Che cosa si intende con il termine ‘postverità’? C’è chi lo utilizza per indicare una modalità di comunicare in cui i fatti oggettivi sono meno rilevanti rispetto alle emozioni e alle convinzioni. Altri lo usano per indicare informazioni volutamente e coscientemente false. Quel che è certo è che parlare di postverità coglie un cambiamento importante propiziato dai media almeno dagli anni ’90. Ormai da molto tempo, infatti, i reality show, i talent, la real tv hanno reso più debole l’idea di realtà e, conseguentemente, di verità. Realtà e finzione si sono intrecciate e spesso confuse, in una logica culturale che premia le emozioni e le identificazioni, non la messa alla prova e le competenze.
«Quando vi dedicate alla scrittura cercate di essere consapevoli dello spazio che vi circonda, osservate il luogo in cui vi trovate e il foglio di carta davanti a voi. Tutto questo spazio, dentro e intorno a voi, non è vuoto, ma semplicemente in attesa. Lasciate che le emozioni si diffondano lungo il braccio fino ad arrivare al cuore. Il pennino, la mano, il braccio e il cuore diventeranno una cosa sola.» Così il calligrafo Ewan Clayton spiega come può esserci una simbiosi tra i moti del corpo e del pensiero. La scrittura a mano rappresenta una forma di autoeducazione del pensiero, lascia spazio al tempo dell'immaginazione, dell'apprendimento, della progettazione. In particolare, fare calligrafia significa superare le consuetudini: le lettere, simili ma non identiche, vengono tracciate secondo regole precise, o sapientemente deformate. All'inizio risulterà difficile, ma l'arte della calligrafia ci impone di scegliere di rallentare, e di osservare.
Prima o poi, per ragioni diverse, tutti siamo chiamati a confrontarci con la comunicazione scritta. Questo vademecum ci fornisce gli elementi essenziali per acquisire abilità preziose, come la capacità di scrivere correttamente e quella di produrre testi chiari ed efficaci, adatti all'interlocutore e alla situazione. Dalla progettazione del testo alla rilettura finale, una utile introduzione alla difficile arte della scrittura. Perché scrivere bene è un ottimo biglietto da visita.
Perché oggi è molto più facile sentirsi offrire dello street food anziché del "cibo di strada"? Come mai i politici dichiarano di voler refreshare il Paese se intendono semplicemente "rivoltarlo come un calzino"? Chi teme un competitor e cerca un endorsement non potrebbe aver paura di un "concorrente" o di un "avversario" e aspirare a un "sostegno" o a un "appoggio"? Questi esempi ci segnalano un'evoluzione preoccupante dell'italiano che negli ultimi anni si sta logorando non solo per il proliferare degli anglismi ma anche per un grave peggioramento delle nostre cognizioni linguistiche. Siamo ormai un Paese dove i fiumi non straripano (una parola perduta!) più, semmai esondano, e i tribunali emettono "ordinazioni" (sacerdotali?) invece che "ordinanze". Come presidente dell'Accademia della Crusca, Claudio Marazzini combatte ogni giorno per difendere la nostra meravigliosa lingua e attrezzarla per le sfide del futuro. L'italiano, ci ricorda Marazzini, ha una storia diversa da quella dell'inglese o del francese - nati con gli Stati nazionali - perché è fiorito ben prima che ci fosse l'Italia: dopo essersi sviluppato nel Medioevo come idioma popolare figlio del latino, si è arricchito splendidamente con la nostra grande letteratura diventando così, fra tutte le lingue, la più colta, raffinata e amata all'estero. Vogliamo dunque ora perdere questo nostro immenso patrimonio di sensibilità e di cultura? In questo libro Marazzini, compiendo un'analisi rigorosa e approfondita, presenta una lucida diagnosi dello stato di salute della nostra lingua e pone le basi per invertire la rotta, appellandosi anche ai politici e alle università, spesso responsabili della dispersione di parole e significati. Allo stesso tempo, passando in rassegna gli errori di ogni genere che si stanno insinuando, ci offre l'opportunità di correggerci e di recuperare le mille e mille sfumature della nostra meravigliosa lingua che forse ci stanno sfuggendo.
L'italiano ha alle sue spalle una storia secolare, buona parte della quale è fatta da parole, forme e costrutti presenti fin dal Medioevo. Ma un'altra parte, non piccola, costituita da materiale oggi perduto, è finita nell'ampio deposito della lingua scomparsa, che questo libro visita seguendo le linee linguistiche e culturali attraverso cui la selezione è avvenuta. Illuminando il lato in ombra dell'italiano, se ne integra e completa così la storia più nota, basata, come inevitabile, sulle parole e le forme che ce l'hanno fatta. Ne risulta un percorso storico-linguistico meno battuto e mai davvero concluso nella realtà, perché la vicenda di una lingua viva è fatta tanto da acquisizioni e guadagni quanto da perdite e dismissioni.
