Roma, 1983. Il Novecento brilla ancora. Emanuele, neppure ventenne, lavora in un cineclub del centro. Una notte, al termine di un film di Tarkovskij, entra in sala e vi trova un uomo solo, in lacrime. È Arturo Patten, statunitense trapiantato a Roma, uno dei più grandi fotografi ritrattisti. Per tutto lo scorcio del secolo, Emanuele ascolterà la lezione del suo amico, Lucignolo e Grillo Parlante assieme, che vive la vita con invidiabile intensità, e grazie a lui incontrerà Cesare Garboli, il «grande critico» cui è qui dedicato uno splendido cammeo, che prima di morire gli affiderà la missione di indagare su Metastasio e sul suo sonetto "Sogni, e favole io fingo". «Favole finge» tutta la grande letteratura moderna qui evocata, da Puskin a Pessoa fino ad Amelia Rosselli, somma poetessa italiana del Novecento, che abita nella stessa strada di Arturo e che come lui lascerà la vita per scelta; Emanuele incontrerà più volte quel meteorite umano, sempre in fuga da oscuri e spietati nemici, e con Arturo è lei, e la sua eredità, l'altra protagonista di questo «libro strano» di Trevi - romanzo autobiografico e divagazione saggistica assieme, sette anni dopo "Qualcosa di scritto". Arturo, Amelia, Metastasio guidano lui e noi nel cuore di una Roma piovosa e arcaica, nel cerchio simbolico della depressione e dell'insensatezza, verso l'approdo vitale dell'illusione: se, come scrive Metastasio, le storie inventate suscitano in noi la stessa commozione delle vicende reali, forse di sogni e favole è fatta la vera vita.
Elia ha 17 anni, è brillante, è bello, tutti gli vogliono bene, a scuola primeggia, è conteso dalle ragazze. Ma è infelice, ha scoperto con troppo ritardo di essere stato abbandonato dai suoi genitori biologici e di essere stato adottato. Vuole scoprire a tutti i costi il mistero delle sue origini e così, con Ettore, investigatore privato e suo maestro di karate, decide di intraprendere un viaggio alla ricerca della sua identità. Destinazione Rio, Brasile. Su una lunga sequenza di brani musicali, in silenzi carichi di saudade, le vite dei protagonisti si mischiano, si contaminano, si fondono, si intrecciano. "La vita, amico, è l'arte dell'incontro", ci ricorda Vinícius de Moraes. Incontrarsi per ritrovarsi. Forse perché il viaggio più importante della vita è quello che facciamo dentro noi stessi.
Quattordici voci - evocative, sensuali, sottili, oscure - raccontano i loro sogni d'amore e di inquietudine. Parlano di ricordi, di dolori passati, di gioie a venire. Personaggi immaginari che aprono squarci sul mistero delle loro vite, portandoci in spazi fantastici, irreali, eppure così vicini alla nostra intimità, alla coscienza del nostro mondo interiore. Questi racconti, lirici e ammalianti, vengono a riunirsi in un libro che conduce il lettore al cuore della notte, tra realtà e fantasia, ombre e bagliori, illusioni e scoperte, fino alla luce del mattino e alle soglie di un sogno ulteriore.
Lo sbarco sulla Luna, la realizzazione di un grande sogno che infuocò l'immaginario mondiale e segnò i confini di un'epoca. Fu Oriana Fallaci, sempre testimone in prima linea della Storia, a raccontare agli italiani la corsa americana allo spazio, inviata da "L'Europeo" a Cape Kennedy, dove i razzi alti come grattacieli si preparavano a lanciare l'uomo nel futuro. La giornalista intervistò scienziati, medici, scrittori, fisici e tecnici, esplorando da terra lo spazio, vivendo fianco a fianco con i primi astronauti, "queste creature di fantascienza che dalla provincia volano direttamente nel cosmo", per rivelare dettagli, curiosità e aneddoti al pubblico che la leggeva da casa. Una raccolta di articoli in cui Oriana non racconta solo la Luna, ma quegli eroi dello spazio che furono suoi amici, le missioni indimenticabili, la speranza di trovare vita su Marte, così come avevano immaginato scrittori visionari prima che lo spazio, l'ultima frontiera, diventasse realmente raggiungibile. Una testimonianza sull'avventura più grande del secolo, narrata dalla viva voce di una donna che ne fu parte, e non solo come spettatrice.
Un romanzo che scava nell'animo più oscuro di una Milano antica e mai raccontata, dove le atmosfere gotiche si intrecciano con la Storia.
