É evidente che in Italia sia mancata una Norimberga. Il nostro Paese, infatti, non ha mai fatto i conti col fascismo e con la sua memoria storica. Proprio per questo già Beppe Fenoglio temeva che certi squadristi si sarebbero prima o poi riciclati, e dunque reinseriti, nelle istituzioni. E così è stato. "Sfascistoni" è al tempo stesso un catalogo e un manuale. Catalogo di soggetti politicamente e moralmente irricevibili, che proliferano nella destra italiana oggi baciata dai consensi. E manuale di resistenza, perché a questa politica degenere occorre resistere. In questo libro, scritto con arguzia e tagliente ironia, Andrea Scanzi mette in fila una lunga serie di fascisti dichiarati e mascherati, macchiette e pesci piccoli, camerati e criminali. Qualcuno vi farà persino sorridere, molti altri vi faranno rabbia e basta.
Il conflitto israelo-palestinese, che infiamma il Medio Oriente dal 1948, riesplode periodicamente e si conferma come una delle principali cause di instabilità della regione. Dalla nascita dello stato di Israele lo scontro tra sionismo ebraico e nazionalismo arabo ha creato fratture ideologiche divenute via via sempre più profonde a causa di diversità culturali, ostilità religiose, disuguaglianze economiche. Come conciliare la ricerca degli ebrei di una patria sicura dopo secoli di persecuzioni culminate nell'orrore della Shoah con la rivendicazione di uno stato autonomo da parte del popolo palestinese? Tim Marshall, esperto di geopolitica internazionale, analizza le barriere non solo fisiche che ostacolano il dialogo fra i due popoli e mette in luce le radicali divisioni al loro interno che rendono al momento difficile, forse impossibile, una soluzione pacifica e duratura del conflitto.
Le grandi distopie immaginate da Orwell o da Huxley esprimevano la propria visione degli orrori del mondo solido-moderno abitato da produttori e soldati irreggimentati e ossessionati dall'ordine. Essi credevano nei sarti su misura, cioè nella possibilità di confezionare un futuro su ordinazione. Temevano gli errori di misurazione, i tagli scadenti o la corruzione dei sarti, ma non pensavano certo che le sartorie potessero fallire e scomparire. Le distopie del presente rappresentano un mondo in cui i sarti non ci sono più, in cui ci si crea da sé il proprio futuro che nessuno controlla, né vuole o sa controllare. In un mondo come questo non può che crescere lo scoramento e il disfattismo, l'incapacità di agire e la sensazione di essere condannati a soccombere. Eppure, secondo Bauman, questa è soltanto la descrizione di quello che stiamo vivendo. Non è vero che è «sempre la stessa storia»: il futuro non si deduce dal presente, il futuro non è un destino. Ancora una volta Zygmunt Bauman illumina, legge, interpreta e traduce ogni piega del tempo che viviamo.
Un libro che per la prima volta ricostruisce le figure di Gerusalemme e Gaza nella Bibbia e nelle tradizioni rabbinica e islamica, per capire le radici culturali del conflitto israeliano-palestinese. Uno sguardo che si sofferma sui simboli e le credenze religiose - a partire dal concetto di Terra Santa - che agiscono sotto le decisioni politiche e gli eventi che lacerano la terra di Abramo: Israele e Palestina. Con l'attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 è messa in gioco l'esistenza stessa dello Stato di Israele da parte del fondamentalismo islamico e la convivenza tra i due popoli. Un testo per capire le ragioni religiose della più lunga guerra contemporanea, delineando le condizioni culturali - e teologiche - di possibili percorsi di pace e mutuo riconoscimento.
Pagine coraggiose che affrontano, con onestà intellettuale e parresia, questioni centrali: «Parliamo di politica da cattolici», affermano gli autori, «non scriviamo per offrire soluzioni, ma per raccontare che cosa intendiamo per vita cristiana, per combattere le menzogne che la deturpano, menzogne che a volte ci fanno ridere». Il cattolicesimo non può essere strumentalizzato né da un "ordine civile" né da un "ordine morale", né quando si tratta di far valere le «radici cristiane» né quando ci sono «valori da difendere». La vita cristiana, vita incarnata da Cristo, è fatta di gesti e di parole che rendono possibile la comunione. Non la comunità, sempre capace di inglobare e amalgamare, ma la comunione come articolazione reale e possibile dell'eterogeneo, del diverso. Prefazione di Andrea Grillo.
