Un grande romanzo corale che unisce scorrevolezza e profondità, commozione e divertimento, empatia e gusto intellettuale.
La strada del mare, l'ultimo, epico, intenso romanzo scritto da Antonio Pennacchi, torna a raccontare la saga della famiglia Peruzzi, gli anni Cinquanta dell'Agro Pontino, del "mondo del Canale Mussolini" e delle donne e degli uomini che lo abitano. La "piccola" storia delle famiglie originarie del Veneto scese nel basso Lazio alla fine degli anni Venti del Novecento per colonizzare le terre bonificate dal regime fascista, e che lì erano diventate una comunità, si intreccia e si mescola con la "grande" Storia italiana e internazionale del dopoguerra. Otello, Manrico, Accio, e tutti i figli e le figlie di Santapace Peruzzi e di "zio Benassi", crescono negli anni del boom economico, mentre Littoria diventa Latina, e si spinge fino al Tirreno, grazie a quella "Strada del mare" per costruire la quale Otello si spezzerà la schiena e che sarà poi percorsa, oltre che dagli abitanti delle paludi pontine, dai grandi nomi della storia italiana e internazionale di quegli anni. E così, tra realtà e finzione, sogno e cronaca, seguendo e raccontando lo scorrere degli avvenimenti, Antonio Pennacchi traccia i percorsi dell'anima dei suoi personaggi, e costruisce un grande romanzo corale che unisce scorrevolezza e profondità, commozione e divertimento, empatia e gusto intellettuale.
Dalla Caduta del Muro alla crisi ucraina: Il mago del Cremlino è il grande romanzo della Russia contemporanea e una sublime, sulfurea meditazione sul potere.
Il mago del Cremlino è un romanzo al tempo stesso gelido e caldo. Il suo autore ci immerge nella psiche genialmente tortuosa di Vadim Baranov, l'alter ego romanzesco di Vladislav Sourkov, quello che è stato lo spin doctor di Vladimir Putin fino al 2021. Nel corso di una notte, Baranov, l'uomo conosciuto come il "mago del Cremlino", racconta come abbia contribuito a costruire l'immagine dello "zar" nel 2001, quando quest'ultimo era solo il pallido e sconosciuto ennesimo primo ministro dell'era di Boris Eltsin. Baranov, proveniente dall'avanguardia artistica e dai reality TV, è un uomo colto ma è anche e soprattutto un ideologo fascisteggiante, capace di far leva sul risentimento di Putin, e di legittimare il suo brutale autoritarismo, correggendone il lessico grossolano. Baranov, insomma, contribuisce a fornire alla dittatura una maschera da democrazia e in breve diventa lo spregiudicato artefice della disinformazione esacerbando e incanalando la rabbia del popolo sui social e altrove. Questo romanzo si legge con paura, come una tragedia romana: le persone che hanno portato Putin al potere vengono eliminate o messe in carcere mentre, con l'aiuto di dollari, manipolazioni, attacchi informatici, e il sostegno a movimenti estremisti di ogni tipo, viene creato il mito di una Russia onnipotente capace di controllare le trame più nascoste. L'obiettivo non è quello di prendere il potere ma di creare il caos. Ma al di là della radiografia implacabile del sistema Putin con i suoi cortigiani servili, i suoi oligarchi, i suoi esuli braccati, le sue escort, i suoi killer implacabili, Il mago del Cremlino ci fa sentire il soffio gelido del potere russo. Un impero capace di intrecciare tutti i fili narrativi del grande romanzo russo: da Ivan il Terribile alle "fabbriche di troll" fino alla creazione di uno spaventoso, illusorio affresco che illustra "la storia gloriosa di un popolo mai sconfitto". Un impero per cui la guerra, come l'attualità ci ricorda tragicamente, costituisce l'unico orizzonte di sopravvivenza possibile. Sorretto da una bruciante attualità, questo libro moderno e visionario ha la grazia senza tempo di un classico. L'erudizione, lo stile e l'arte di raccontare di Giuliano da Empoli conferiscono a questo storia cruda e brutale un livello di purezza quasi metafisica. È Il Principe di Machiavelli attraversato dalle nebbie di John le Carré, narrato con le cadenze della grande letteratura russa.
