Dopo il terribile massacro di Fort Vance - in cui il sergente ha involontariamente giocato un ruolo che l'ha reso, agli occhi dei suoi vecchi compagni d'armi, un "rinnegato" - Kirk vive in preda al tormento e al rimorso: non può tornare tra i militari, che lo considerano un traditore, ma neanche restare con gli indiani, sempre in guerra tra loro. Così, nonostante il sostegno dei suoi, fino ad allora, inseparabili amici (il giovane "fratello di sangue" Maha, Il Corto e il dottor Forbes) decide di partire da solo per vivere come un lupo lontano dal suo branco. Ma il legame che lo unisce ai suoi più cari affetti è troppo forte per poter essere reciso e ben presto, complice il destino, i quattro si ritroveranno di nuovo assieme ad affrontare indiani feroci, vendicativi ladri di bestiame, tomahawk maledetti, pericolosi cacciatori di taglie non ultimo, il terribile Corazon Sutton: il killer dalla fama più sinistra di tutto il West.
Appena uscito in Inghilterra il libro di Julie Myerson ha scatenato polemiche e reazioni presso l'opinione pubblica di tutto il mondo per la radicalità della sua scelta di madre e per aver deciso di raccontarla.
Questa è la storia. Mentre Julie Myerson sta lavorando alla biografia di una giovanissima pittrice ottocentesca morta a 21 anni di tubercolosi, la sua famiglia all'improvviso esplode.
Il figlio diciassettenne smette di andare a scuola, non risponde alle telefonate dei genitori, li minaccia e li deruba. Ben presto si capisce che la causa è un grave problema di dipendenza da cannabis, ma la famiglia non si perde d'animo e fa di tutto per aiutare il ragazzo. Quando però la situazione precipita e si passa alle violenze fisiche, la scrittrice e il marito decidono che per salvaguardare la famiglia e i fratelli più piccoli devono mettere il figlio, ancora minorenne, alla porta.
E alla fine la storia della giovanissima artista e quella del proprio figlio sembrano rispecchiarsi in una stessa terribile domanda: cosa accade quando un figlio scompare dalla nostra vita, che cosa sopravvive di noi e di lui nella nostra memoria?
Chi ha scritto queste pagine, raccontando ciò che ha vissuto, non è un cecchino. Ma ha fatto il cecchino per due anni di servizio militare in un gruppo d'assalto dell'esercito russo durante la Seconda campagna cecena. Non sempre si è ciò che si fa. L'uomo dovrebbe essere più di ciò che fa. Ma ciò che fai può essere così orribile da cambiare ciò che sei: un uomo.
La guerra che in queste pagine vedi - perché l'equipaggiamento simbolico di Lilin è soprattutto visivo, come quello della gran parte di noi - non ha orizzonti, né ideologie, né complesse visioni del mondo. Tutto è ravvicinato come attraverso il cannocchiale di un fucile di precisione. Ma è proprio tale assenza di prospettiva a rendere queste pagine terribili più grandi degli eventi che raccontano. Così, la guerra che vedi non è solo quella cecena, ma è la guerra come la si combatte oggi in ogni parte del mondo. Quella senza politica, senza dichiarazioni ufficiali, senza il teatro dei media. Ma con tutta la tecnologia disponibile. E ogni tecnologia - se togli l'uomo come accade in guerra, se togli non solo la pietà ma anche l'etica - si riduce a strumento bellico.
Il gruppo di sabotatori raccontato da Lilin con un aurorale talento di narratore non si trova su un fronte, ma nel caos dell'azione in prima linea o dietro le linee nemiche. Gli uomini sono per lo più arruolati contro la propria volontà e combattono per la propria sopravvivenza contro il nemico e contro i traffici del proprio Comando. Fra le case, nei cortili, sul fianco di una collina, nelle fogne o all'interno di una moschea.