Milano, 1447. La cattedrale di Santa Maria Nascente è ancora un cantiere in pieno fermento. Nei progetti dei signori di Milano, i Visconti, dovrà diventare il duomo più maestoso d'Europa. Ma quando Filippo Maria Visconti muore senza lasciare eredi legittimi, il Ducato rischia di precipitare nel caos, preda delle mire dei molti che aspirano a governare su quel territorio, primo fra tutti il valoroso condottiero Francesco Sforza. Ma proprio tra le navate della cattedrale, lontano da tutti gli intrighi tessuti dai pretendenti alla successione, cresce un bambino che ha nelle vene il sangue visconteo, e che potrebbe reclamare il potere per sé. Educato come un figlio dall'arcidiacono Onorio, il giovane Niccolò viene iniziato ai misteri di un'antica Confraternita che agisce nascosta sotto le fondamenta del duomo: tra rituali alchemici e trame di corte, Niccolò dovrà scegliere se percorrere la strada della Luce, o quella delle Tenebre.
Una villetta isolata nel bosco. Una famiglia che ha rinunciato a ogni cosa, compresa tutta la tecnologia che ci circonda, pur di trovare la pace. Invece, troverà la morte. Una strage con un colpevole... Ma senza cadaveri. Un assassino senza passato, senza identità. Senza alcuna presenza su Internet, un uomo che per tutta la sua esistenza è riuscito a sfuggire alle telecamere di sorveglianza. Un enigma in carne e ossa, che non rivela dove ha celato i corpi... Anzi, non pronuncia nemmeno una parola. Solo una muta, inquietante convocazione. Un nome: quello di Mila Vasquez.
Attacismo, caransèbico, quèstico, zeissiano... sono solo alcune delle parole che costellano questo dizionario. Ma non affrettatevi a cercarne altrove il significato: non lo troverete, per il semplice fatto che non esistono. Viceversa, esistono eccome gli stati d'animo che queste nuove parole definiscono: un catalogo di umanissime sfumature delle nostre emozioni. Ed è proprio per dar voce a questa variopinta tavolozza che Stefano Massini si è inventato un "Dizionario inesistente", che dalla A alla Z ci accompagna in un viaggio letterario, in un rincorrersi di racconti straordinari. Da una carrellata di personaggi reali Massini crea un ventaglio di nuovissimi sostantivi, verbi, aggettivi. Ed ecco dunque sfilare l'inventore della penna a sfera László Biró (da cui "birismo"), i tenaci guerriglieri cileni Mapuche (che porteranno al verbo "mapuchare"), ma anche mostri sacri come Leonardo e Galileo, Leopardi e Kafka, passando per nobili del Seicento e miniere sudafricane, instancabili bugiardi e scienziati camerieri.
"Io questo libro non lo volevo fare. Non avevo nessunissima intenzione di impicciarmi in questa storia." E invece, il romanzo alla fine su carta ci è arrivato lo stesso. Ma cos'aveva di particolare "questa storia" per disturbare tanto l'autore Antonio Pennacchi, e allo stesso tempo per convincerlo a impicciarsi? Tutto inizia ad Agora, un "paesaccio" sull'Agro Pontino, che una notte di fine febbraio diventa il teatro di un cruentissimo delitto: Loredana ed Emanuele, giovani fidanzati, vengono ritrovati uccisi da centottantaquattro coltellate. A scoprire i cadaveri sono il padre e il fratellino della ragazza, insieme a Giacinto, un amico delle vittime, ovviamente le prime tre persone informate sui fatti che la polizia interroga. Presto però arriva il turno di parenti, amici e semplici conoscenti, un caleidoscopio di voci che l'autore di "Canale Mussolini" rincorre e restituisce, un coro disarticolato da cui piano piano emergono discrepanze di orari, comportamenti incongruenti, alibi poco attendibili, tutte cose che mal si combinano con l'urgenza tipica dell'essere umano di trovare sempre e comunque un colpevole... anche a costo di accanirsi su probabili innocenti. Ispirato a fatti realmente accaduti ma rielaborati con le armi della scrittura e dell'invenzione letteraria.
Una professoressa di Lettere di un istituto tecnico scompare nel nulla. E se non fosse per una collega, nessuno se ne preoccuperebbe. Il marito, un ricco industriale, sostiene che la donna se ne sia andata di propria volontà, e non esistono prove del contrario. Approfittando di un momento di tregua nel lavoro, gli uomini di Palma, cui si è aggiunto un elemento per coprire l'assenza forzata di Pisanelli, decidono di cominciare un'indagine in modo informale. Scopriranno che anche le vite più piene possono nascondere un vuoto incolmabile. Un vuoto che ha innumerevoli colori: uno per ogni paura, uno per ogni orrore.
