Poche opere hanno avuto la fortuna della "Vita dei Cesari", tra le prime a essere riprodotta a stampa, diffusa e tradotta in tutte le lingue. Quest'opera contiene le vite degli imperatori delle dinastie Giulio-Claudia e Flavia, secondo uno schema in parte riconducibile alla biografia alessandrina (famiglia, nascita, adolescenza, inclinazioni, attività pubblica, vita privata, aspetto fisico, morte). In quest'ottica l'attenzione di Svetonio non è diretta tanto all'imperatore quanto all'uomo, di cui evidenzia debolezze e difetti, per attirare un pubblico avido di curiosità e pettegolezzi.
"La natura delle cose" è un poema fondamentale della storia del pensiero, in cui vengono assunti a fondamento i princìpi portanti della filosofia epicurea. Lo stesso Cicerone fu soggiogato dalla grandezza dell'opera e, pur non approvandone filosoficamente il contenuto, contribuì in modo decisivo alla sua pubblicazione. L'opera è la celebrazione della dottrina epicurea come filosofia liberatrice dell'uomo e valido mezzo a confortare un'umanità quanto mai turbata e incerta. Cardine del suo approccio era la fisica atomistica democritea: il mondo in cui viviamo non è che il risultato dell'unione casuale di una parte degli infiniti atomi, da sempre in movimento nello spazio senza fine. Al rigido sistema democriteo, Epicuro in realtà aggiunse una variante rivoluzionaria, il clinamen, ossia la spontanea deviazione degli atomi dalla loro traiettoria rettilinea, una sorta di "libero arbitrio" ante litteram. Anche il mondo degli dèi esiste. Ne abbiamo immagine, ma vivendo eternamente beati negli spazi tra mondo e mondo, essi non hanno tempo né voglia di occuparsi di noi. La conclusione è che, in questo modo, sia la fisica sia la teologia ci liberano dagli ostacoli più gravi che si oppongono alla nostra felicità: il timore della morte e della collera divina.
Riesce naturale, quando si vuole iniziare un discorso sulla Campania antica, prendere le mosse da Virgilio, il più grande poeta della latinità e il vertice spirituale toccato dalla cultura classica. L'autore rievoca qui memorie poetiche che si addensano intorno al rudere che la tradizione ritiene il sepolcro di Virgilio.
La straordinaria sensibilità e lo scavo psicologico di Eschilo non solo danno vita nel suo teatro a personaggi grandiosi e complessi, ricchi di risvolti, ma fanno irrompere sulla scena, e con la massima violenza, le grandi questioni politiche e sociali dell'epoca, incredibilmente attuali e moderne: il diritto d'asilo, il sorgere dello stato dalle ceneri delle lotte intestine, la necessità del voto e della democrazia. Il linguaggio è ricchissimo di risorse e accosta registri lirici ed epici, espressioni del parlar comune o dialettali, e quando si gonfia e tende al solenne ha sempre, come in Shakespeare, il crisma dell'autenticità. Introduzione di Umberto Albini.
Siamo nel bel mezzo del Medioevo, in quel secolo X quando, sfaldatosi in Occidente l'impero fondato da Carlo Magno, ha inizio un regno d'Italia conteso senza esclusione di colpi dai potenti delle regioni settentrionali con l'appoggio, o l'ostilità, dei sovrani tedeschi e del papa. Liutprando, rampollo di una famiglia di rilievo, nasce a Pavia - capitale del regno verso il 920, vi viene educato, entra sin da bambino a corte cantando nel coro, diviene diacono, viene inviato da Berengario in ambasceria a Costantinopoli. Un contrasto violento con il sovrano lo costringe a riparare presso Ottone I, re di Germania e futuro imperatore, del quale sarà spesso emissario importante. Alla corte di questi, nel 956, l'inviato del califfo di Cordova, Recemundo vescovo di Elvira, esorta Liutprando a comporre un'opera di carattere storiografico. Nasce, allora, l'Antapodosis in sei libri: i primi tre narrano vicende delle quali l'autore ha appreso da altri, gli ultimi di eventi dei quali è stato testimone diretto. È la storia intricata dei "fatti degli imperatori e dei re" di mezza Europa, di forti condottieri e di principi "smidollati" ed "effeminati", e s'intitola Antapodosis perché l'autore l'intende come una "ritorsione", una sorta di vendetta, contro Berengario e la moglie Guilla per quel che essi hanno fatto a lui. Introduzione di Girolamo Arnaldi.