«A cosa pensa una donna quando, assordata dalle voci di tutti, capisce all'improvviso di aver soffocato la propria?» In pochi come Matteo Bussola sanno raccontare, con tanta delicatezza e profondità, le contraddizioni dei rapporti umani. In pochi sanno cogliere con tale pudore il nostro desiderio e la nostra paura di essere felici. Una donna sola che in tarda età scopre l'amore. Una figlia che lotta per riuscire a perdonare sua madre. Una ragazza che invece non vuole figli, perché non sopporterebbe il loro dolore. Una vedova che scrive al marito. Una sedicenne che si innamora della sua amica del cuore. Un'anziana che confida alla badante un terribile segreto. Le eroine di questo libro non hanno nulla di eroico, sono persone comuni, potrebbero essere le nostre vicine di casa, le nostre colleghe, nostra sorella, nostra figlia, potremmo essere noi. Fragili e forti, docili e crudeli, inquiete e felici, amano e odiano quasi sempre con tutte sé stesse, perché considerano l'amore l'occasione decisiva. Cadono, come tutti, eppure resistono, come il rosmarino quando sfida il gelo dell'inverno che tenta di abbatterlo, e rinasce in primavera nonostante le cicatrici. Un romanzo in cui si intrecciano storie ordinarie ed eccezionali, che ci toccano, ci interrogano, ci commuovono. «Ho deciso di scrivere di donne perché non sono una donna. Perché ho la sensazione di conoscerle sempre poco, anche se vivo con quattro di loro. E perché è piú utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già» (Matteo Bussola).
"I libri vivono una vita propria che si incrocia con la nostra. Se li lasci abbandonati sugli scaffali per troppo tempo si intristiscono. Non basta comprarli e leggerli. Vanno vissuti, curati, consumati, soprattutto quelli che ti sono piaciuti di più o che ti hanno colpito, emozionato, magari turbato. Devi continuare a viverli anche dopo che hai finito di leggerli. I libri si sentono soli Luigi, come noi". Le parole di un padre al figlio passano il testimone di una biblioteca di famiglia e di tutte le storie che quei libri, raccolti per tre generazioni, hanno l'impazienza di raccontare. Luigi Contu le insegue con l'intuito del cronista e la grazia dello scrittore, in un'indagine che parte da un appunto perduto per dare vita a un appassionante viaggio che attraverso i libri conduce nella storia di una famiglia, intrecciata con le vicende italiane, dai primi del Novecento ad oggi. Tra epiche imprese di banditi sardi, pagine di diari in trincea, testi futuristi e una poesia ritrovata di Ungaretti, "I libri si sentono soli" è un romanzo di avventure letterarie, per chi ama i libri e i segreti che nascondono.
A mano a mano che la mezzanotte si avvicinava, la foresta dei tetti si andava popolando di gente, e dall'orizzonte si intensificavano i bagliori e cresceva lo scoppiettante concerto dei botti. Le autorità avevano vietato di sparare, e Roma tutta sparava; le autorità avevano vietato gli assembramenti e le terrazze brulicavano di umanità.
Sharon, detta Sharo, poco piú di vent'anni, bionda, alta, magra, la faccia sempre imbronciata; non una bellezza classica, eppure attira gli uomini come il miele le mosche. Vive in periferia con la madre invalida e ha bruciato un bel po' di lavoretti precari sempre per la stessa ragione: le mani lunghe dei capi. Poi una misteriosa consegna portata a termine per conto del fidanzato, un piccolo balordo, cambia la sua esistenza. Con la protezione di un annoiato aristocratico, Sharo inizia la sua irresistibile ascesa criminale. Ma la mala che conta, quella che controlla il mercato della droga, si accorge di lei e comincia a tenerla d'occhio, a guardarla con rispetto, con timore, con odio. Lí, in quell'ambiente, nella zona oscura della città, nessuno la chiama piú con il suo nome. Per tutti è la Svedese.