Al lavoro: schede, memorandum, presentazioni. A scuola: temi, tesine, relazioni. Nel privato: post su Facebook, email personali, chat sul cellulare. Sarà anche l'epoca degli audiovisivi e della comunicazione in tempo reale, ma non abbiamo mai scritto tanto. E più dobbiamo scrivere, meno sembriamo capaci di farlo. Ma, mette subito in chiaro Claudio Giunta all'inizio del libro, «non s'impara a scrivere leggendo un libro sulla scrittura, così come non s'impara a sciare leggendo un libro sullo sci. Bisogna esercitarsi: cioè leggere tanto (romanzi, saggi, giornali decenti), parlare con gente più colta e intelligente di noi e naturalmente scrivere, se è possibile facendosi correggere da chi sa già scrivere meglio di noi». E quindi? Non potendo insegnare come si scrive, Claudio Giunta prova a spiegarci come non si scrive, passando in rassegna gli errori, i tic, i vezzi, le trombonerie e le scemenze che si trovano nei testi che ogni giorno ci passano sotto gli occhi: dall'antilingua delle circolari ministeriali alle frasi fatte dei giornalisti, dal gergo esoterico degli accademici e dei politici al giovanilismo cretino della pubblicità... Ma in questo slalom tra sciatterie e castronerie Giunta trova per fortuna il modo di contraddire la sua dichiarazione iniziale, perché insegnare Come non scrivere significa anche dare delle utili indicazioni su come si scrive: per ogni cattivo esempio se ne può trovare uno buono da opporgli, per ogni vicolo cieco argomentativo c'è una via di fuga creativa, e spesso basta un punto e virgola per risolvere una frase ingarbugliata. In questo anti-manuale spregiudicato, arguto e divertente, nella tradizione di Come si fa una tesi di laurea di Umberto Eco ma aggiornato all'era di Google, scopriamo che per scrivere bene bisogna ripartire da un po' di affetto per la nostra bistrattata lingua italiana, ma soprattutto bisogna tenere a mente poche regole di buon senso: se scriviamo lo facciamo perché qualcuno ci legga, capisca quel che vogliamo dire e, se possibile, non si annoi a morte. Sembra facile, no? Con ebook scaricabile fino al 30/06/2018.
Sotto il nome “questione della lingua” si raccolgono tutte le discussioni e le polemiche relative alla norma linguistica svoltesi da Dante ai nostri tempi. A volte la questione della lingua è stata considerata con fastidio, un peso inutile, ozio di letterati: ma gran parte della tradizione culturale italiana risulta incomprensibile se si ignora il ruolo centrale di questi dibattiti. Quindi è bene conoscerli e tenerne conto. Anche oggi la questione è ben viva, ad esempio quando si polemizza sulla penetrazione dell’inglese, sul linguaggio di genere o sul modo di esprimersi dei giovani, che qualcuno giudica scorretto o troppo intriso di “parlato”. Il libro guida il lettore fino ai più recenti problemi che si proiettano sui destini dell’italiano, e ancora una volta la questione della lingua rivela la sua centralità.
Come è cambiato il linguaggio politico degli ultimi trent’anni? L’irruzione sulla scena dei nuovi media, l’ossessione per lo storytelling, la crescente personalizzazione all’interno di partiti e movimenti hanno rivoluzionato il quadro. Il libro passa in rassegna le tendenze più rilevanti nel panorama comunicativo italiano e internazionale e dedica ampio spazio ad alcuni casi di studio, dalla narrazione americana sul terrorismo alle contraddizioni del marketing politico di casa nostra, dalla comunicazione dei movimenti di protesta internazionali al caso di Grillo e dei 5 Stelle. Uno strumento essenziale sia per chi fa politica tutti i giorni (leader, consiglieri di staff, consulenti, attivisti) sia per chi vuole decifrare meglio i segnali inviati da chi ci governa o aspira a governarci.
