Quando debbono consultare un'opera d'insieme, gli appassionati dilettanti di mitologia greca sono abituati a leggere "Gli dei e gli eroi" della Grecia di Karl Kerényi o "I miti greci" di Robert Graves. Sarebbe meglio che risalissero molto più indietro nel tempo: a un manuale di autore ignoto, la "Biblioteca" dello pseudo-Apollodoro, redatto tra il II e il III secolo dopo Cristo, che la Fondazione Lorenzo Valla pubblica nella traduzione di Maria Grazia Ciani e con l'introduzione e il commento di Paolo Scarpi. L'ignoto autore credeva ancora negli dei. Come un nuovo Esiodo, si sforzava di raccogliere tutte le tradizioni religiose greche e di sistemarle in un'architettura coerente, portando fino a noi l'ultimo messaggio della classicità declinante. Il lettore moderno vi ritrova, come in un'enciclopedia, tutti i miti greci; Urano e Zeus, Persefone e i Giganti, Meleagro e gli Argonauti, Glauco ed Eracle, Teseo e Odissee. Vi ritrova, soprattutto, una ricchezza straordinaria diversioni parallele o secondarie o locali, che hanno talvolta un interesse più appassionato delle tradizioni maggiori, contribuendo a disegnare quell'intreccio molteplice e risonante di voci, che è per noi la mitologia greca. Il testo dello pseudo-Apollodoro è completato dal ricchissimo commento di Paolo Scarpi: commento che è un secondo manuale, e getta sul testo antico la luce interpretativa degli studiosi moderni di mitologia classica.
Indice - Sommario
Introduzione
Abbreviazioni bibliografiche
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Epitome
COMMENTO
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Epitome
Appendice I
Appendice II
Indice mitologico
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
Dalla lettura continua del testo conosciuto come la "Biblioteca" di Apollodoro emerge un grande e complesso paesaggio mitografico: non è stato facile, per quanto necessario, vincere la tentazione di offrire a titolo introduttivo un lungo discorso che indagasse ed esplorasse gli anfratti della mitologia greca se non, addirittura, della mitologia in generale. Le piccole dimensioni di questo "libriccino", come lo chiama Fozio, non sono commisurabili ai problemi di natura storico-religiosa e antropologica che il tessuto narrativo lascia trasparire in filigrana. Ma le dimensioni assunte dalla bibliografia relativa alle problematiche della mitologia greca, moltiplicatasi a dismisura negli ultimi decenni, avrebbero reso in ogni caso ardua l'impresa e sarebbe stato impossibile offrire un panorama completo. Cosi la bibliografia è stata ridotta all'essenziale, confidando sul fatto che ogni ulteriore informazione è ricostruibile sia attraverso le indicazioni fornite nel commento sia ricorrendo alla rassegna dell'"Année Philologique " (Paris).
Considerato per lo più un repertorio mitografico a cui attingere, la "Biblioteca" è stata per così dire condannata da Frazer a diventare un fossile, sia pure insostituibile; un museo in cui sono state conservate "senza un tocco di immaginazione o una scintilla di entusiasmo le lunghe serie di favole e di leggende che ispirarono le immortali produzioni della poesia e le splendide creazioni dell'arte greca".
Nonostante questo inappellabile giudizio, una lettura non frammentaria del testo lascia invece intravedere come la "Biblioteca" non sia banalmente un'opera di erudizione. E forse un'opera di volgarizzazione del patrimonio culturale greco, certamente è una intenzionale sistemazione e ricostruzione del tradizionale paesaggio mitico, che cerca di definire l'universo umano. E queste dovevano essere le intenzioni dell'autore, se è autentico l'epigramma con cui si apriva il testo letto da Fozio, sebbene non riportato dai manoscritti.
Non si tratta dunque di una condensazione erudita del materiale mitologico prodotto dalla civiltà greca, variamente raccolto da fonti diverse, di cui irregolarmente l'autore rende conto, e ordinato secondo un superficiale schema genealogico. Di fronte a una tradizione che ignorava ogni ortodossia, sprovvista di un clero specializzato che avesse proceduto a definirla, e che aveva affidato ai poeti il ruolo di "teologi", la "Biblioteca" si presenta, dopo la "Teogonia" di Esiodo, quale prima opera sistematica. Il registro genealogico su cui è costruito il racconto riprende lo stesso principio di legittimazione che costituiva il fondamento della cultura greca e che conduceva a definire lo statuto umano. E quella cultura, la paideia di cui si fa portatore l'autore nell'epigramma trasmesso da Fozio, che appare alla fine intenzionalmente sopravvalutata, forse per compensare la perdita dell'identità determinatasi con il predominio di Roma. L'autore, senza dubbio arcaizzante, non nomina mai Roma, ne quando parla di Enea o di Antenore, e nemmeno quando descrive l'itinerario occidentale di Eracle. Lo sforzo di recuperare la tradizione mitica è tanto più evidente quanto più appaiono fuori luogo espressioni che possono essere riconducibili a una penetrazione del vocabolario cristiano, come in II 5,12. [124] e 7,7 [157], ma che possono egualmente essere un riflesso della lingua dell'epoca. Quindi sembra del pari frutto di una caduta d'attenzione il solo caso in cui compare la "provvidenza" (II 7,4 [147]), e lo stesso forse si può dire per "mago" (II 8,3[174]). La "Biblioteca" si rivela in ultima istanza portatrice dell'ultimo messaggio della classicità declinante, soffocata dall'imperialismo romano e dalle spinte disgregatrici dei numerosi movimenti esoterici e filosofico-religiosi. Questi movimenti erano protesi alla ricerca di una identità extraumana e al superamento della stessa condizione umana per guadagnare un caeleste habitaculum; erano fortemente sessuofobi e antisomatici, in aperta opposizione con il principio della generazione, da cui era caratterizzata l'antica religiosità olimpica.