Anni ottanta, a pochi chilometri da noi l'ultimo decennio del comunismo è appena cominciato. Lea Ypi è una bambina e la sua vita è scandita dalle promesse del socialismo di stato dell'Albania: un futuro preordinato, in cui si può crescere al sicuro tra compagni entusiasti. Tutto vero, fino al giorno in cui Lea si ritrova aggrappata a una statua di pietra di Stalin, appena decapitata dalle proteste degli studenti. Il comunismo non era riuscito a realizzare l'utopia. Il mondo attorno inizia a crollare. Lea si chiede chi è quel vecchio primo ministro dell'Albania accusato di collaborazione con i fascisti che porta il suo stesso cognome. Lei non sa che la sua famiglia paterna è una grande famiglia nobile dell'impero ottomano. Non sa che quando i suoi genitori parlano di amici appena laureati si riferiscono in realtà a fatti gravissimi. Lea sa che esiste la Coca-Cola solo perché nel mercato nero girano alcune lattine vuote, che diventano suppellettili rarissime. Con una nonna elegante, intellettuale e francofona, un padre che crede nei movimenti sociali del Sessantotto e una madre thatcheriana ultraliberista, Lea Ypi cresce attraversando questi tempi di rivoluzioni e di grande disorientamento, con un'educazione politica unica e ricchissima. La sua è una storia di faticosa liberazione dalle menzogne: quelle del regime comunista, quelle che la sua famiglia le racconta per proteggerla. Ma la menzogna più dolorosa è quella che si svela con il crollo del regime: la promessa di libertà segna invece l'inizio di un conflitto sanguinario. Il tentativo difficilissimo di entrare in Occidente è l'abisso di tutte le illusioni. Il Novecento è tramontato, ma dopo non c'è più nulla. La sensazione è claustrofobica: il progetto di costruzione di una società giusta è degenerato nella dittatura, ma la fine della dittatura non corrisponde alla libertà. E allora, la libertà, come si conquista?
In cima a una collina che guarda l'Etna da un lato e il mare dall'altro, sorge una masseria circondata da uno spicchio di paradiso: terrazzamenti carichi di ulivi, fichi e pruni, orti traboccanti di erbe e prati fioriti a perdita d'occhio. Questa tenuta magnifica è frutto del sudore e della tenacia di Luisa Russo, che si è intestardita a trasformare le "quattro pietre perse" che le ha regalato suo marito in un castello. Anzi, in una castidda, perché quella terra è femmina, su questo Luisa non ha dubbi. Femmina e frutto dell'amicizia tra femmine, perché se la Castidda esiste è grazie al successo del ristorante che ha aperto insieme ad Agata, Lisabetta, Violante, Lucietta e le altre amiche sue, conosciuto in tutta la Sicilia per i piatti deliziosi e l'atmosferaamurusa. Tutta questa intraprendenza femminile dà parecchio sui nervi a suo marito Carmine, che la Castidda non può nemmeno sentirla nominare. Gli speculatori edilizi, invece, non riescono a staccarle gli occhi di dosso: il più agguerrito, presidente di una società assai poco limpida, ci vede già un albergo di stralusso, e per aggiudicarsela farebbe letteralmente carte false. Alle sue prepotenze mafiose Luisa resiste per mesi, finché, dopo l'ennesimo colpo basso, qualcosa le si rompe in petto: un sussulto, una vertigine, e in un attimo è a terra, rigida come una pupa di legno. La corsa in ospedale, la rianimazione, le prime notizie incerte: Luisa è salva, è stabile, ma, per il momento, dorme. E mentre Carmine in sua assenza cerca di sbarazzarsi della Castidda e le amiche, per impedirglielo, la occupano come un fortino, mentre il figlio Giulio e il dottor Giona vegliano su di lei, Luisa continua a dormire. E, dormendo, va indietro nel tempo e ripesca brandelli di vita che la memoria aveva cancellato: certe giornate felici d'infanzia con quel nonno che la chiamava "gioia mia", il buco che la sua morte le ha scavato nel cuore, quello strano gelo addosso il giorno del matrimonio con Carmine... Fino a che da quel mare di scordanza viene a galla il ricordo riposto più a fondo, la ferita che brucia di più. Tea Ranno ci regala un altro viaggio – pieno di saliscendi impetuosi e approdi inaspettati – nella sua, ormai celebre, terra d'amurusanza, quel posto meraviglioso e assolato in cui le pietre perse si trasformano in castelli, i ricordi si riparano con ago, filo e gentilezza, e le amicizie femminili salvano la vita.