Gli ampi boulevard, le luci infinite, gli spettacoli piú arditi, le avanguardie piú innovatrici, e poi la disinvoltura dei costumi, la ricchezza e il disordine della vita artistica, lo stile dispensato in ogni minimo dettaglio... Nessuno scrittore dell'Otto e Novecento ha saputo resistere al richiamo di Parigi, e tutti hanno lasciato traccia del loro incantamento in racconti e romanzi entrati di forza nell'immaginario globale, al punto che oggi è impossibile visitarla per la prima volta senza avere l'impressione di conoscerla da sempre. Corrado Augias, parigino di adozione e fine conoscitore della storia anche artistica della città, ha raccolto venti fra i racconti più belli su Parigi: da Balzac a Zola, da Gertrude Stein a Vila-Matas, da Irène Némirovsky a Benjamin, una carrellata di storie, visioni e descrizioni che ne celebrano la grandezza e ne illuminano i misteri nascosti. Perché la città delle luci non è priva di ombre, dai grandi romanzi popolari tessuti su storie sinistre ai gialli affidati all'intuito del commissario Maigret. Parigi è città di pietra e di fantasia. Quello che si compone è un mosaico di voci e immagini, ma è anche una sorprendente guida di viaggio. Non c'è rue o arrondissement che non abbia generato un suo riflesso letterario, e attraverso le pagine dei grandi scrittori si può meglio comprendere la vera natura di Parigi, luogo dell'immaginazione prima ancora che reale, «di tutte le città del mondo, la più vistosa e la più invisibile».
Un tram, che si fa immaginare come isola di luce nel buio della notte di Natale, viaggia nell'estrema periferia. Dentro porta un mistero, fragile e abbandonato. Salgono povere persone che hanno finito la giornata. La prostituta deportata dall'Africa, il suo disgraziato cliente, il clandestino che vive di espedienti, l'artista vinto dalla malattia, l'infermiera assediata dalla solitudine, il ragazzo che non riesce a mettere insieme la cena per la compagna e la figlia. Vanno verso la notte di vigilia che li aspetta, o che semplicemente non li aspetta. Ciascuno porta con sé, nei pensieri, nel ricordo, sul corpo, una storia diversa e complicata, che parla di loro stessi e di altri, ma pur sempre impastata di impotenza e di rabbia. Ma quel mistero gettato in fondo ai sedili, dietro la cabina dell'autista assuefatto all'indifferenza, li raccoglie tutti insieme, come un presepe viaggiante, miraggio di salvezza. Per quanto ognuno di loro senta che non c'è salvezza fuori da quel tram di Natale. Nella sua prosa fortemente lirica, che ha la capacità di modularsi ai momenti del racconto, quasi di musicarli, Giosuè Calaciura con gli strumenti della letteratura ci restituisce l'urgenza, la profondità e le contraddizioni del nostro tempo. Alla Dickens (il cui Canto di Natale questo racconto apertamente richiama), senza timidezze nel mettersi decisamente dalla parte della denuncia e dell'impegno.
Cani d’estate è un grido d’allarme su quanto sta accadendo oggi, ma anche una testimonianza, il senso di una lotta che oggi coinvolge migliaia di persone.
«A scatenare i latrati sono le parole – due, per la precisione – che potevano benissimo essere evitate senza che il senso di quell’infame decisione cambiasse di una virgola, e che tuttavia vengono pronunciate: la parola “pacchia” e la parola “crociera”» - Sandro Veronesi
«Questo libro nasce da una ferita. Quasi tutti i libri nascono da una ferita, ma di solito si tratta di una ferita intima, personale: questa invece è una ferita collettiva, inferta da un ristretto numero di persone a un gran numero di persone. Questo libro è anche un ritorno»
L’acceso dibattito portato avanti da Veronesi contro “l’uomo che non conosce il mare”, a partire dalla vicenda delle navi Aquarius e Diciotti, la chiusura dei porti come unica soluzione al fenomeno delle migrazioni, lo sdoganamento di un linguaggio xenofobo e razzista, ma anche e soprattutto una successiva mobilitazione collettiva in difesa dei fondamentali diritti dell’uomo e della politica dell’accoglienza e della solidarietà.