A Eleusi, il centro iniziatico maggiore di tutta la grecità, nel mese di Boedromione (il nostro settembre-ottobre) affluivano tutti coloro che avessero i requisiti necessari per ricevere l'iniziazione, ovvero avere "mani pure", non macchiate da delitto, e parlare la lingua greca. Sicuramente furono iniziati ai livelli più alti Sofocle, Eschilo, Pindaro, Platone. La suprema iniziazione, a cui si poteva accedere dopo avere fatto trascorrere un lungo periodo dalla partecipazione al rituale collettivo dei Grandi Misteri, dischiudeva all'esperienza diretta dell'"unità di tutte le cose" e della morte-rinascita, simboleggiata dalla spiga, che il mistero condivideva con Dioniso, il dio che muore e rinasce, come l'Osiride degli Egiziani. L'Orfismo introduce nella grecità una via ascetica e purificatoria, fondata sulla credenza nella reincarnazione, e nella necessità di un tragitto di progressiva liberazione dalla prigione della materia per ricongiungersi con la propria essenza divina. Le testimonianze consentono di ricostruirne le complesse e suggestive cosmoteogonie, e i miti fondamentali, tra cui la discesa agli Inferi di Orfeo alla ricerca della sposa Euridice e lo specchio di Dioniso, che rivela il mondo visibile come lampeggiamento transimmanente dello sguardo del dio su uno specchio.
Da Troia a Roma, da Achille a Ulisse a Enea: e poi a Romolo, Numa Pompilio, Giulio Cesare, Augusto. Ovidio sceglie di terminare le "Metamorfosi" con afflato epico, combinando "Iliade", "Odissea" ed "Eneide" in un unico straordinario amalgama. Ma non dimentica l'ispirazione centrale del suo poema, il divenire. Ne è esempio mirabile, fra tanti, la metamorfosi di Glauco che, respinto da Scilla, si getta in mare dopo aver gustato l'erba miracolosa diventando un dio, nel "trasumanar" che giungerà sino a Dante.
Attraverso le vicende del cartaginese Smerciato, rapito e venduto come schiavo da bambino e al centro di una complicata vicenda di eredità, amori, trucchi e agnizioni, la commedia Poenulus, "il Cartaginesino", introduce nel teatro plautino uno spunto di riflessione sull'umanità del nemico, sul significato della presenza dell'"altro", poiché nessuno più dei Cartaginesi incarnava per il pubblico romano i connotati dello "straniero". Al centro del "Truculentus" c'è invece una scaltra cortigiana, Frinetta, che riesce a circuire i suoi tre amanti e si rivela uno dei più antichi esempi letterari di "femme fatale". Ad accomunare le due commedie è il tema della guerra (le guerre puniche in particolare) e dei profondi cambiamenti socio-culturali che ne sono derivati. Le figure marginali nella Roma repubblicana, lo straniero e la donna, divengono in queste tarde opere plautine protagoniste, a testimonianza di come Plauto seppe affrontare anche le scottanti questioni poste dalla Storia sulla scena romana a lui contemporanea.
Il volume raccoglie opere e sezioni di opere greche e latine che affrontano le vicende della guerra troiana in modo alternativo all'"Iliade" omerica. Dell'opera attribuita al soldato greco Ditti di Creta, "Il diario della guerra di Troia", possediamo la traduzione latina realizzata da un erudito del III secolo, Lucio Settimio, che si basa su una traduzione greca fatta condurre da Nerone sull'originale, scritto addirittura in fenicio nell' XI sec. a.C. Le particolari vicende redazionali di questo testo preludono a contenuti ancor più sorprendenti. Il diario di guerra di Ditti cretese è una vera e propria "controstoria" della guerra di Troia, condotta nel dichiarato intento di "smascherare" l'epica versione fornita da Omero: Odisseo, spietato, che pensa solo al bottino; Ettore che non viene ucciso in un duello ma in un agguato alle spalle, con atto vile, da Achille; lo stesso Achille che, appena giunto, si innamora della figlia di Priamo Polissena, e per averla in sposa scrive delle epistole segrete al sovrano troiano dicendosi disposto a vendere l'esercito greco; Priamo, sfruttando questa passione di Achille, lo attira in un tranello e lo fa uccidere a tradimento; Enea, vigliacco, che riesce a mettersi in fuga solo con l'aiuto di traditori greci, dopo la presa della città. Un testo straordinario per le stravaganti versioni mitiche con cui è "riscritta" la guerra più antica dell'occidente.