La notizia è di quelle che richiedono un brindisi speciale. Su una terrazza incastonata nel Supramonte, in uno degli hotel più incantevoli della Sardegna, il vicequestore Vito Strega sta festeggiando la nascita della nuova unità investigativa sui crimini seriali. Con lui ci sono le inseparabili ispettrici Eva Croce e Mara Rais. Finalmente tutto sembra andare per il verso giusto. Ma una telefonata li riporta alla realtà e i tre devono salutare il cielo terso e il sole dell'isola. Nelle terre paludose del Parco del Ticino è stato ritrovato il corpo di una ragazza. Quando l'ispettrice Clara Pontecorvo arriva sul posto, stenta a credere ai propri occhi: la vittima ha le mani legate dietro la schiena e indossa una maschera bovina. Mancava solo questo per Clara, che ha già un grosso problema: è alta 1,98, non trova mai dei vestiti adatti a lei. Tantomeno un uomo. L'istinto le dice che quella scena del crimine potrebbe essere la riproduzione di un altro delitto avvenuto in Sardegna.
Londra, settembre 1914
"Le mie mani non tremano mai. Sono una chirurga, ma alle donne non è consentito operare. Men che meno a me: madre ma non moglie, sono di origine italiana e pago anche il prezzo dell'indecisione della mia terra natia in questa guerra che già miete vite su vite. Quando una notte ricevo una visita inattesa, comprendo di non rispondere soltanto a me stessa. Il destino di mia figlia, e forse delle ambizioni di tante altre donne, dipende anche da me. Flora e Louisa sono medici, e più di chiunque altro hanno il coraggio e l'immaginazione necessari per spingere il sogno di emancipazione e uguaglianza oltre ogni confine. L'invito che mi rivolgono è un sortilegio, e come tutti i sortilegi è fatto anche d'ombra. Partire con loro per aprire a Parigi il primo ospedale di guerra interamente gestito da donne è un'impresa folle e necessaria. E' per me un'autentica trasformazione, ma ogni trasformazione porta con sé almeno un tradimento. Di noi stessi, di chi ci ama, di cosa siamo chiamati a essere. A Parigi, lontana dalla mia bambina, osteggiata dal senso comune, spesso respinta con diffidenza dagli stessi soldati che mi impegno a curare, guardo di nuovo le mie mani. Non tremano, ma io, dentro di me, sono vento."
Del cervello umano, Davide sa quanto ha imparato all'università, e usa nel suo mestiere di neurochirurgo. Finora gli è bastato a neutralizzare i fastidiosi rumori di fondo e le modeste minacce della vita non elettrizzante che conduce nella Lucca suburbana: l'estremismo vegano di sua moglie, ad esempio, o l'inspiegabile atterraggio in giardino di un boomerang aborigeno in arrivo dal nulla. Ma in quei suoni familiari e sedati si nasconde una vibrazione più sinistra, che all'improvviso un pretesto qualsiasi - una discussione al semaforo, una bega di decibel con un vicino di casa - rischia di rendere insopportabile. È quello che tenta di far capire a Davide il suo nuovo, enigmatico maestro, Diego: a contare, e spesso a esplodere nel modo più feroce, è quanto del cervello, qualunque cosa sia, non si sa. O si preferisce non sapere.