In un mondo interconnesso, percorso da una «guerra mondiale a pezzi» e dominato da prospettive apocalittiche, qual è il compito della Chiesa? Che cosa caratterizza, in particolare, i gesti e le parole di Francesco? Quali sono le radici della «diplomazia della misericordia»? E come si concilia la volontà di mediazione con l'energica denuncia dei mali di oggi? A dieci anni dall'elezione di Jorge Mario Bergoglio, Antonio Spadaro ne rilegge l'approccio geopolitico da più prospettive. Innanzitutto la visione, di cui mette in luce i punti fondamentali, attingendo ai numerosi riferimenti culturali e intellettuali del pontefice. Ricostruisce quindi la «mappa» dell'azione di Francesco, attraverso i viaggi apostolici, gli eventi sinodali e la politica internazionale della Santa Sede. Ne emerge un'analisi dei traguardi raggiunti e delle sfide aperte: l'impegno per un nuovo umanesimo in Europa e per porre fine ai conflitti e alla tragedia dei migranti, proponendo un'alternativa credibile al capitalismo finanziario speculativo; l'avvicinamento alla Cina e il dialogo con l'Islam; l'esperienza della prima pandemia globale nell'era digitale; l'attenzione a territori dalle forti contraddizioni politiche ed ecologiche, come l'Amazzonia; i passi avanti nei rapporti con il Medio Oriente e le visite in paesi quali il Kazakistan e il Bahrein, luoghi di incontro e crocevia multietnici, «laboratori» di una Chiesa piccola ma viva.
In principio fu la Diaspora degli ebrei, cacciati dalla loro terra dai romani dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. E dispersi nel mondo per 17 secoli. Poi una serie infinita di dominazioni e di persecuzioni, fino alla fine dell'Ottocento e ai primi del Novecento, quando il Sionismo teorizza e organizza il ritorno a casa. Il resto lo fa la Shoah, lo sterminio di 6 milioni di ebrei per mano del nazismo. Nel 1947 l'Onu spartisce la Palestina transgiordana (più piccola del Piemonte sommato alla Valle d'Aosta) in due Stati: uno ebraico e uno arabo-palestinese. Ma nasce solo il primo. Le classi dirigenti arabe si giocano i palestinesi, vittime dei "fratelli" oltreché dei nemici israeliani, alla roulette russa delle guerre (quattro) e del terrorismo. E perdono sia le guerre sia i territori. Israele restituisce quelli occupati all'unico Paese arabo che nel 1978 accetta di riconoscerlo e fare la pace: l'Egitto. Poi nel 1993 lo fa anche l'Olp di Arafat col premier israeliano Rabin e si riaccende la speranza, subito frustrata dall'assassinio di Rabin da parte di un ebreo fanatico. Fra alti e bassi, violenze e attentati, massacri incrociati, torti e ragioni intrecciati, si arriva al ritiro israeliano da Gaza a opera del falco Sharon. Che però un ictus mette subito fuori gioco, inaugurando la lunga e buia era Netanyahu. Questi sabota il processo di pace con sempre nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania, appoggia addirittura Hamas per indebolire il moderato Abu Mazen e fa passare definitivamente Israele dalla parte del torto. In questo libro alla portata di tutti, che si legge d'un fiato come un romanzo, Marco Travaglio racconta con sintesi e chiarezza, lontano dalle opposte tifoseria da curva sud, la Guerra dei Cent'Anni israelo-palestinese. E risponde a tutte le domande e a tutti i dubbi suscitati dagli ultimi bagni di sangue.
Società intelligente o stupidità di massa? Che forma prenderà il mondo che ci aspetta? Davanti a noi una scelta di civiltà. Dopo la pandemia, la guerra in Europa. I due ultimi shock globali dovrebbero convincerci che la stagione della globalizzazione sta definitivamente tramontando. Siamo ormai oltre la modernità liquida, costretti ad affrontare gli esiti di un virus che non si lascia debellare e allo stesso tempo spinti a ripensare il futuro, nel quadro del paradigma tecnico-scientifico e del delicato processo di costruzione di un nuovo ordine mondiale. L'epoca nuova - quella della supersocietà - è caratterizzata da una vita individuale e collettiva sempre più dipendente dalla tecnologia, dall'intreccio inestricabile tra azione umana ed ecosistema, e dal rapporto sempre più stretto tra soggettività - nelle sue componenti anche psichiche e biologiche - e organizzazione sociale. E domani? Dove ci condurranno sostenibilità e digitalizzazione, i due grandi protagonisti della nostra quotidianità? Verso un mondo distopico, centralizzato e burocratizzato, o verso la società dell'intelligenza diffusa dove la libertà potrà ancora essere l'elemento cardine per tenere insieme sviluppo economico e democrazia?