I nemici sono semplicemente gli «arabi» - come vengono chiamati senza distinzioni e in un assurdo guazzabuglio «ceceni, musulmani, afghani, talebani, terroristi o combattenti di qualunque fede politica» - che bisogna annientare senza pietà ma soprattutto senza esitare, pena la vita. L'unica lealtà possibile è quella primitiva verso il compagno nel gruppo assediato dal mondo di fuori. Si uccide con armi ad alto potenziale o di precisione, ma anche con il pugnale o con una pistola appoggiata alla nuca. E il corpo del nemico fatto a pezzi diventa manichino. Chi lo guarda, per poter sparare meglio si è appena trasformato in una pietra senza respiro e senza vita e ora posa su di esso uno sguardo estetico. E tu capisci che l'uomo non c'è più. Provi orrore quando Lilin non confessa, ma semplicemente dice di aver provato piacere a uccidere, la «gioia» dell'assassino addirittura, ma ti rendi conto di essere di fronte a un frammento di verità.
Ogni guerra, qualsiasi guerra se la vedi senza i filtri dei princìpi o delle ideologie, è come questa. Ed è così per le vittime come per i carnefici. Porta l'uomo oltre l'uomo, sì, al di là del bene e del male. Tutto il resto è letteratura.
Nell'afa della Città eterna, le stanze della Biblioteca Vaticana sembrano coprire delitti ben piú torbidi del furto di un disegno di Michelangelo. La mano ferma e ironica di Fred Vargas tesse qui un giallo raffinato e potente.
Con un vescovo un po' eccentrico sul punto di diventare cardinale, diplomatici, esperti e mercanti d'arte, una bellissima parigina che fa troppi viaggi a Roma, e tre studenti francesi che l'adorano.
E dove il segreto piú oscuro, come sempre, è nascosto nelle profondità del cuore.
Durante una festa notturna a piazza Farnese viene assassinato Henri Valhubert, editore ed esperto d'arte, che si era appena precipitato a Roma per indagare sulla dubbia provenienza di un disegno di Michelangelo apparso sul mercato francese.
A essere sospettato è il figlio Claude, che a Roma studia da anni assieme agli inseparabili Tiberio e Nerone, scanzonati compagni di sbornie e passioni. Ma accade qualcosa che sconcerta ancor di piú il silenzioso e impulsivo Valence e il loquace ispettore Ruggieri, i due detective che si ritrovano, fianco a fianco, a dover risolvere l'enigma.
Mentre l'intrigo coinvolge una bibliotecaria di inossidabile virtú, l'incantevole Laura, affascinante matrigna di Claude,e il vescovo Lorenzo Vitelli, che fra le tante altre cose è anche il protettore designato di Claude, e amico dei tre ragazzi...
«- È uno scarabocchio di Michelangelo, - continuò Valhubert, - un frammento di torso e una coscia, che se ne vanno a spasso in piena Parigi.
- Uno scarabocchio?
- Esattamente. Uno schizzo estemporaneo, e vale milioni perché non proviene da nessuna collezione nota, pubblica o privata. È un inedito, qualcosa che nessuno ha mai visto. Una coscia buttata giú che se ne va a spasso in piena Parigi. Lo comperi e farà un magnifico affare. A meno che, ovviamente, non sia rubato.
- Non si può rubare un Michelangelo, oggigiorno. Non sbucano fuori dalle soffitte.
- E invece sí, alla Vaticana... Gli immensi fondi d'archivio della Biblioteca Vaticana¿ Questo foglio sa di Vaticana».
Massaua, 1896.
Nel catino rovente di una cittá sensuale e cosmopolita tutti i destini si intrecciano. Mentre un detective non autorizzato è ossessionato dalla ricerca di un assassino di bambini, uomini, donne e soldati precipitano, senza saperlo, verso il proprio destino. Verso la piú colossale disfatta che il colonialismo europeo abbia subito. La battaglia di Adua.