Una donna in dialogo perpetuo con sé stessa e con il mondo disegna una mappa delle sue ossessioni, del suo rapporto con l'amore e con il corpo, serbatoio di ipocondrie e nevrosi: il nuovo romanzo di Daniela Ranieri è un diario lucido e iperrealistico, in cui ogni dettaglio, ogni sussulto di vita interiore è trattato allo stesso tempo come dato scientifico e ferita dell'anima. Dalla pandemia di Covid-19 alla vita quotidiana di Roma, tutto viene fatto oggetto di narrazione ironica e burrascosa, ma in special modo le relazioni d'amore: le tante sfaccettature di Eros - l'incontro, il flirt, il piacere, le convivenze sbagliate, la violenza, l'idealizzazione, la dipendenza, l'amore puro - vengono sviscerate nello stile impareggiabile dell'autrice, un misto di strazio, risentimento, ironia impastati con la grande letteratura europea (e non solo). E forse è proprio la lingua di Daniela Ranieri il vero protagonista di questo "Stradario aggiornato di tutti i miei baci", una lingua ricchissima di echi gaddiani, di irritazioni à la Thomas Bernhard, di citazioni, e allo stesso tempo inquietantemente diretta e inaudita, una lingua la cui capacità di nominare e avvicinare le cose è pari soltanto alla sua potenza nel distruggerle. Lo Stradario di Daniela Ranieri non è solo un romanzo: ha la sostanza di un corpo vivente che abita nel mondo, di una voce che avvince e persuade con la forza della grande letteratura.
Isola d'Elba, 1544. I corsari turchi, al comando di Khayr al-Din detto Barbarossa, sbarcano nottetempo su una spiaggia accanto a Longone - l'odierna Porto Azzurro - dove Lucero e sua sorella Angiolina si preparano alla pesca dei calamari. Lucero viene ferito, Angiolina rapita. Il mondo si apre, la storia comincia. Lucero, guidato da un indomabile sentimento di vendetta, si trasforma - anche grazie all'incontro con il capitano Rodrigo, compagno e mentore - in un "duellante imbattibile" e in un soldato di ventura. Angiolina entra nel talamo del Signore di Algeri: cambia nome in Aisha, dà un figlio al sovrano della città-stato corsara, e ne diventa la Favorita. Ignari l'uno dell'altra, l'Elbano errante e Aisha, la "puttana cristiana", fanno mulinare spade, macchinazioni, sogni e avventure dentro il teatro del mondo. Per mari e per terre, Lucero si muove come se la sua vita fosse una continua frontiera, come se fosse travolto dalla fantasia di un Ariosto, fra la sua isola e Bologna, Firenze, Siviglia, Napoli, Malta, l'Ungheria, Venezia e, al di là dell'Oceano, la Nueva España, il Messico flagellato dai Conquistadores. Quando si arruola nei Tercios, la fanteria ispanica, incrocia il poco più che ventenne Miguel de Cervantes Saavedra, futuro autore del "Don Chisciotte": forti del comune amore per i romanzi cavallereschi, avviano un'amicizia suggellata dalla partecipazione alla "battaglia delle battaglie", a Lepanto. Giunge intanto notizia di Angiolina, viva, ad Algeri. È passata una vita, anzi sono passate molte vite, ma il finale è ancora tutto da scrivere. Pino Cacucci mette in moto una grande macchina narrativa che macina peripezie, storia, poesia, navi, armi, amori, condottieri, concubine, veleni, fedi religiose, battaglie, massacri e sentimenti, dipingendo un complesso affresco del secolo che chiamiamo "Rinascimento". Come non mai si avverte la gioia sensuale del racconto, l'avvicendarsi maestoso di fantasia e realtà, di voci e personaggi. Tutto diventa sfida al tempo e - sintesi dello spirito del romanzo - avventura.