Ci sono i beni privati e i beni pubblici, che sono da sempre al centro degli interessi degli economisti; e poi, però, ci sono i beni comuni. Questi beni, l'acqua che beviamo, la qualità dell'aria che respiriamo, le foreste, i pesci del mare, molti diritti di cui godiamo o dovremmo godere, il senso civico di chi paga le tasse, il clima di fiducia nel quale lavoriamo e viviamo, sono beni che stanno a metà tra beni privati e beni pubblici. Da questa loro natura "ibrida" scaturisce anche la loro fragilità. La più profonda trasformazione che la nostra società sta vivendo in questi decenni può essere descritta proprio come il passaggio dall'era dei beni privati a quella dei beni comuni. Nella dopo-modernità, la presenza dei commons è e sarà sempre più la regola e non l'eccezione, e la qualità del nostro sviluppo risulterà sempre meno legata alla quantità di beni privati consumati e sempre più alla quantità e alla qualità di "beni comuni" che riusciremo a preservare e valorizzare. In queste pagine l'economista Vittorio Pelligra mostra come sia possibile "curare le radici", mitigare le tragedie dei beni comuni a cui assistiamo continuamente, alleviare le patologie della fiducia, che prendono la forma di opportunismo, diffidenza e tradimento. Questa cura nasce dalle scelte e dall'impegno dei singoli ma per essere veramente efficace deve, necessariamente, trasformarsi in norme, leggi e istituzioni.
Un'ideologia imperiale durata 2000 anni, un leader autoritario, Xi Jinping, che la ripropone per spostare il baricentro della leadership mondiale da Washington a Pechino e sovvertire l'attuale ordine globale. Ma il realizzarsi di queste ambizioni richiede qualcosa che la Cina di oggi non è in grado di esprimere: quella forza di attrazione che solo una cultura fondata sulla libertà di pensiero e di espressione può avere. Cina contro Occidente, autocrazie contro democrazie? Quali sono le ragioni storiche e culturali alla base del modello di potere cinese, ritenuto da Xi Jinping superiore a quello delle democrazie liberali? Impossibile rispondere senza legare l'attualità alla storia imperiale. Il progetto di Xi è infatti quello di porre la Cina al centro, com'era nella concezione cinese prima dell'arrivo delle potenze occidentali, e di tornare a occupare la scena del mondo, da protagonista. Lo scontro non è solo economico e politico, ma anche culturale e valoriale: a essere messi in discussione sono infatti gli stessi principi liberali, fondamento delle democrazie di un Occidente oggi sempre più in preda a una forte crisi identitaria. Contrapponendo un nuovo assetto internazionale a quello creato dai vincitori della Seconda guerra mondiale, la Cina di Xi si avvicina adesso alla Russia di Putin. Ci troviamo di fronte a un nuovo tornante della storia? Riuscirà il mondo a evitare un nuovo conflitto mondiale?
Il volume nell'intento di aiutare a comprendere meglio la complessità contemporanea rilegge le vicende dell'ultimo scorcio del Novecento, partendo dall'elezione di Bill Clinton a presidente degli Stati Uniti. Quando il leader democratico fa il suo ingresso alla Casa Bianca, l'America è un paese in attesa, pronto a voltare pagina: si è chiusa l'epoca del confronto bipolare con Mosca, la Storia ha dato ragione all'unica superpotenza rimasta. Gli effetti della "rottura" geopolitica del biennio 1989-91, però, non tardano a palesarsi, mandando in frantumi le aspettative di quanti si erano illusi che la fine della Guerra fredda avrebbe aperto il varco alla coesistenza pacifica fra gli Stati. L'inatteso disordine globale impone la necessità di definire una nuova architettura di sicurezza per fronteggiare le crisi del terzo millennio: estendere il perimetro atlantico a est diventa dunque un imperativo strategico che non prevede cedimenti, e che consegue il risultato voluto senza mettere a rischio il rapporto di cooperazione con la Russia di Boris Elcin, almeno nell'immediato. Fino all'ascesa di Vladimir Putin e alla spirale di violenza che avvolge questo tempo difficile.
Storia e critica dell'opinione pubblica ("Mutamento di struttura della sfera pubblica", nel titolo originario), uscita nel 1962, è stata la prima importante opera di Jürgen Habermas, divenuta ormai un classico, che permette di comprendere la genesi e le trasformazioni della sfera pubblica politica dall'epoca borghese sino alla crisi del suo carattere emancipatorio nel corso del Novecento. Seppur il concetto di sfera pubblica - inteso in senso normativo, critico e applicativo - sia rimasto il filo rosso che accompagna l'intera sua opera, Habermas ritorna oggi a interrogarsi sul radicale mutamento strutturale prodotto da Internet e dai social network, così come sulle tendenze della comunicazione pubblica nel contesto del nuovo ecosistema mediale, ibrido, decentrato e reticolare.