Così la "Biblioteca" raccoglie e ordina il sapere mitico, rivivendo nostalgicamente quell'antica liturgia della parola per diffonderla, non diversamente da quanto stava compiendo il mondo giudeo-cristiano. Attraverso l'intreccio e la combinazione di tre registri narrativi, descrittivo, mirice-fondante e favolistico, che intersecano l'ossatura genealogica, essa si propone di "giustificare le strutture e il funzionamento dell'universo nella sua genesi e nella sua dimensione spazio-temporale", divenendo il libro mitologico per eccellenza ma anche per certi aspetti, come riconosceva Frazer, una sorta di "Genesi" pagana.
Nel 399 a.C. Socrate, accusato di empietà e corruzione dei giovani, venne condannato a morte. Fedone, che fu presente alla sua morte, racconta le ultime ore del maestro, dedicate, come tutta la sua esistenza, alla filosofia. Filosofia che in ultima analisi, spiega Socrate agli attoniti discepoli, è proprio una lunga preparazione alla morte, che altro non è se non la liberazione dell'anima immortale dal carcere del corpo. Centro concettuale del dialogo è infatti la dimostrazione dell'immortalità dell'anima, sviluppata con logica serrata in una serie di prove che culminano nel cuore stesso della speculazione platonica: la teoria delle idee. Alessandro Lami analizza nel saggio introduttivo l'articolazione e il significato delle argomentazioni platoniche sull'immortalità dell'anima.
La storia di Cassio Dione descriveva la storia di Roma dallo sbarco di Enea in Italia ai tempi dell'imperatore Severo Alessandro (inizio II sec. d.C.). Le parti intere che sono rimaste raggiungono il 10 a.C. Dione descrive gli avvenimenti anno per anno: enorme fu lo sforzo che egli fece: impiegò dieci anni per raccogliere il materiale e altri dodici per completare la stesura. La sua opera è preziosa giacché costituisce una testimonianza di prim'ordine sugli aspetti amministrativi e costituzionali che gli scrittori romani spesso trascuravano. Testo greco a fronte.
Procopio è uno storico degli inizi del'età bizantina. Nella "Storia segreta" cambia stile e tono. Descrivendo le bassezze e la corruzione dell'imperatore Giustiniano e ancor più della moglie Teodora (di cui narra con dovizia gli eccessi sessuali) persegue lo scopo pedagogico di rivelare le "storie segrete", occulte e vergognose dei personaggi che dovrebbero essere d'esempio al popolo. Egli è convinto che a causa del suo libro "per i tiranni del futuro sarà chiara la non impossibilità d'essere puniti per le loro malefatte". Testo greco a fronte.
Nel 431 a.C. scoppiò tra Atene e Sparta la guerra del Peloponneso: una guerra che insanguinò la Grecia per quasi trent'anni e segnò la cupa fine del periodo d'oro della civiltà ellenica. Tucidide, consapevole di vivere un evento di portata eccezionale, lo assunse come momento esemplare di un'analisi che mirava a cogliere, al di là dei nudi fatti, le forze profonde sottese ai processi della Storia. Un'analisi lucida e disillusa che spinge il lettore a interrogarsi sui problemi che si ripresentano sempre uguali alla coscienza storica: i meccanismi e la moralità del potere, gli arbitrii e i diritti dei vincitori e dei vinti, la giustizia dei potenti e la giustizia dei deboli.
La storia di Cassio Dione descriveva la storia di Roma dallo sbarco di Enea in Italia ai tempi dell'imperatore Severo Alessandro (inizio II sec. d.C.). Le parti intere che sono rimaste raggiungono il 10 a.C. Dione descrive gli avvenimenti anno per anno. Enorme fu lo sforzo che egli fece: impiegò dieci anni per raccogliere il materiale e altri dodici per completare la stesura. La sua opera è preziosa giacché costituisce una testimonianza di prim'ordine sugli aspetti amministrativi e costituzionali che gli scrittori romani spesso trascuravano. Testo greco a fronte.
Strabone è uno degli autori antichi più interessanti: è infatti il primo geografo a noi noto. Greco, trapiantato a Roma, mette a servizio della classe dirigente del periodo augusteo la sua erudizione e le sue conoscenze dirette, componendo un'opera monumentale, la "Geografia", in 17 libri, che descrive il mondo fino allora conosciuto. In particolare i Libri III e IV, contenuti in questa edizione, descrivono non soltanto la morfologia dell'Iberia e della Gallia, ma anche la loro storia ed etnografia, narrando in maniera pittoresca tradizioni locali, usi e costumi di questi "barbari" romanizzati. Testo greco a fronte.
Lupi crudeli, leoni prepotenti, cornacchie vanitose e cani bramosi diventano, in queste celeberrime favole, i protagonisti di straordinarie allegorie sulla natura umana. Una serie di preziosi precetti morali, che, nel corso dei secoli, non hanno mai perso la loro attualità, sotto l'aspetto fresco e fantasioso di storielle di animali.