Altre edizioni:
L'ottava vibrazione. 2008. Stile libero BIG
Un grande romanzo di guerra e d'amore. E di delitti.
Una storia epica rinasce dall'ombra del passato e irrompe in una luce cupa e visionaria, splendida e dannata. Tutte le voci, i dialetti e le lingue, sono il tessuto di un romanzo corale dove inferno e salvezza abitano insieme. Gli amori i tradimenti i deliri e le perversioni piú folli si intrecciano all'innocenza piú pura, l'arroganza dei potenti vive accanto alla comunità degli umili, la magia e il quotidiano si fondono. Lo scrittore che ha rinnovato il noir italiano porta la propria indagine della «metà oscura» dell'anima in un nuovo, inesplorato terreno.
Dove una pagina oscura della nostra storia diventa leggenda.
«Era la metà di agosto e Myers era sospeso a metà tra una vita e l'altra». Comincia così Legna da ardere, la storia di un uomo che, sobrio da ventotto giorni e in fuga da un matrimonio fallito, decide di andare a vivere in una camera in affitto a casa di due sconosciuti. Myers, si intuisce, è anche uno scrittore, uno di quelli che non riescono più a scrivere. Il nuovo inquilino si aggira per le stanze di Sol e Bonnie, i padroni di casa, silenzioso e tormentato come un fantasma. Fino a che, un giorno, non avviene qualcosa: un gesto minimo e l'improvvisa, dolorosa presa di coscienza di fare finalmente la cosa giusta nel modo giusto. Una conquista. È il racconto che apre il volume, questo, e, fin dalle prime pagine, conferma al lettore di essere a casa.
Se hai bisogno, chiama raccoglie - per la prima volta in Italia e fedele all'edizione originale - tanto i racconti postumi, quelli su cui Carver stava lavorando poco prima di morire, quanto quelli giovanili, pubblicati su piccole riviste all'inizio degli anni Sessanta e a volte addirittura sotto pseudonimo. Si scoprono così due Carver ugualmente inediti e sorprendenti, rinvenendo nel contempo le tracce di quei momenti «sospesi a metà tra una vita e l'altra» che sempre accompagnano la carriera di uno scrittore.
C'è quindi il Carver poco più che ventenne, un autentico «Carver prima di Carver», prima di Vuoi star zitta, per favore? e Principianti, prima di Gordon Lish e Cattedrale: uno scrittore ancora in lotta con i maestri - Joyce, Faulkner e, soprattutto, Hemingway - ombre dalle quali non è ancora riuscito a liberarsi. E poi c'è il Carver maturo, sicuro di sé e dei suoi mezzi espressivi, padrone di una lingua che controlla con la stessa concentrata serenità di un uomo che taglia della legna da ardere come se da quell'unico gesto dipendesse tutta la sua vita.
Eppure, per quanto diseguali negli esiti e lontani nel tempo, tutti questi racconti possiedono una medesima luce: quella in grado di illuminare, per usare le parole di Carver, «ciò che ci rende e ci mantiene, spesso a dispetto di grosse difficoltà, riconoscibilmente umani».
Supponiamo che tu voglia chiedere un aumento al tuo capo. Prima fermati e rifletti. Poi, prendi il coraggio a due mani e vai nel suo ufficio. Potresti trovarlo alla sua scrivania oppure trovare una sedia vuota. Delle due, l'una: non c'è. Del resto neanche tu sei nel tuo ufficio. Cosa fare? Non scoraggiarti e aspetta il suo ritorno. Ma il tuo capo potrebbe non tornare. Potrebbe essersi intossicato a mensa mangiando uova marce, o aver ingoiato una lisca di pesce, o aver preso il morbillo da una delle figlie. E se anche rientrasse, chi ti dice che sia di buon umore? Che ti sorrida e ti faccia accomodare quando bussi alla sua porta? Che sia questo il momento giusto? Se è venerdì potrebbe esser meglio aspettare il lunedì. Se è mattina tornare il pomeriggio. E se fosse in piena digestione...