I pregiudizi spingono a non esplorare, a non procurarsi strumenti di conoscenza – se il sospetto è che, alla fine, si possa arrivare alla stessa conclusione di un modo di dire antico. Procurarsi strumenti di conoscenza, e usarli, vuol dire invece costruire giudizi e, dunque, essere adulti. Queste pagine, oltre a raccontare come nascono alcuni luoghi comuni e perché non sono veri, suggeriscono perciò un modo di affrontare la realtà, di stare al mondo. Francesco Piccolo, “la Lettura - Corriere della Sera”
Chi di noi è libero da pregiudizi? A ciascuno il suo, parrebbe dire questo libro che smonta un catalogo di un’ottantina di pregiudizi affidati alle mani di esperti demolitori. Non sempre sono ispirati al malanimo e non è detto neppure che siano antichi e consolidati: i luoghi comuni fioriscono ogni anno, puntuali come mimose. Simonetta Fiori, “la Repubblica”
… L’abito non fa il monaco; I bambini sono buoni; Con la cultura non si mangia; La democrazia è il governo del popolo; Le donne non sanno guidare; I giovani non leggono; Le ideologie sono morte; Gli immigrati ci rubano il lavoro; Gli insetti sono bestie schifose; L’islam è intollerante; Il jazz è difficile; La letteratura italiana è morta; La mafia è invincibile; Di mamma ce n’è una sola; Non ci sono più le mezze stagioni; La musica classica va ascoltata in silenzio; Il Nord ha colonizzato il Sud; Il pesce fa bene alla memoria perché contiene fosforo; I politici sono tutti ladri; Il pubblico ha sempre ragione; La rete non ha padroni; La salute non ha prezzo; Il Sud vive alle spalle del Nord; Gli uomini sono tutti uguali…
Che il nostro pensiero venga influenzato dalla lingua che parliamo, ovvero che sia la grammatica a condizionare la nostra visione del mondo, è una delle grandi ipotesi della linguistica contemporanea. Benjamin Lee Whorf ne condivide la paternità con Edward Sapir, e ai loro nomi è legato il cosiddetto «relativismo linguistico», che trova importanti formulazioni nei saggi di Whorf qui raccolti. All'inizio questa prospettiva di ricerca si è attirata addirittura l’accusa di sovversione, perché osava postulare che alcuni popoli ritenuti «primitivi» avessero una struttura linguistica più ingegnosa di quelli evoluti, rovesciando un preconcetto diffuso. Ma non ha avuto vita facile neppure in seguito, quando si è imposta la tendenza a studiare gli universali del linguaggio, piuttosto che gli aspetti distintivi delle singole lingue.
Ciononostante, con il determinismo lingua/cultura sostenuto da Whorf hanno dovuto continuare a confrontarsi fino a oggi tutte le teorie del funzionamento del linguaggio. E sono tuttora esemplari e ricche di implicazioni inesplorate le sue indagini sulle categorie grammaticali e sulla formazione delle parole.
Lo sappiamo tutti: la prima reazione davanti a un testo in greco antico spazia dalla paralisi al terrore puro. Ho scelto nove ragioni per amare e per raccontare ciò che il greco sa dire in modo unico, speciale, diverso da ogni altra lingua – e sì, per spazzar via ogni paura trasformandola forse in passione.
Il greco antico ha qualcosa di speciale: è una lingua fatta per andare all’origine della realtà e nominarla senza fronzoli, senza però tralasciare un’infinita varietà di sfumature, proprio per raggiungere, come si fa con uno strumento di alta precisione, l’identità di ogni cosa. Impararla significa ampliare i gradi di percezione del mondo, perché i nostri sensi sono determinati dalle nostre parole. È un vino che non avete mai bevuto, annata unica, se lo assaggiate ne vorrete ancora, come quello offerto da Ulisse al Ciclope. Alessandro D’Avenia, “Tuttolibri”
Un libro intelligente e inatteso, che si legge in bilico tra la consapevolezza un po’ angosciosa di avere sprecato un’occasione ai tempi del liceo e la sensazione euforica della seconda opportunità. Da regalare a quelli che oramai è troppo tardi. Cambieranno idea. Gianrico Carofiglio
Come l’attività fisica è fondamentale per tenere in forma il corpo, un’adeguata ginnastica è indispensabile per mantenere sveglia e agile la mente. I giochi enigmistici possiedono la caratteristica peculiare di stimolare il ragionamento e di offrire perciò un proficuo addestramento cerebrale. Sono inoltre estremamente funzionali, perché il divertimento e la soddisfazione che procurano a chi li risolve inducono una forte motivazione a continuare a esercitarsi. Il libro fornisce le nozioni basilari per prendere confidenza con i più significativi giochi di parole enigmistici e con alcuni prettamente linguistici, non solo per cominciare a praticarli con disinvoltura, ma anche per cimentarsi nella loro ideazione.