Quali forme assume il discorso politico? Come parla un leader ai cittadini? È possibile dire tutta la verità, parlare con franchezza, quando si tratta di questioni controverse e divise, quando il clima politico è teso fino alla lacerazione, o occorre invece nascondere la verità e giocare sulla presa delle emozioni? Queste e altre domande sulla comunicazione politica lampeggiano, con inquietante lucidità e spietata analisi, nei discorsi che Tucidide fa pronunciare ai protagonisti del suo racconto storico nei contesti del dibattito assembleare dell'Atene del Quinto secolo. Dall'elogio della democrazia, pronunciato da Pericle, ai discorsi che riguardano la guerra e la prosperità della polis, dai sacrifici richiesti ai cittadini alle scelte inerenti la conservazione dell'impero e i rapporti con gli alleati: i discorsi, uno dopo l'altro, dipingono un quadro che sollecita, nel confronto, l'orizzonte contemporaneo in una sconcertante attualità. Il volume contiene i tre discorsi di Pericle alla città (l'epitaffio ai caduti in guerra, che è al contempo un elogio della città democratica; i due discorsi che riguardano la decisione di entrare in guerra e la necessità di conservare l'impero), il dibattito tra Cleone e Diodoto sul trattamento da riservare alla ribelle Mitilene (sterminare gli alleati infedeli o ricorrere a misure più moderate) e l'orazione di Alci- biade che incita Atene alla spedizione in Sicilia (il sogno di un'interminabile espansione dell'impero)...
"I colloqui con se stesso" (più noti come "I ricordi") raccolgono dodici libri di meditazione, scritti durante le numerose campagne militari condotte in Asia Minore dal grande imperatore e filosofo che resse le sorti di Roma sul finire del II secolo. Essi rappresentano il documento principale della sua fama letteraria e filosofica. 'I ricordi' raccolgono schegge, sentenze e aforismi. Ogni scritto è sorretto da una morale stoica secondo le cui dottrine Marco Aurelio fu educato negli anni trascorsi, come erede di Adriano a Annio Vero, alla corte imperiale.
"La tragedia greca ha saputo articolare, a più riprese e con implicazioni differenti, il linguaggio della sofferenza e la rappresentazione di corpi umani stretti dalla morsa del dolore, feriti e piagati fino agli estremi limiti della sopportazione. Meno consueta è la rappresentazione diretta di un corpo divino che, nell'impossibilità di agire, occupa lo spazio con l'ostensione di una pena indicibile e inaggirabile. Il criminale è Prometeo, riconosciuto colpevole da Zeus, considerato un nemico dagli altri dei che si raccolgono intorno al trono olimpico del figlio di Crono. La partita si gioca crudamente tra pari, tra soggetti che appartengono ad una stessa dimensione. La società divina, nella persona del suo re, espelle e condanna un suo membro che ha rotto gli equilibri, che ha infranto un ordine e un patto di governo. Prometeo ha commesso un torto dispensando onori e privilegi che erano un possesso celeste. Ha rubato il fuoco per darlo agli uomini. Ma la crisi che tale iniziativa innesca non si misura a partire dai soggetti mortali che vengono beneficati: gli uomini restano, essenzialmente, fuori campo e fuori scena. Il dramma si muove in una sfera superiore: il teatro degli dei è un teatro di signori che disputano, fra loro, per il potere e la supremazia, che regolano i loro conti con la ferocia dei gesti e delle maledizioni, che rispondono alla violenza con la violenza per assicurarsi il regno." (dall'introduzione)