Rilassati. Aspetta il giorno dopo e se sarà presente, se sarà disponibile, sforzati di nuovo di convincerlo.
«Dopo avere riflettuto a lungo dopo aver preso il coraggio a due mani ti decidi ad andare dal tuo capoufficio per chiedergli un aumento e così vai dal tuo capoufficio diciamo per semplificare perché bisogna sempre semplificare che si chiama monsieur xavier cioè monsieur o meglio mr x così vai da mr x e qui delle due l'una o mr x è in ufficio o mr x non è in ufficio se mr x fosse in ufficio apparentemente non ci sarebbe nessun problema ma ovviamente mr x non è in ufficio e così ti rimane solo una cosa da fare appostarti nel corridoio in attesa del suo ritorno...»
Il talento avvelenato di Giorgio sta tutto nello sguardo, in quell'occhio radiografico capace di vedere pure quello che non vorrebbe: alterazioni infinitesimali della materia, incrinature più sottili del capello di un angelo. Le crepe che non vogliono dire niente e quelle che annunciano catastrofi. I difetti delle cose, e forse delle persone.
Che sia l'ala di un aereo o la paratia di una nave, che sia un buco dell'anima o la minuscola perdita di un condotto petrolifero nei ghiacci dell'Alaska, l'esercizio è sempre lo stesso: scoprire, dentro quello che c'è, quello che manca.
Ma tutto traballa quando a essere testate con minuzia da entomologo, senza davvero vederle mai, sono le donne e la vita. Che a un certo punto può riacciuffarti con la sua fragilità irreparabile, con il delicato mistero di un amore, di un dolore, di una sorpresa assoluta.
Giorgio Aguirre ha studiato medicina, come la madre e il padre prima di lui. Ma di fare il medico non se ne parla. Meglio diventare radiologo industriale in un'officina che produce fiancate per elicotteri: «macchine e non uomini, rotture e non fratture». Sì, perché Giorgio ha una specie di occhio assoluto. È in grado di vedere nelle lastre, in quelle zone d'ombra lattiginose, crepe minime che nessun altro percepisce.
Il Rospo, «un tecnico magro e lunare», gli trasmette il mestiere e molto altro. A legarli è un'amicizia trattenuta, virile, burbera e proprio per questo affettuosissima. La forza di quel vecchio brontolone un po' filosofo lo accompagnerà sempre, anche nella sua vita da fuggiasco.
Giorgio infatti parte per il Belgio, dove va a occuparsi del controllo qualità in uno dei centri più all'avanguardia nel campo delle prove non distruttive. Qui incontra Anne-Marie, che profuma «di burro e pandispagna» e gli dà lezioni di guida e di cucina.
Poi si spinge fino in Alaska, dove nuota l'halibut dal ventre bianco e ricurvo come una falce di luna, e dove d'inverno la terra non finisce e il mare non comincia.
Ma il Rospo va a cercarlo per riportarlo a casa, perché dal dolore non si può fuggire sempre, perché occorre anche abbandonarsi all'«infinito ondoso oscillare delle cose». Per scoprirsi alla fine mutati nel profondo.
Alessandro Defilippi ci regala una storia dall'atmosfera sospesa e ipnotica, quasi fantastica, e dei personaggi così veri che pare di conoscerli.
Un romanzo che mette sotto la lente d'ingrandimento le paure più umane, le emozioni più intense, facendole semplicemente pulsare in scene vive dentro il battito del racconto.
