza molto personale. Il sacerdozio cattolico, l’adesione al buddhismo, il ritorno al cristianesimo. Un modo completamente nuovo
di guardare al peccato, a Dio, al mistero del male, all’aldilà e soprattutto a se stessi.
Uno stile limpido e coinvolgente, una lettura per arricchire la propria spiritualità attraverso il dialogo con le fedi altrui.
Un’opera pionieristica che riflette l’avventura spirituale che il nostro tempo ha appena iniziato.
Paul Knitter
Teologo cattolico, dopo aver insegnato teologia alla Xavier University di Cincinnati, Ohio, ha assunto la cattedra intitolata a Paul Tillich allo Union Theological Seminary di New York.
Ordinato prete a Roma nel 1966, ha lasciato il sacerdozio nel 1975.
Tra i maggiori sostenitori di un dialogo interreligioso è autore dell’importante Nessun altro nome? (1991) e di Introduzione alla teologia delle religioni.
Perché questo paese pare sprofondato in una sorta di apatia che lo rende in apparenza privo di ambizioni e disinteressato al futuro? E perché non esiste da noi un dibattito reale sui grandi temi che appartengono all’identità di ogni uomo? Diritti umani, qualità della vita, religione, ambiente, povertà. Sono solo alcune delle domande che si pongono i due autori di questo libro-conversazione, uno scrittore cattolico e un vescovo. Ai molti dubbi di Franco Scaglia su un paese che ha perso ogni grande e piccola sicurezza, monsignor Vincenzo Paglia risponde con un’analisi che non nega i problemi ma li affronta con la luce dell’intelligenza e la pacata certezza dell’uomo di fede. Si parla di persone singole e di collettività, di nazionalismi e di globalizzazione, di guerra e di pace. Del volontariato, che contesta una società individualista e ripiegata su se stessa, ed è tra quelle forze che aiutano a sperare in un mondo migliore. E si parla anche di Dio e di fede, oltre che del ruolo fondamentale della Chiesa in un mondo lacerato da una preoccupante caduta etica e devastato da mille contraddizioni. Vincenzo Paglia e Franco Scaglia ci offrono un libro che invita a pensare: per capire dove stiamo andando e per reinventarci un paese. Con il fine, soprattutto, di ritrovare quell’“anima” che, come dice Paglia, in quanto collettività sembriamo talora aver perso.
“Verso la fede cieca, e verso l’amore cieco, ho nutrito e nutro sospetti fin dai tempi in cui studiavo a Roma.” Questa diffidenza nei confronti di ogni assolutismo ha sempre guidato Hans Küng, il più critico tra i teologi cattolici, il rivoluzionario che ha detto sì alla pillola e no all’infallibilità papale. È possibile oggi, si chiede, credere in una religione? Oppure la complessità del mondo contemporaneo ci spinge sempre più verso un’etica globale, condivisa e condivisibile da tutti? Per illustrare le sue risposte a queste domande universali, Hans Küng ripercorre i momenti fondamentali della propria esistenza. Dai dubbi del periodo universitario ai dissidi con le gerarchie ecclesiastiche negli anni Settanta, dall’impegno volto a favorire il dialogo interconfessionale al conferimento nel 2008 della medaglia d’oro Otto Hahn per la pace, le tappe di questo itinerario esemplare toccano alcuni tra i temi caldi della nostra epoca: il multiculturalismo, la natura contraddittoria della libertà, la delicata relazione tra morale e ricerca scientifica, la necessità di superare i limiti angusti dell’intolleranza religiosa. Questo libro racconta l’avventura affascinante di una ricerca personale instancabile e coraggiosa. Scagliandosi contro il nichilismo di troppi pensatori moderni, Küng accompagna il lettore in una straordinaria ascesa spirituale, alla ricerca di una nuova prospettiva fondata sull’amore, la consapevolezza di sé e il rispetto del diverso. Un autentico inno alla gioia capace di rivolgersi a tutti, anche a chi non crede: perché sia il valore dell’uomo, e non il dogma, a guidare finalmente la nostra storia.
HANS KÜNG (1928) è un sacerdote, teologo e filosofo svizzero. Ha partecipato come esperto al Concilio Vaticano II. Nel 1979 la Congregazione per la dottrina della fede gli ha revocato l’autorizzazione a insegnare la teologia cattolica. Con Rizzoli ha pubblicato tra gli altri Ebraismo (1993), Cristianesimo (1997), Islam (2005), tutti presenti in BUR, e Ciò che credo (2010).
Fredric Jameson definisce l'opera di Roland Boer "uno straordinario tour de force" alla scoperta delle riflessioni che numerosi intellettuali marxisti hanno dedicato alla religione e alla teologia. Prendendo le mosse da pensatori classici quali Walter Benjamin, Antonio Gramsci e Louis Althusser, fino ad arrivare ad alcuni autori al centro del dibattito contemporaneo - Alain Badiou, Slavoj Zizek, Giorgio Agamben e Antonio Negri -, il progetto critico di Boer mira innazitutto a sviluppare categorie utili al rinnovamento del dibattito sul rapporto tra marxismo e religione. A guidarlo in questo lavoro è la convinzione, seguendo Marx, che la religione sia quella "coscienza capovolta del mondo" che il mestiere della critica deve ribaltare, riportare con i piedi per terra, rivelandone le forme e le funzioni ideologiche ma anche i complessi legami che essa intrattiene con i bisogni e i desideri dell'animo umano. Boer non intende riproporre un'analisi dei fenomeni religiosi come mere espressioni della "miseria reale", né proporre una riedizione di temi già esplorati dalla teologia della liberazione. E neppure si deve leggere il suo lavoro come una corrente marxologica interna a quella costellazione affatto disomogenea che è la teologia politica. La sua originalità e la sua forza stanno soprattutto nella capacità di portare alla luce l'inconscio religioso di tanta parte del marxismo occidentale. Con una postfazione di Antonio Negri.
Un franco confronto teologico con la svolta epocale della cultura contemporanea.