Giappone, anni trenta: è tempo di attentati e complotti da parte di gruppi estremisti. In questo contesto ritroviamo Honda Shigekuni, già protagonista di Neve di primavera, nel secondo episodio della tetralogia di Mishima, Il mare della fertilità. È ora giudice della Corte di appello di Osaka, ha compiuto trentotto anni, da dieci anni è sposato con la mite Rie, da cui non ha avuto figli, e conduce una vita tranquilla e abitudinaria. Un giorno però, presenziando a un torneo di kendo, fa la conoscenza di Isao Iinuma, per Honda la reincarnazione dell’aristocratico compagno di scuola Kiyoaki Matsugae, la cui morte aveva segnato per lui la fine della giovinezza. Isao è il figlio di Shigeyuki Iinuma, il vecchio precettore di Kiyoaki e ora presidente di un’associazione patriottica della destra. Isao, a soli diciannove anni, è un campione di kendo, un atleta che sprigiona energia e coraggio virili ma anche un ragazzo ancora puro e ingenuo. Nonostante il turbamento e la nostalgia, Honda è felice di aver ritrovato l’amico la cui vita è avvinghiata alla sua come un rampicante all’albero e sente di doversi prendere cura del giovane. Isao però, cresciuto nel rispetto del codice dei samurai, cova il mito dell’intransigenza verso il potere ingiusto e corrotto, che giustifica la rivolta, e insieme il culto della bella morte. Sarà Honda a cercare di salvarlo.
Zuckerman fa tre incontri che in breve tempo spazzano via la sua solitudine gelosamente custodita. Il primo è con una giovane coppia alla quale, agendo d'impulso, offre uno scambio di case. Dall'istante in cui la incontra, Zuckerman è attratto dalla sfida erotica rappresentata dalla giovane donna, Jamie, e da tutto ciò che credeva di essersi lasciato alle spalle: l'intimità, il gioco vitalissimo fra il cuore e il corpo. Il secondo contatto lo stringe con una figura della sua giovinezza, Amy Bellette, musa e compagna del suo primo eroe letterario, E. I. Lonoff. Un tempo irresistibile, Amy è ormai una vecchia stremata dalla malattia ma ancora decisa a preservare la memoria dell'uomo che ha mostrato a Nathan la via solitaria per la vocazione di scrittore. Il terzo incontro è con l'aspirante biografo di Lonoff, un giovane segugio letterario pronto a tutto pur di stanare il «grande segreto» del maestro. Di colpo invischiato nuovamente - come mai avrebbe voluto o previsto - nelle trame dell'amore e della perdita, del desiderio e dell'animosità, Zuckerman mette in scena un dramma interiore di vivide e intense possibilità.
Sullo sfondo – come in un campo lunghissimo di John Ford o di Sergio Leone – le montagne dell’Arizona, che sembrano «racchiudere il mondo da tutti i lati»; in primo piano un uomo a cavallo, che percorre la pista che conduce alla statale per Tucson: il «Grande Passaggio, attraverso il quale, allorché non esistevano né treni né automobili, erano transitati uomini e mandrie, e buoi, cavalli e carri a migliaia». Oggi, 7 ottobre 1947, l’uomo a cavallo, John Evans detto Curly John, il rispettato proprietario del ranch della Giumenta perduta, compie sessantotto anni, ma in sella si tiene ancora ritto come quando ne aveva venti. Come quando lui e il suo amico Andy Spencer erano arrivati nel selvaggio Ovest in cerca di fortuna. C’è un punto della pista dove, ogni volta che ci passa, a Curly John sembra quasi di «provare il dolore di quel giorno»: trentotto anni prima, lì ha ucciso Romero, il messicano che qualcuno aveva pagato per farlo fuori. Dopo, tutto è stato diverso: Andy, il suo grande amico, che Curly John sospetta di essere il mandante del tentato omicidio, è diventato per lui «l’Innominabile». Ma il caso – una vendita all’asta in cui quasi a malincuore Curly John entra in possesso di un vecchio baule – cambierà le carte in tavola. L’amicizia virile, la vendetta, il perdono; e le miniere, il deserto, i saloon e le case da gioco: gli elementi del buon western ci sono tutti, e con questi Simenon ci offre una sua personale, avvincente variazione sul tema.